Generazione 2.0 potremmo chiamarla, ma di nuovo ha ben poco, perché ripete cliché vecchi di secoli. Composta da personcine che trovano “vecchio e passato” prendere appunti a mano su carta.. “come si faceva una volta”.. Peccato che prendere appunti sul pc è alquanto difficile e non sempre fattibile. Peccato, che se sei entrato nel mondo del lavoro da pochi mesi, dovresti essere un po’ più umile se ti fanno notare che i tuoi appunti presi col tuo Mac, nuovo di pacca, sono pieni di lacune. E invece, c’è chi riesce a rispondere a tono, anziché ammettere il proprio errore o scegliere la via più onorevole del silenzio. Generazione composta da giovani rampanti, neolaureati, con famiglie potenti alle spalle. Insomma gente che gioca a lavorare e a far vedere quanto è in gamba, tanto poi papà ti copre le spalle. Esattamente come la figlia della Fornero, choosey e molto ben “spinta” per avere all’età di 37 anni ben due posti fissi. Popolo che ha studiato nelle migliori università, naturalmente a pagamento, con la possibilità di fare soggiorni all’estero, master e quant’altro per aggiungere qualcosa nel cv. Come attività extracurriculari giocano a tennis, golf, suonano 2-3 strumenti musicali, sciano da professionisti ecc. Naturalmente quando li conosci nutri una certa riverenza, ti senti una mezza calzetta. Anni e anni vissuti nella certezza di essere inadeguato e perciò destinato ad avere un misero stipendio e una misera qualifica. Poi accade l’inaspettato. Scopri che questi personaggi sono pura aria fritta nella maggior parte dei casi. Hanno solo una marcia in più. Come affermava la mia prof di lettere al liceo: ”tu non ti sai vendere, è questo il tuo problema”. Ebbene, scopri che quei soggetti così rampanti fanno il tuo stesso lavoro, sono scarsi quanto te, se non di più e umanamente spesso sono vuoti come una lattina. Unica differenza: si vendono e lo fanno molto bene. Risultato? Fanno carriera in fretta, mentre tu devi arrancare tra mille difficoltà quotidiane. Ma almeno, non mi sentirete mai fare un discorso serio sulle differenze tra il vecchio cavo del Mac e quello nuovo.
Fluido di democrazia
In base all’assioma per cui democrazia è partecipazione, sarebbe lecito, anche se utopistico, pensare che il nostro pensiero e le nostre opinioni possano in qualche modo essere immediatamente e tangibilmente applicate e possano pertanto concorrere all’istante alla formazione di un provvedimento legislativo. Sarebbe una specie di prêt-à-porter del voto. Come se una nazione moderna potesse rispecchiare il modello della polis greca e applicare formule di democrazia diretta. Indubbiamente sarebbe fantastico avere una partecipazione capillare alla decisione e alla formazione del corpus giuridico, una specie di televoto quotidiano, con il quale ciascuno potesse esprimere la propria scelta. Ciascun cittadino, più o meno cosciente e consapevole, potrebbe svegliarsi al mattino ed esprimere il suo voto su un argomento piuttosto che un altro. In caso di democrazia diretta, ciascuno dovrebbe essere in grado di assumersi quotidianamente la responsabilità di determinare dove va il baraccone. Vista l’impraticabilità di tale strada, è nata la democrazia rappresentativa. In mezzo al guado di queste due soluzioni, è emersa la formula della democrazia liquida. Si tratta di una specie di ibrido, che poggia tutto sulla delega e non sulla rappresentanza. La linea di confine è molto sottile. La formula “liquida” strizza l’occhio alla “diretta”, proponendosi come la rivoluzione del secolo e la panacea di tutti i mali, andando a solleticare i desideri della pancia di un elettorato che negli anni si è allontanato sempre più dalla cosa pubblica. La democrazia liquida di cui si parla tanto è a mio parere un falso fluido di giovinezza per la nostra democrazia mal ridotta. Qualsiasi piattaforma informatica, forum o simili sono strumenti di una fantomatica partecipazione universale, che non porta a nulla. Non si può ridurre tutto a un tweet. Questo approccio è frutto di una semplificazione e storpiatura di antichi topoi e di una loro malsana rilettura. Cosa accade alle opinioni di coloro che non partecipano a questi giochi? Non possiamo diventare schiavi di un mezzo, come può essere la rete. La democrazia liquida è un sistema che può funzionare benissimo in un’associazione, ma lo Stato non può essere ridotto a una realtà in stile “dopolavoro”. Tutti devono poter concorrere, attraverso i propri rappresentanti, alla determinazione della politica nazionale. Il sistema dei delegati ha i suoi limiti e pericoli, non tutto ciò che è tecnologico è sinonimo di sicurezza, affidabilità, trasparenza. Tutto è manipolabile e facilmente strumentalizzabile. Non possiamo essere certi che non ci possano essere dittature dei giocatori più attivi o che un click in stile “mi piace” sia più consapevole e saggio di una x sulla scheda elettorale. Il fatto che ciascuno può dire la sua in questa specie di piazza virtuale, non è garanzia di un miglioramento o di assenza di errore. Poniamoci alcune domande:
- Perché una persona decide di dedicarsi anima e corpo ad un’attività para-politica su una piattaforma web, investire il suo tempo in tale attività?
