
Fiore blu – Georgia O’Keeffe (1887-1986)
Lo scorso 18 giugno ho partecipato a un convegno, organizzato dalla Caritas Ambrosiana, per cercare di afferrare ulteriori spunti di approfondimento sul tema della prostituzione.
L’incontro ha avuto il pregio di affrontare il problema da più punti di vista: quello degli operatori del terzo settore che prestano assistenza alle prostitute, cercando di fornirgli una “via d’uscita”, quello giuridico, attraverso l’analisi della legislazione in materia, quello sociologico e storico.
Il lavoro degli operatori della Caritas è rivolto alle donne sfruttate, a coloro che usano il proprio corpo per sopravvivere, che rappresentano il segmento maggiore del fenomeno prostituzione.
L’avvocato della Caritas, Manuela De Marco, ci ha illustrato la ricerca condotta dalla Caritas nel 2013, nel corso delle uscite notturne dei volontari dell’unità di strada Avenida, della cooperativa Farsi Prossimo di Caritas Ambrosiana. L’indagine è nata dalla necessità di tornare a inquadrare il fenomeno. Dopo gli anni ’90 che hanno visto fiorire un buon numero di associazioni e di servizi per cercare di intervenire sul problema, oggi a causa delle difficoltà di reperire fondi ad hoc, le attività sono sempre più in affanno. In questo contesto, anche quantificare i numeri della tratta è un’impresa ardua: occorre intercettare le vittime e creare una banca dati sistematica che dia evidenza dei permessi di soggiorno, per motivi umanitari, così come previsto dall’art.18 T.U. 286/98 sull’immigrazione.
L’indagine ha visto la collaborazione di 156 enti che operano sul territorio, cercando di rilevare sia la mappatura dei servizi offerti da coloro che si occupano di tratta, sia la percezione degli operatori rispetto al fenomeno.
È emersa una discrepanza tra i dati ufficiali e quelli riportati dagli enti interpellati. Anche le ordinanze che prevedevano le multe per i clienti hanno avuto un effetto limitato nel tempo, per cui, passata la paura iniziale, le ragazze sono tornate di nuovo per strada. I servizi di assistenza sono più numerosi e strutturati al nord, rispetto al resto d’Italia. La ricerca si è limitata a tracciare una fotografia della tratta delle donne, non riuscendo a intercettare altre forme di sfruttamento, come quello legato al traffico d’organi, né la prostituzione in appartamento. Le nazionalità delle donne incontrate hanno evidenziato una netta maggioranza di rumene e di nigeriane, con un ritorno delle albanesi. Il numero di minorenni cresce. È stato colto un peggioramento delle condizioni di vita di queste donne, che vanno dalla povertà al disagio psichico e alle dipendenze da stupefacenti e alcol. Tutte queste componenti aumentano le difficoltà di un recupero e di un reinserimento. La crisi e la precarietà del lavoro ha compromesso la situazione per gli stranieri, favorendo lo sfruttamento delle donne.
Si è parlato anche della connessione tra vittime di tratta e le richiedenti asilo: la prima condizione andrebbe accertata in fase di arrivo delle immigrate per favorirne l’inserimento in percorsi ad hoc.
Qui il comunicato stampa e alcuni grafici che illustrano i risultati.
Molto interessante è stata l’analisi di Giorgia Serughetti, assistente di ricerca presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Milano-Bicocca e autrice del libro Uomini che pagano le donne – Dalla strada al web, i clienti nel mercato del sesso contemporaneo – 2013 edizioni Ediesse.
La legge Merlin e i lunghi dibattiti che la accompagnarono non analizzarono la dimensione del cliente e la domanda di prostituzione, restando solo alla superficie del fenomeno, senza curarsi di indagarne le cause profonde. Oggi non possiamo evitare di non vedere il legame tra patriarcato, meccanismi di consumo e prostituzione, così come è innegabile il ruolo centrale di un modello culturale.
Chi sono oggi i clienti? Il numero di chi ha pagato una donna almeno una volta nella vita oscilla tra un 10-40%. In Italia 1 su 8. Pagare una donna è “normale”, non è sinonimo di devianza se questi sono i numeri. I clienti sono dei maschi banali, rappresentano un universo multi-sfaccettato. Non entra in gioco solo il modello patriarcale, di coloro che non hanno ancora fatto i conti con i movimenti di liberazione della donna. Si tratta di uno specchio dei comportamenti che si fondano sul dare-avere, senza legami di sorta, in un fluido scambio di relazioni, fondate su una visione consumistica.
