Qualche giorno fa ho partecipato a un incontro con l’europarlamentare Antonio Panzeri. Tra i tanti interessanti argomenti trattati, è stata toccata anche la parte del «Rapporto annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo 2013 e la politica Ue in materia», in cui si parlava di diritti umani, più specificamente di diritti della donna, di cui avevo già parlato in questo post a ridosso del voto in Parlamento.
Panzeri ha chiaramente riferito che trincerarsi dietro il principio di sussidiarietà (come hanno scelto di fare anche alcuni eurodeputati S&D), adoperato nell’emendamento al testo Tarabella, è una scusa banale. È impensabile che l’Europa scelga fin dove avere una politica comune. Abbracciando il principio di sussidiarietà è come se l’Europa scegliesse quali diritti siano più o meno suscettibili di tutela nell’ambito comunitario, di quali debba occuparsene direttamente. L’Unione Europea deve avere una politica ben definita in tema di diritti umani. Il rischio è che si abbia una situazione “Arlecchino”, in cui gli stati tornino a disciplinare ognuno per conto proprio sui diritti e non solo. Il rischio di una rinazionalizzazione è molto forte, se non si sceglie di cedere un pezzo di sovranità per uniformare le condizioni di vita dei cittadini europei. Panzeri ha ribadito che i diritti non sono e non possono essere un lusso sacrificabile sull’altare dell’economia e che è compito degli stati dell’Unione garantire che questi diritti siano attuabili e vengano rispettati. I politici europei devono fare gli europei e non ragionare in termini di convenienza della nazione di provenienza o per questioni di tipo elettorale. C’è chiaramente una mancanza di una vera classe dirigente e politica europea.
Penso che molto si possa fare anche a livello di UE, per chiedere di uniformare la situazione, perché la sussidiarietà su questo tema è inaccettabile, crea solo violazioni di diritti, con conseguenze terribili. Pensare che ci siano paesi come Irlanda, Polonia, Lussemburgo in cui l’interruzione di gravidanza è fortemente limitata e Malta, in cui è vietata, crea un tessuto di disuguaglianza che tradisce i valori fondanti di una Comunità europea. Si creano eccezioni inaccettabili nei diritti.
La legislazione sull’interruzione di gravidanza in Irlanda ha un aspetto che resta spesso nell’ombra. Ancora una volta si discrimina per censo, perché di fatto chi ha la possibilità di andare all’estero, non resterà certo a subire le conseguenze della normativa del proprio paese. Per cui dovremmo porre l’accento sul fattore economico, sempre, perché certe norme non colpiscono tutte in egual misura. Su questo dovremmo batterci.
Anche da noi, quando si parla di contraccezione, dobbiamo puntare l’accento su uno stato che di fatto pone a carico delle donne un costo non proprio irrisorio. Nessuno si pone mai la domanda: quante potranno permetterselo? Lo stesso per quanto riguarda il numero crescente di personale medico e paramedico obiettore di coscienza (in alcune regioni raggiunge anche il 91%), che incrina una legge nazionale come la 194. Così come quando mi si risponde che non importa se i consultori pubblici rischiano di scomparire, “tanto vado dal ginecologo privato”. E se non te lo potessi più permettere? I diritti o sono esercitabili realmente da tutti o non sono tali.
I temi della salute sessuale e riproduttiva, dell’aborto e dei diritti delle donne sono sempre un passo indietro, sono sempre poco attrattivi a livello politico e di dibattito/attivismo. È meglio non parlarne più di tanto, perché poi a livello politico penalizzano e rischi l’isolamento. Anche a costo di questo rischio, io non smetto di parlarne e di cercare di farmi sentire, poco importa se poi mi accuseranno di essere monotematica e schierata. Bisogna scegliere da che parte stare e non mollare mai. È una questione di sostegno e di diffusione, che penalizza le donne. Influisce certamente una società ancora molto maschilista, per cui se un diritto interessa unicamente le donne, l’impegno ad attuarlo scarseggia. Fino a quando i diritti si slegheranno, si terranno separati, non ci sarà vero progresso. I diritti umani o si considerano come un corpo unico, indivisibile, oppure non hanno senso e perdono di valore. I diritti sono la base per il nostro sviluppo, per la nostra qualità della vita, per garantire progresso e condizioni uguali per tutti. Se non sono universali qualcuno sarà meno tutelato di un altro: a questo dobbiamo opporci.
Chiedo a tutte le donne di non svegliarsi solo quando un problema bussa alla loro porta. Mobilitiamoci e chiediamo che lo scempio sinora permesso, subisca un arresto. Fino a quando penseremo che sia normale che strutture convenzionate con il pubblico possano esimersi dall’applicazione della 194? Perché non ci indigniamo davanti a un consultorio che riceve soldi pubblici, i nostri, per poi non garantire un servizio? Perché non chiediamo di concedere le convenzioni solo sulla base di una garanzia certa che venga applicata la 194? Perché poi interferire con i fondi Nasko e Cresko su una decisione così complessa come quella di decidere di diventare madre? Monetizzare una maternità? Cosa c’è di pubblico e laico in tutta questa gestione? Cosa c’è di pubblico in un sistema che diventa a pagamento (i consultori)? Grazie a Eleonora Cirant per il suo impegno costante. Qui lo stato dei consultori lombardi, presentato nel corso di un incontro sui consultori, tenutosi a Brescia.
E non venite a chiedere incentivi pecuniari per attuare una legge dello stato (qualcuno ha lanciato questa ipotesi), per un compito che rientra pienamente nell’arco delle funzioni di assistenza di un medico che sceglie di specializzarsi in ginecologia. Non voglio nemmeno pensare che l’IVG possa rientrare nelle pratiche intra moenia. Perché sarebbe l’apoteosi della mercificazione e della monetizzazione di una pratica medica, che diventa di colpo appetibile e conveniente da svolgere, “chi se ne frega dell’obiezione, basta che mi paghino un plus extra”. Non voglio credere o pensare che ci siano professionisti di questo tipo e che siamo in balia del denaro. Quando è nata la legge 194 era necessario permettere la scelta per quanti già esercitavano prima della norma. Oggi, basterebbe porre una condizione all’ingresso nelle specializzazioni o comunque porre un limite nelle quote dei concorsi.
In tema di contraccezione: un’Infografica coi dati sulla contraccezione nel mondo QUI
“E all’interno dell’Europa, l’Italia è tra i peggiori Paesi sul tema. Siamo 18 punti sotto la media europea per l’uso di contraccettivi moderni. E da noi solo il 17,6% delle donne usa la pillola, contro una media europea del 21,3%. L’uso Pillola cresce al crescere del reddito pro capite (indice di altri livelli di istruzione, secolarizzazione e consapevolezza) ma l’Italia è il fanalino di coda anche tra i paesi industrializzati europei. Sotto di noi in classifica (ma con un PIL pro capite molto più basso) solo Russia, Ucraina, Polonia e Grecia.”