Ripeto, sono per la libertà di scelta, chi desidera prostituirsi può farlo, in Italia non è reato. Spero che nessuno criminalizzi mai chi si prostituisce o meglio è prostituito. I criminali restano solo e soltanto i papponi e i clienti. La libertà di una non può diventare la negazione di una realtà fatta di sopraffazione e vendita di corpi. La libera scelta di una persona non deve diventare un ombrello rosso per coprire tutto il resto, con la pretesa di rappresentare, di lottare per tutte coloro che sicuramente libere non sono. Stiamo mettendo sullo stesso piano le poche che sostengono di scegliere la prostituzione e coloro, le tantissime, che sono costrette per innumerevoli motivi, ma che se avessero un’alternativa, sicuramente non lo farebbero.
Per coloro come Pia Covre, che temono tasse e controlli, dovreste spiegarmi cosa volete nel dettaglio che lo stato faccia per voi e come pensate di combattere sfruttamento e tratta. Perché se per voi è un lavoro come un altro, dovreste essere soddisfatte di essere riconosciute come professioniste del sesso e pagare le tasse. Altrimenti viene meno anche la vostra idea di festeggiare il 1 maggio. Forse bisognerebbe fornire a tutt* un’alternativa lavorativa.. perché tutte noi sappiamo che questo un lavoro non può essere per mille ragioni.
Covre & co., oggi impegnate in una serie di iniziative a Roma, dovrebbero interrogarsi su chi stanno avvantaggiando in questo momento, di quale business stanno chiedendo il sostegno e sulla pelle di chi. Ponetevi anche voi la domanda, chi maggiormente ne trarrebbe vantaggio da uno snellimento dei reati di sfruttamento, favoreggiamento, induzione alla prostituzione? “Industria del sesso & criminalità a braccetto”, con beneplacito dello stato? Ah, vi ricordo che in Germania solo 44 si sono registrati e pagano le tasse. In Italia resterebbe tutto comunque sommerso e lo stato si ritroverebbe ad avere le armi spuntate per perseguire chi trae guadagni in nero dalla prostituzione e dalla tratta. Penso che se vogliamo aiutare chi è prostituito, dobbiamo scegliere un’altra strada.
Ho letto un post che mette sullo stesso piano il diritto di aborto e quello di prostituirsi, nel nome dell’autodeterminazione. Vi consiglio di non scherzare, perché questa è pura mistificazione. Nessuna donna vuole costringere nessun’altra donna, noi non contestiamo e non contrastiamo chi sceglie, ma dobbiamo raccontare la verità sulle donne che sono nella prostituzione non volontariamente, e che subiscono innumerevoli violenze, in gran parte con danni permanenti.
Ho tradotto questo post (QUI l’originale) di Rebecca Mott per sfatare alcuni miti e stereotipi della prostituzione. Una utile lettura per i “negazionisti” della violenza e della sofferenza di queste donne considerate merce sessuale. Per tutti coloro che continuano a sostenere l’immaginario della prostituta felice e autodeterminata.
Come sopravvissuta, devo confrontarmi con l’idea che hanno gli altri della prostituzione.
Molte delle prospettive sono fondate su stereotipi, sia che provengano dalle femministe liberali, che da gente di sinistra, religiosa, amici o qualsiasi altro si interessi di prostituzione. Ho incontrato solo qualche femminista radicale, non tutte, capace di ascoltare e di imparare, piuttosto che raccontare a coloro che sono uscite, cosa significhi prostituirsi.
Non sono affatto sorpresa che vi siano così tanti pregiudizi attorno all’argomento.
Per almeno 3.000-4.000 anni, le prostitute non hanno avuto voce per dire cosa/chi siamo. Invece le nostre realtà sono state scritte da coloro che hanno tratto guadagno dal commercio di sesso.
Questa storia è stata scritta da papponi e da clienti che desiderano ridurre il loro senso di colpa, facendo finta che non vi sia violenza da parte loro.
È stata costruita la favola secondo cui tutte le prostitute sono persone adulte – o quanto meno le ritengono tali – che tutte amino il sesso e siano avventurose, che amino il loro stile di vita.
