Non è più il tempo dei tavoli di lavoro per ragionare sulla violenza, non è più sufficiente per lo meno. Abbiamo riflettuto fin troppo, ma forse non è stato condiviso e diffuso abbastanza. In realtà, nessuna azione è più sufficiente se non c’è di fatto alcuna presa di posizione da parte di chi ricopre incarichi nelle istituzioni.
Prima del flash mob in varie città italiane del 2 giugno, attendevamo che una delle Ministre rompesse il silenzio sulle violenze e sui femminicidi. Ci attendevamo dei messaggi forti e che si arrivasse a chiedere un’azione incisiva, con mezzi adeguati, per intervenire sul macigno della violenza che annienta le donne e che in molti casi gli strappa la vita.
Abbiamo lasciato passare i giorni, Laura Boldrini ha mostrato una vicinanza, ma come ho detto quel drappo rosso alla finestra si deve incarnare in un’azione tangibile di cambiamento di rotta.
Poi è arrivato un post su Facebook e una intervista della Ministra Boschi che ha la delega alle P.O. Poi ancora silenzio e la solita cronaca.
Intanto da Nord a Sud (Roma, Napoli, Palermo, Pisa, Corsico) alcuni centri antiviolenza hanno chiuso e altri stanno vivendo grosse difficoltà a portare avanti le loro attività. Intanto i fondi stentano come sempre ad arrivare e non c’è un monitoraggio adeguato, una verifica puntuale di come vengono stanziati i fondi e spesi. In una parola sola: trasparenza.
Intanto le donne continuano a perdere la vita a causa della violenza machista e ritorna lo stupro di gruppo, nuovamente definito dai genitori “una ragazzata”. Questa ragazza che ha coraggiosamente denunciato quanto le è successo e oggi si vede piovere addosso parole ignobili, di vigliacchi da tastiera.
Intanto Maria, 10 anni è stata uccisa, dopo essere stata violentata. Intanto ci si chiede se giustizia sarà fatta.
Intanto vorremmo poter riportare indietro le lancette dell’orologio per poter cambiare il destino di queste donne.
Finora le parole sono state tante. I media, nonostante gli appelli di varie donne e di associazioni come Giulia (Giornaliste Libere Autonome), hanno per lo più deformato i fatti, continuato a raccontare i femminicidi come atti causati dal troppo amore, le foto di coppie felici ha alimentato solo un’immaginario che non corrisponde alla realtà, come molte di noi continuano a ripetere. Una vetrina in cronaca, con un vuoto assordante nella pagina politica.
Non ci ascoltano e quando chiediamo dei media di qualità ci scontriamo ogni volta con questa stanca esibizione di una normalità che non è tale, perché la violenza in ogni forma non può esserlo. Non varranno gli appelli a denunciare se verrà ancora propagandato questo come amore. La narrazione è sempre deformata, sembra quasi che la violenza sia un fulmine a ciel sereno. Come se le denunce non fossero mai state presentate, come se non ci fossero mesi, anni di calvario. Sappiamo che così non è.
Questo paese ha un approccio del tutto sbagliato, perché negando le discriminazioni, le distanze che tuttora separano uomini e donne è come se si cancellasse ciò che di fatto è il substrato socio-culturale che alimenta tutta una serie di violenze sulle donne. La visione della donna, del suo ruolo, la sua oggettivazione, la sua subordinazione, i continui tentativi di riportarla sotto controllo, perché non si accetta la libertà della donna, perché non la si percepisce come essere umano pienamente titolare di diritti al pari dell’uomo, sono elementi su cui riflettere.
Il due giugno abbiamo rotto il silenzio.
Propongo di tornare a un presidio permanente settimanale, mensile, decidiamo insieme dove e come è preferibile farlo. Così in ogni città. Un presidio in ogni città. Decidiamo insieme la modalità, ma facciamoci sentire. Scuotiamo le città. Creiamo tanti presidi e manifestazioni che uniscano la penisola in questa lotta alla violenza machista. Auto organizziamoci. Chiediamo che le istituzioni intervengano. Portiamoli avanti finché non ci verranno date risposte. Replichiamoli in ogni città che sceglierà di unirsi. Dobbiamo rendere visibile che noi non siamo disposte ad accettare questa indifferenza. DOVE SIETE???
Cosa facciamo per ottemperare alla Convenzione di Istanbul , ratificata dal governo italiano? Non voglio sentire dire da nessuno che ci sono problemi più importanti e prioritari. Non possiamo continuare a rinviare gli interventi educativi e di prevenzione.
Pretendiamo risposte da chi ha le deleghe all’educazione nelle amministrazioni locali e al Ministero dell’Istruzione, con a capo Stefania Giannini. Pretendiamo pianificazioni ad hoc dai sindaci e dalle sindache, dalle Regioni.
In Regione Lombardia attendiamo i fondi 2014 del Piano nazionale antiviolenza. In Regione si trincerano dietro il patto di stabilità. Regole, solo burocrazia, intanto ne paghiamo le conseguenze.
Pretendiamo educazione di genere e al rispetto delle differenze, educazione alle relazioni nell’offerta formativa delle scuole di ogni ordine e grado. L’iter parlamentare sta iniziando, ma va seguito, indirizzato e corretto. Seguendo la linea suggerita da Graziella Priulla: “da considerare trasversale nei percorsi scolastici e nei programmi di tutte le discipline, e non confinata in uno spazio che tra l’altro rischia di fare la fine dell’educazione civica e dell’ educazione alimentare.” Qui un articolo che vi consiglio di leggere.
Ognuno nel suo ambito e ruolo si prenda le sue responsabilità e intervenga. Non c’è più tempo.
Quando tante donne e i loro bambini continuano a subire violenze, fino a vedersi sottrarre la vita, mi chiedo come si faccia a voltarsi dall’altra parte e dedicarsi ad altro. Secondo l’indagine ISTAT del 2006 il 14,3% delle donne afferma di essere stata oggetto di violenze da parte del partner o ex partner.
Come ho detto più volte, pretendiamo misure e investimenti certi e celeri, per contrastare e prevenire la violenza, non briciole di interventi e di investimenti. Il cambio culturale necessita volontà politica. Non restiamo sole! La solitudine ci frega, ci vogliono frammentate e disorientate per silenziarci o per non degnarci di risposta. A tutto questo dobbiamo opporci!
Iniziamo a lavorare insieme, coinvolgendo associazioni, gruppi, singole donne e torniamo in piazza. Organizziamoci per costruire gruppi di donne su ciascun territorio, che facciano presidi costanti e periodici… Verso l’autunno. Qualche bel segnale c’è già, va solo amplificato. E ancora la parola d’ordine è: non importa quante siamo, manifestiamoci!
Ho creato un gruppo Fb da raccordo tra le varie iniziative che riusciremo a mettere in piedi in varie città, da qui all’autunno, iniziamo!