Giovedì scorso il gruppo “Chi colpisce una donna, colpisce tutte noi” ha inviato una richiesta di replica al Direttore dell’Unità, in riferimento agli articoli a firma di Alessandra Serra, apparsi sul quotidiano. Non abbiamo ancora ricevuto alcun cenno di riscontro. La pubblichiamo perché tutt* possano leggere questo contributo. Ci sono donne che quotidianamente danno senso e corpo al movimento delle donne, al femminismo e a queste donne dobbiamo dare voce, nessuna esclusa. Accogliere solo repliche “favorevoli” o innocue significa non dare spazio ad argomentazioni diverse, cosa che un buon giornalismo dovrebbe invece garantire, per la costruzione di una informazione completa e corretta.
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Essere femministe
Il femminismo non è asfittico, né tanto meno noi femministe, tutt’altro. Di certo la stanza tutta per sé, tanto cara a Virginia Woolf e menzionata da Alessandra Serra, rappresenta tuttora una importante prassi, un luogo interiore fondamentale per le donne, dove realizzare il “partire da sé” per giungere a una dimensione più ampia, collettiva e multisfaccettata. È proprio questo il punto d’inizio e d’arrivo di ogni ragionamento che si faccia sul femminismo in Italia, ossia che non esiste un’unica strada di stare tra le donne, per le donne. Esistono prassi e metodi diversi, da conoscere per evitare luoghi comuni o semplificazioni, come quelle enunciate nell’articolo a cui replichiamo.
Da questa preliminare constatazione occorre partire, perché è fondamentale riconoscere eguale legittimazione alle varie modalità di impegno femminista finalizzato ad intervenire ogni qualvolta la dignità e i diritti di una donna vengano lesi. In forma associata o individuale tante sono le donne che si confrontano sulle situazioni che nella quotidianità affrontano, e soprattutto sui propri bisogni insoddisfatti e denegati.
Noi del gruppo “Chi colpisce una donna, colpisce tutte noi”, dialogando da nord a sud, lavoriamo sulla condizione delle donne italiane che riteniamo siano collocate sempre di più un gradino sotto agli uomini.
La violenza, sia psicologica che fisica, è solo l’aspetto più eclatante e riprorevole dello stato di subordinazione a cui si è sottoposte, qualora vogliamo essere libere di dare una direzione autonoma alla nostra vita. E così succede, in una successione logica conseguenziale, che si passi da essere apostrofate come “cagne” ad essere oltraggiate ed abusate, fino a morirne. I media d’altronde non aiutano a fermare questa spirale di violenza, soprattutto quando leggiamo articoli che paiono arringhe difensive dei femminicidi ed atti di accusa alle donne uccise.
Non è una paranoia di noi femministe ossessionate, è invece la realtà quotidiana a essere intrisa di questo approccio. Non ci stiamo a vedere ridicolizzato e denigrato il movimento delle donne, i femminismi non sono folclore, ma azione progressista orientata al miglioramento della condizione della donna, a beneficio dell’intera comunità umana.
Se non si comprende l’origine dei fenomeni, come possiamo combattere ogni discriminazione e diseguaglianza? Parlare delle femministe come un anacronistico e vetusto fenomeno è un ulteriore sintomo del livello del giornalismo nostrano. Attaccarci fa parte del gioco del patriarcato, spesso abbracciato e interiorizzato anche dalle donne, che trovano più agevole vivere in simbiosi con un maschile dominante.
L’ottica di genere non può essere esclusa e non dobbiamo subire l’intimidazione che alcuni ci rivolgono “in questo modo diventi monotematica e ti ghettizzi”. Spostare il punto di osservazione è rischiare di rimuovere nuovamente le donne, nelle loro peculiarità e nelle loro molteplicità. Vogliamo cambiare la nostra società e questo comporta comprendere nel profondo le radici di ciò che crea disuguaglianze e violenze. Non possiamo abbandonare questo lavoro, confonderci e dissolvere le nostre riflessioni in un calderone eterogeneo. Senza ragionare sulle peculiarità della prospettiva femminile, non si capiscono le radici dei problemi e non si riesce a lavorare nella giusta direzione. È fondamentale un approccio di genere, non possiamo prescinderne. Simone de Beauvoir è stata una pioniera in questo campo.