Quando si cerca di trovare delle soluzioni al problema della prostituzione, oggi il dibattito si alterna essenzialmente tra il modello svedese o nordico (che prevede un meccanismo sanzionatorio per il cliente e criminalizza la domanda) e il modello olandese/tedesco (che sostiene la legalizzazione e la predisposizione di una serie di diritti per le sexworkers). Critiche e limiti ci sono per entrambi i sistemi. Il primo è stato accusato di rendere più pericolosa la condizione della donna, che sarebbe più esposta a episodi di violenza. Nel secondo caso, ci sarebbe una strutturazione pubblica e una gestione organizzata della prostituzione, che diverrebbe di fatto un lavoro come un altro, regolamentato e disciplinato dalla legge: il risultato sarebbe un’accettazione passiva del fenomeno, senza indagarne le cause e le origini e senza necessariamente risolvere il problema della tratta e dello sfruttamento da parte della criminalità.
Dopo il fallimento del tentativo del ministro Carfagna che nel 2009 voleva introdurre un meccanismo sanzionatorio per i clienti, si sono succedute una serie di ordinanze locali di vario tipo, nessuna delle quali è stata in grado di arginare la piaga dello sfruttamento.
Anche la proposta di legge dell’onorevole Spillabotte, secondo Serughetti, copre solo coloro che intendono svolgere volontariamente la professione, non contemplando coloro che invece sono costrette a prostituirsi. Resta la difficoltà di creare una legislazione unitaria in grado di aiutare e garantire sia la prostituzione coatta che libera, che copra tutte le fattispecie.
In questo contesto, occorre mettere a fuoco il fatto che vi è una commistione delle logiche che afferiscono alla dimensione intima e quelle tipiche della sfera economica. Il fenomeno del consumo e dell’acquisto di un altro corpo rientra in un immaginario tutto da comprendere e da analizzare. Il fenomeno va compreso a partire dal suo humus culturale. Un tempo l’unica ad essere stigmatizzata era la prostituta, oggi anche il cliente ha difficoltà a dichiarare apertamente di essere tale, un consumatore di prostituzione.
A questo si aggiunge il processo di normalizzazione del mercato del sesso, attraverso la pubblicità (utili le analisi del sito Un altro genere di comunicazione, ndr), i comportamenti di parte del mondo politico, il rapporto tra potere-prestigio-consumo che passa attraverso il possesso del corpo di una donna. Sono necessarie politiche in grado di stimolare la costituzione di un nuovo immaginario.
Mi propongo di leggere il lavoro di Serughetti, che mi è sembrata dotata di un linguaggio interessante e per niente banale.
L’intervento di Sandro Bellassai (Docente di Storia contemporanea presso l’Università di Bologna, membro dell’associazione Maschile Plurale, autore del libro La legge del desiderio – Carocci) ha tratteggiato i passaggi storici della regolamentazione della prostituzione, dal regolamento Cavour del 1860 alla legge Merlin che cambiò l’assetto del desiderio maschile, fondato su una differenza di potere tra il mondo dell’uomo e delle donne.
Si pose fine alla schedatura delle prostitute presso le Questure italiane, che segnava a vita le donne e le privava di alcuni diritti civili (addirittura all’inizio del suffragio universale, nel 1945, si voleva negare l’elettorato passivo e attivo alle prostitute; la correzione arrivò solo nell’ottobre 1945). Inoltre, vennero abolite le visite mediche obbligatorie per le prostitute, una vera e propria violenza e un sopruso da parte dello stato.
È stato ricordato il libello di Indro Montanelli sulle case chiuse, “Addio, Wanda!”, del 1956: “un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli: la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre grandi istituzioni trovavano la più sicura garanzia”. Montanelli non era immune da un immaginario maschile, a dir poco reazionario (ricordiamo il suo racconto “esotico”).
I dieci anni che precedono l’approvazione della legge Merlin, vedono la donna al centro del confronto e dei dibattiti. La donna che è naturalmente viziosa e lussuriosa. La donna che nei secoli è stata considerata necessaria all’uomo, in funzione del soddisfacimento dei suoi desideri. Tant’è vero che vi era il riconoscimento del diritto di comprare una donna, pagando la tariffa prevista. C’era di fatto una dicotomia tra questa “normalità” di pagare una donna e la scelta di creare dei luoghi chiusi, nascosti, come se ci fosse qualcosa di non normale. In tutto questo, il desiderio maschile, seppur vizioso, viene scaricato sulla donna, che diviene “discarica” impura dei vizi dell’uomo, che così si “purifica”. Mentre il desiderio femminile non può che essere unicamente finalizzato a quello maschile.