In altre parole, l’ideale della dea-prostituta, cortigiana, geisha e di classe elevata è il sogno erotico dei clienti e non combacia con la realtà.
Questo ideale è stato costruito nei secoli e da molte culture, per allontanare sguardi estranei dalle condizioni di vita reali della cosiddetta “prostituta felice” (Happy Hooker).
Questa immagine della prostituta è scolpita nel tempo e nello spazio, in quell’istante in cui la prostituta dipinge sul suo viso un sorriso per il cliente.
In quel momento, quando la prostituta dirà e farà tutto ciò che il cliente desidera, egli penserà che sia felice – questo non è affatto complicato per i clienti che hanno un ego enorme, così penserà che tutte le prostitute siano entusiaste e che naturalmente egli le porti rispetto.
È importante per il commercio del sesso continuare in questo verso, che nessuno veda cosa si nasconde dietro il sorriso della happy hooker. Dobbiamo continuare a non vedere che tutte le prostitute – non importa se di alto bordo o trasformate in dee – vivono in una costante situazione di estrema violenza maschile.
Dobbiamo avere il coraggio di vedere che la maggior parte delle “prostitute felici” hanno conosciuto tutte le facce del mercato del sesso – molte hanno lavorato per strada, sono finite nell’industria del porno, molte sono state spogliarelliste – tutto ciò ha dimostrato che le prostitute non godono dei diritti umani e che vivono in un costante stato di paura e di instabilità (emotiva, mentale, economica, ndr).
Dobbiamo vedere che la maggior parte delle prostitute felici non si arricchiscono. Gran parte dei loro guadagni finiscono nelle tasche dei loro sfruttatori. Molte di loro odiano il denaro che proviene dal prostituirsi, tanto da non essere in grado di metterlo da parte (ricordiamo il racconto di Daisy qui).
Io e tutte le sopravvissute lo sappiamo, non abbiamo mai conosciuto una prostituta felice.
Ho visto molte prostitute che parlano un linguaggio stereotipato da prostitute felici, ma sempre nei loro sguardi, nelle pause tra le parole e il non detto – si percepisce che la verità è un’altra.
Se osserviamo oltre i brevi istanti in cui sorridono al cliente, scorgiamo secoli di dolore prostituito, di paura prostituita, di rabbia prostituita.
Essere prostituta significa automaticamente essere associata a tutte le altre prostitute, vive o morte, di ogni cultura, classe, nazionalità e Paese.
Essere prostituta è capire cosa significhi non avere una individualità – ma dentro te stessa continuare a combattere per ricordare ciò che sei e che sei una persona.
Se torniamo al discorso del commercio del sesso, o a chi giustifica la sua esistenza – di fatto si sta consentendo che le prostitute siano considerate sub-umane e quindi che non abbiano una piena garanzia dei loro diritti umani.
Ogni volta che un cliente compie la scelta di comprare un altro essere umano per la sua avidità/bisogno sessuale – sta di fatto compiendo la scelta di non vedere nella prostituta un essere umano, la sta vedendo semplicemente come una merce sessuale.
Ciò è reso evidente dalla seguente dichiarazione:
La prostituzione è l’acquisto di un servizio, non di una persona.
Questo può essere affermato unicamente stabilendo che stai usufruendo di sesso, senza che la prostituta sia presente con il suo spirito e con la sua mente.
E questo viene considerato una cosa positiva.
A mio avviso quel distacco è sintomo di un trauma profondo.
Per forzarsi a separare il tuo corpo dalla tua mente, per separare la tua umanità in modo così estremo – significa per la prostituta avvertire il terrore, il dolore, l’odio che sono presenti in ogni momento e luogo. (la scelta di scindere mente e corpo significa che la prostituta avverte il terrore, il dolore e l’odio causati dalla prostituzione, ndr).
Il distacco è l’unica possibilità che ha una prostituta di sopravvivere – non è un segno di forza o di piacere.
Concludo qui, perché mi sento sconvolta – ma questo è un inizio, non una fine.