- Come può un comune cittadino, tra le sue innumerevoli occupazioni quotidiane (lavoro, casa, figli ecc.) essere in grado di “partecipare” attivamente al nuovo gioco della democrazia liquida?
- Rischiamo di ritornare ad un modello stile “camera dei Lord”, per cui la politica è in mano a pochi “delegati” che possono anche permettersi di non lavorare per vivere? Questa si chiama oligarchia, che ritengo più pericolosa della nostra attuale democrazia parlamentare.
La mania della rottamazione che sta dilagando in questi tempi di crisi, può essere comprensibile, ma attenzione: prima di rottamare la mia automobile, devo anche pensare cosa andrà a sostituirla, altrimenti, mi toccherà andare al lavoro a piedi. Se si decide che il modello del partito politico e gli strumenti di partecipazione non vanno più bene, si deve anche iniziare a proporre qualcosa di altrettanto valido, pena l’avanzare del vuoto, esattamente ciò di cui parlava Ende nella sua “La storia infinita”. E in tale caso sappiamo bene cosa ci aspetta. I partiti sono stati uno strumento basilare per garantire il funzionamento della macchina democratica. Sono stati un laboratorio importante per le idee nuove e la crescita della nostra classe politica, che pur non essendosi dimostrata sempre all’altezza del suo compito, ha generato personalità fondamentali della storia del nostro Paese. L’improvvisazione in politica, e non solo, raramente genera qualcosa di buono e duraturo. Una buona abitudine del cittadino dovrebbe essere quella di conservare sempre vigile il suo senso critico e non delegare “ciecamente” ad altri le decisioni. Nei partiti andrebbe incentivato il pensiero “pro-attivo”. E se proprio vogliamo rottamare qualcosa, scegliamo di mandare in discarica il clientelismo che avvelena la vita del nostro Paese.
Dieci anni
Dieci anni orsono, da neolaureata e da giovane donna che si affacciava nel mondo del lavoro, la mia visione del mondo appariva luccicante di buone speranze per sé e per il resto del pianeta. Se guardo a quell’istantanea di me stessa, sorrido e al contempo mi rammarico di tanta ingenuità e positivismo stile ‘800. I miei studi di scienze politiche mi hanno aperto la mente, ma in qualche modo hanno anche ottenebrato in parte la mia capacità di guardare la realtà prendendo le distanze da me e dai miei pensieri. Come molti saggisti e uomini di cultura, soffrivo anch’io, nel mio piccolo, di una certa miopia, che mi portava a fondare le mie teorie sul presupposto che tutti fossero spinti dai miei stessi ideali, desideri di comunione e progresso dell’umanità. Tanti cosiddetti “intellettuali”, chiusi fra le mura accademiche, formulano proposte e idee che poco hanno attinenza con la realtà “vera”. Sono stata per anni un’europeista al 200%, tenace sostenitrice della forza purificatrice e universalistica dell’UE, che avrebbe portato ordine, benessere e convivenza civile in una Pangea disordinata di culture, tradizioni, lingue ed economie. Ero seriamente convinta che a partire dall’Euro, la strada per un superamento delle barriere nazionali sarebbe stata breve. Mio malgrado, il meccanismo ha fatto cilecca e per una miriade di ragioni non si è arrivati da nessuna parte, anzi, di questi tempi, l’UE ha il passo di un gambero e lo sguardo di un merluzzo pescato la scorsa settimana. Pensandoci meglio, il mio modello di UE come unione in tutti i sensi, non ha mai preso in considerazione l’idea che ci potesse essere una convergenza pilotata verso un’unica cultura economica, politica, culturale e religiosa, sotto il vessillo germanico o nord-europeo. La mia mente non poteva concepire una cessione di sovranità a beneficio di un unico compatto gruppo di Paesi “diligenti”e che tutto avvenisse nel più completo silenzio, che montasse ancora una