Sulla questione dei camper della Polizia di Stato, tirato in ballo nell’articolo di Alessandra Serra, ci siamo espresse in tante, unanimemente, ritenendo insufficiente l’ennesima forma di protezione paternalistica delle donne che, una volta denunciata la violenza, rimarrebbero comunque in balia del loro aguzzino. Dalle Istituzioni ci aspettiamo un approccio diverso, non certo la riduzione della violenza a un hashtag da seguire virtualmente, come si fa per il lancio di un prodotto commerciale. Sappiamo che non c’è bisogno di solo materiale informativo da distribuire nelle piazze dove sosterà il camper, ma di soldi da destinare ai progetti di chi opera sui territori e fornisce un servizio vitale per le donne. Servizio, perché i centri antiviolenza sono un presidio fondamentale per la tutela ed il recupero delle donne vittime della violenza di genere, obiettivi che devono continuare a poter assicurare senza se e senza ma. Le difficoltà e i ritardi con cui arrivano a destinazione i fondi destinati al contrasto della violenza vanno invece nella direzione opposta. In questo contesto ci tocca anche assistere alla distribuzione di braccialetti in tinta estiva fluo, in bella mostra accanto ai camper della polizia di Stato. Siamo addirittura giunti ai gadgets, scelta anormale quando poi si giustifica la stretta sui fondi pubblici da destinare al contrasto alla violenza sessuata con la scarsità delle risorse finanziarie pubbliche. E mentre i centri antiviolenza continuano a stare in apnea, se non a chiudere, spendiamo soldi in braccialetti fluorescenti con inscritto Questo non è amore.
Per noi di “Chi colpisce una donna, colpisce tutte noi”, essere femministe è chiedere una rendicontazione puntuale delle risorse umane e finanziarie impiegate in questa operazione. Soprattutto i numeri delle donne incontrate e i riscontri di questi contatti, nonché i professionisti coinvolti e il costo della commessa dei gadget. Essere femministe è chiedere al Governo di interloquire con chi vive quotidianamente in situazioni critiche, e smetterla di ergersi a distributori di soluzioni che poi, numeri alla mano, non risolvono nulla. Essere femministe è richiamare i media e il giornalismo ad assumersi le proprie responsabilità in un’ottica di cambiamento culturale, che non può prescindere da un linguaggio rispettoso e da una rappresentazione delle donne priva di stereotipi sessisti e maschilisti.
Nella prospettiva più lunga vogliamo che ci si occupi seriamente con interventi celeri ed efficaci di queste priorità:
– La violenza machista contro le donne (tra cui la certezza del gratuito patrocinio per le vittime di violenza, una rete antiviolenza ampia che riesca a creare punti di ascolto e di prima accoglienza in collaborazione con le Asl)
– La sinergia tra tutti i componenti del sistema statale, in ottica di una politica del rispetto
– L’arretramento in tema di diritti e di garanzie
– Il livello culturale sul rispetto di genere praticamente assente
– Il taglio ai servizi
– La 194 schiacciata dall’obiezione
– I tagli alla Sanità
– I consultori pubblici che vanno rilanciati e sostenuti
– Le tutele per le lavoratrici che si ammalano (supporto malattie oncologiche per esempio).
Di questo dovremmo occuparci, tutt*, nessun* esclus*, anziché continuare a dividerci e ad attaccare le femministe che la pensano così. Concentriamoci sugli obiettivi concreti e condivisi. Gli orticelli lasciamoli al passato e alle cattive prassi che per tanto tempo hanno bloccato il raggiungimento degli obiettivi sperati. Salviamo il pluralismo e salveremo tutte le voci delle donne, proprio tutte. Anche quelle silenziose delle nuove generazioni di donne, che crescono pensando erroneamente di avere tutto ciò che serve per sentirsi libere e rispettate con una sorta di assuefazione ai miti del corpo piuttosto che a quelli della testa. Vi sembra che il femminismo sia agonizzante, poco pragmatico e chiuso in una torre d’avorio autoreferenziale e anacronistica? Ascoltateci e non incasellateci in un immaginario stereotipato che serve solo a preservare lo status quo.
Buona lotta femminista a tutt*!
Con l’occasione portiamo a conoscenza questa petizione che abbiamo lanciato la settimana scorsa:
https://www.change.org/p/on-ministro-angelino-alfano-vogliamo-competenza-non-apparenza
Il gruppo “Chi colpisce una donna, colpisce tutte noi”
Riferimenti ad articoli correlati:
http://www.unita.tv/opinioni/perche-non-vogliamo-essere-piu-femministe/
http://www.cheliberta.it/2016/07/17/cara-serra-non-confondiamo-diritti-civili-e-liberta-delle-donne/#comment-1959
http://www.unita.tv/opinioni/la-battaglia-delle-donne-in-un-mondo-non-piu-binario-ma-variegato/