Altra contrapposizione creata dagli uomini è quella tra prostituta da un lato, che dev’essere lussuriosa e sporca, e l’angelo del focolare, pura, asessuata, funzionale alla riproduzione, moglie sottomessa e muta.
Desidero aprire una breve parentesi, a proposito di vita coniugale, per suggerirvi questa ricostruzione su più livelli tratta dal blog di Ida, accurata e ottimamente documentata.
Le prostitute venivano considerate affette da “follia morale” da numerosi di medici, evidentemente ancora sotto l’influsso di tesi lombrosiane, davvero inaccettabili. Permaneva l’idea dell’esistenza di una sorta di profilo innato, potremmo dire genetico, della prostituta, come se si trattasse del corrispettivo femminile del criminale lombrosiano.
Anche le visite mediche a cui erano obbligate le prostitute non erano volte a salvaguardare la salute delle donne, bensì a garantire che l’uomo “puro” non si infettasse. C’era solo il diritto maschile alla salute. La donna era infetta a priori nel caso non si fosse lasciata visitare. Potete immaginare le condizioni igieniche di queste visite e il rischio di contrarre davvero qualche malattia. Il corpo della prostituta è di pubblica proprietà, per cui lo stato ha il potere di coercizione su tale corpo, attraverso le visite.
Con la legge Merlin qualcosa cambia, ma non si parla di diritti e di dignità di queste donne, non si indaga sulla loro condizione, restano sempre un gruppo opaco, poco conosciuto, come se tutte fossero uguali, con le stesse problematiche e le stesse aspettative. Interrogarsi per comprendere meglio questa realtà, cercare di riflettere sulla domanda di prostituzione, portando al centro del discorso l’uomo, aiuterebbe a far emergere la disuguaglianza di potere tra uomini e donne nella società.
Marco Quiroz Vitale, Docente di Sociologia dei diritti umani presso l’Università degli studi di Milano, ha voluto dimostrare l’attualità della legge Merlin, le cui lacune iniziali e le previsioni troppo ampie sono state sanate nel tempo dai vari pronunciamenti della dottrina e della giurisprudenza e da leggi successive. Pertanto “non si vede la necessità di modificare l’assetto della Merlin, non vi sono ragioni tecniche o giuridiche. La norma è tuttora efficace e serve a contrastare le attività criminali e penalmente perseguibili”.
Al dibattito è mancata, a mio avviso, una riflessione su come sia importante l’educazione a scuola, il prima possibile, strutturando programmi adeguati di educazione sentimentale, sessuale e all’affettività. La famiglia non può e non deve essere l’unico contesto per far maturare le future generazioni e fargli comprendere i benefici di un rapporto equilibrato tra i sessi, fondato sul rispetto reciproco. Ma forse il contesto del convegno non consentiva una trattazione “serena” di una materia che da sempre ha avuto “pochi sostegni” da ambienti confessionali. Eppure la rivoluzione culturale, più volte evocata, passa anche per l’abbandono di certe zavorre ideologiche. Se veramente vogliamo cambiare. Altrimenti ci limiteremo sempre solo a parlarne, senza tentare di sradicare a monte il fenomeno dello sfruttamento e della tratta.
Se poi qualcuno ritiene che prostituirsi sia un lavoro come un altro, liberi di pensarlo, ma raccontatelo a chi ogni giorno non ha alternative, subisce violenze ed è schiava. Perché la maggioranza non è composta da sexworkers sorridenti e libere. La vita della maggior parte delle prostitute non è autodeterminata. Queste donne non hanno scelta e, ripeto, sono la maggioranza di coloro che si prostituiscono. Per queste donne dobbiamo lottare, per queste donne occorre trovare strumenti e servizi per renderle libere dai loro sfruttatori e non solo. Libere dalla violenza quotidiana. Perché le vittime sono persone reali. Come queste.
Non serve a nulla raccontare storie al “limite”, lontane culturalmente e geograficamente da noi, per sostenere quanto è bello essere libere di prostituirsi. Impariamo a ragionare focalizzandoci sul nostro contesto e non su storie singole. Analizziamo i dati, i fatti, i racconti di chi è sulla strada perché qualcuno le costringe. Per onestà e per non raccontare favole sulla pelle delle donne che libertà di scelta non hanno.