volta il desiderio di ergersi al di sopra degli altri, come popolo “eletto” e operoso. Che volgare riproposizione di modelli ante seconda guerra mondiale. Che scarsa visione del mondo dimostra questa deriva. Oppure, rispecchia esattamente lo spirito, mai sopito, del mito di un pangermanesimo, pericoloso baluardo contro il disordine “straniero”. Diligenti o meno, operosi o meno, Paesi buoni o cattivi, la torta nuziale dell’UE si è dimostrata avariata e incapace di reggere tutti i suoi piani di progresso. La crisi ha presentato tutti i difetti di questa fantasmagorica costruzione, che erano ben evidenti già negli anni dei miei studi universitari. Come non accorgersi che il continente europeo è lontano dal “centro” del mondo da oltre un secolo, gli USA sono “passati” anche loro e si parla di BRICS in ascesa. In attesa che si delinei il futuro scenario mondiale, in quanto non è detto che si crei un unico centro magnetico e che i BRICS formulino un nuovo modello o più modelli di riferimento, siamo alle prese con la nostra realtà di piccoli europei. Siamo affannati a chiudere le falle della nave. I fasti sono lontani e direi che per alcuni forse è meglio non rivangare il passato o ripercorrere le strade pericolose dei separatismi, delle sfide etniche, per la serie “io sono meglio di te”. L’UE poteva e può essere ancora la via giusta per “restare al mondo”, per non uscire di scena completamente. La costruzione va sicuramente rifondata, altrimenti il lento declino in atto, che nessuno vuole ammettere, ci travolgerà sine dubio. L’ultimo sprazzo di vita del pensiero europeo risale alla rivoluzione francese e a tutto quello straordinario sciame sismico di idee che ne seguì. Nemmeno il marxismo è riuscito a dar voce a un nuovo modello e si è dovuto piegare. Da molto tempo questo strano continente non ha un ruolo propulsivo, ma va a rimorchio, in ultimo degli USA, oramai anch’essi decandenti. Tutto il “ciarlare” politico e le innumerevoli manovrone o manovrine che si sono succedute — e non abbiamo ancora finito — sono solo maldestri tentativi di rattoppare un logoro cappotto. Credo che ci sentiremmo tutti molto meglio se ci dicessimo qual è la verità o meglio le tante verità. Innanzitutto, che c’è minor tolleranza, minor voglia di condivisione dei problemi, di solidarietà e una crescente diffidenza verso gli altri. Se non ve ne siete accorti, sta dilagando un profondo egoismo — sempre esistito certo — che corrode tutto e tutti. L’egoismo e la consolidata abitudine di coltivare solo il proprio verde orticello sono, a mio parere, i peggiori difetti che si possano avere. Non sono vizi esclusivamente italiani, bensì sono in qualche modo legati alla natura stessa dell’uomo, antico animale in perenne lotta per la sopravvivenza. Perciò non possiamo arrabbiarci troppo della nostra meschina natura, ma almeno mostrare un po’ d’indignazione e riflettere su ciò che sta accadendo e che rischiamo di dover masticare ancora per molti anni a venire. Occorre iniziare un nuovo percorso, senza ricatti tra nazioni, senza quella pomposa aria di conciliabolo inconcludente dei meeting europei. I problemi sono tanti, strutturali e reali. L’orticello è stato compromesso dal gelo della crisi. Ma non è ancora troppo tardi per salvare il raccolto. Ma poniamo fine alle chiacchiere. Anche nel nostro Paese. Quando si parla di bamboccioni e di giovani schizzinosi, si dovrebbe aggiungere che queste cattive abitudini sono figlie di una prassi consolidata, fondata su legami di parentela, raccomandazioni e conoscenze che a molti, troppi portano il lavoro su un piatto d’argento. Anche chi usa tali espressioni, ha molta familiarità con tali meccanismi di “aiuto”. Io e tanti altri come me, possiamo fieramente dire che è possibile fare da sé, senza prostrarsi in nessuna occasione. Mai come ora sono fiera di ciò che ho costruito intorno a me. La mia famiglia è il mio pilastro. Non ho rinunciato a essere mamma e moglie, in nome di un fantomatico avanzamento di carriera, che molte delle mie colleghe rincorrono. Certamente, il lavoro è quello che è, la retribuzione è scarsa, i sogni lavorativi sono rimasti quasi tutti nel cassetto per ora, ma potrò insegnare qualche importante valore a mia figlia. Primo fra tutti l’onestà, che non dovrebbe mai passare di moda. I valori e gli ideali sono come un armento di cavalli bianchi che corrono attraverso il tempo e nonostante una lieve patina di grigio, sono lì a ricordarci che indietro non si deve tornare, che non si devono commettere gli orrori del passato. Temo però che in questa babele economica e di valori e in questo contesto di indebolimento dei pilastri democratici e dei principi di “buona politica”, si acuiscano anche i conflitti tra le persone, che ci si scontri per delle briciole di diritti e che si ritorni ad uno stadio animalesco di guerra fra poveri. Se non ve ne siete accorti, sono già in atto alcune forme di segregazione per certi versi “razziale”. Per esempio tra chi frequenta la scuola pubblica e chi la privata, tra coloro che pagano le tasse sempre e chi mai ecc. Ebbene sì, chi usufruisce dei servizi pubblici e non contribuisce in nessun modo, pur potendo, agisce schiacciando e sfruttando colui che suda dalla mattina alla sera con il suo misero lavoro super tassato. La razza del contribuente onesto sembra destinata all’estinzione, a vantaggio di quella dell’evasore più o meno totale che è geneticamente più dotato per sopravvivere. L’ascensore sociale è ormai una favola da mille e una notte, sempre che per ascesa non s’intenda una maggior furbizia. Che immagine diamo a coloro che arrivano nel nostro Paese nella speranza di un futuro migliore? Il buon esempio sarebbe la soluzione per tutto. Peccato che in molti casi, siamo veramente indegni di dare lezione a chiunque. Se vuole veramente non morire, il nostro Paese deve riemergere dal pantano dell’evasione fiscale, della sopraffazione legalizzata e delle leggi ad personam. La parabola berlusconiana, che oggi sembra volgere al termine, è stato per anni il simbolo di un “tutto è concesso” ma è potuto esistere unicamente grazie all’humus dell’homo italicus. Oggi, da oggi, cambiamo rotta. Non abbiamo bisogno di professori della Bocconi. Di mondo reale ne sanno ben poco, chiusi come sono nei loro grafici ancora sul cartaceo, persi nei loro calcoli che non tornano mai nella realtà. E poi, diciamo la verità, non ci piacciono i tanti passi indietro per non scontentare gli “intoccabili”, tanto ci sono sempre i noti disgraziati da tartassare. Direi che ne abbiamo abbastanza di simili prassi. Non vogliamo rottamare tutto indistintamente — che orrore — perché il futuro dobbiamo costruirlo sulle solide fondamenta che pure il passato ci offre, nonostante tanti brutti souvenir. Basta non assuefarsi ai mille stereotipi e ai vecchi schemi cui la storia ci ha abituati. Ci potrà essere un futuro per tutti solo se si collabora a crearlo. Se ancora parlare di “tutti” non è diventato un’utopia e la politica non ha perso completamente le sue radici ed il suo ruolo.
Tutti dovremo rinunciare a qualcosa, ma tutti, non i soliti noti.
Pena il fallimento, non solo economico.
Ricominciamo
Buongiorno web!
Dopo qualche anno di assenza, rieccomi online. Sono per fortuna cambiate tante cose nella mia vita e mi riaffaccio al blog con uno spirito nuovo… con i miei occhi aperti e scrutanti sul mondo (proprio come fa la mia bimba).
Si parlerà di tutto un po’, senza grandi pretese e senza confini tematici.
Hello world!
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