Nuvolette di pensieri

Mormora l'acqua del ruscello

Prospettive e propositi

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La Corte di Cassazione ha di recente ritenuto legittimo il licenziamento se l’azienda vuole aumentare i profitti. Una decisione sulla base dell’art. 41 della Costituzione, “se l’attività dei privata è libera, deve esserlo anche la possibilità di organizzarla al meglio.”

Dipende dai punti di vista. Se coltiviamo il miraggio di un sistema liberista che si autoregola, può essere anche una buona notizia. Al contrario ci troviamo di fronte a una ennesima pillola amara che segna l’abisso in termini di diritti dei lavoratori.

Un sistema produttivo estremamente cambiato, in cui il prodotto del lavoro si è smaterializzato, molte tipologie di lavoro sono diventate in via d’estinzione, i lavoratori sono intercambiabili e i contratti sempre più strozzati e al ribasso, le retribuzioni abbastanza ferme e stagnanti verso il basso. In questo contesto si continua a privilegiare il bene dell’impresa, fregandosene del bene dell’individuo che vede precarizzare la sua posizione lavorativa e di vita sine die. Ma sappiamo che il bene dell’impresa ormai si riduce a una navigazione a vista, alla ricerca di incentivi, sponde governative, sgravi, gare, appalti amicali, politici, cessioni di rami di azienda, acquisizioni in cui far affogare le perdite, speculazioni varie. Non importa il futuro. Ci siamo mangiati l’alimentare e tanto altro. Ci siamo mangiati professionalità perché tutti siamo o sembriamo sostituibili e intercambiabili, salvo poi avere risultati mediocri che qualcuno dovrà rattoppare a paghe misere.

Da qui dovremo ripartire, da questa pagina triste per tornare a sanare le ferite di un affievolimento dei diritti dei lavoratori sempre più devastante. Per chi non ha paracaduti.

In questi giorni riflettevo su una questione. Per molte persone è veramente difficile capire di cosa si sta parlando, quali sono i termini reali in gioco, perché non ascoltano. Fanno fatica a comprendere realmente la storia di una persona vicina, una persona che non è stata licenziata, nonostante fosse ancora in vigore l’art. 18, ma che è stata “invitata a dimettersi” se non tornava a “pieno ritmo” dopo la maternità (straordinari non pagati e orari che si dilatavano fino alla sera e nei weekend di lavoro non retribuiti, trasferte prolungate fuori regione e fuori Italia, reperibilità h24). Perché il pieno ritmo è lavorare senza limiti e soprattutto gratis. Una persona che per un po’ ci ha anche provato, che si è vista cancellare premi di fine anno, che a un certo punto ha chiesto un part-time temporaneo per reali esigenze anche inerenti a problemi di salute, vedendosi naturalmente negata questa opzione. Una persona che avrebbe potuto fare causa, ma ha mollato perché aveva ben altri pensieri più urgenti. Certo accade anche di peggio, ma rassegnarci non migliorerà la situazione. E noi donne solitamente siamo coloro che pagano più duramente un arretramento in termini di diritti e tutele.

Di questo dovremo occuparci, in un sistema che premia chi ha le spalle coperte e suggerisce agli altri di arrangiarsi. Un sistema che tiene dentro chi ha protezioni e non qualità. Un sistema che non offre grandi prospettive a chi vuole restare o che non può permettersi di andare all’estero. Un sistema che ignora le conseguenze negative di politiche deboli e poco diffuse di conciliazione e condivisione (molto più di un mini congedo di paternità obbligatorio di due giorni, che si prospetta diventeranno 4 dal 2018, coperture permettendo). Un sistema che non riesce a interpretare le esigenze delle donne che vogliono lavorare e non rinunciare a una vita privata. Per questo dovremo tornare a combattere nel 2017 e negli anni a venire, nonostante qualcuno dica che tornare a garantire tutele ai lavoratori è anacronistico e una zavorra per la ripresa e lo sviluppo economico. Dovremo tornare a ripensare al welfare tutto, pensando a un mondo che è cambiato ma non può rinunciare a garantire diritti e dignità alle persone. Pensando che le disparità non sono affare privato, ma politico.

Non dimentichiamo le parole del ministro Poletti. Non dimentichiamo i differenziali di potere, non facciamoci fregare per le briciole e per una guerra tra poveri, dove trova spazio chi può contare su influenti sponsor. Non dimentichiamo chi vuole rientrare nel mondo del lavoro e trova solo condizioni schiaviste, chi lavora in nero perché altrimenti non lavorerebbe, chi non ha altra prospettiva che un voucher.

Fare politica è innanzitutto porsi in ascolto. Marta descrive bene la situazione del lavoro in Italia. Non cerchiamo la luna nel pozzo, ma quanto meno rispetto per chi resta, per le condizioni che si è costretti ad accettare, per chi va via, per le difficoltà che si assumono. Perché di presa di responsabilità si parla, quando compiamo delle scelte molto spesso dettate dall’esterno, su cui noi abbiamo poco margine per incidere. Ci prendiamo le nostre responsabilità perché in un Paese dove è forte il familismo e l’ascensore sociale bloccato, non siamo rimasti a guardare. Ciascuno di noi ha preso la sua strada, ha investito il suo tempo in anni di studio, ha scelto l’emigrazione interna o all’estero, ha sperato con tutte le sue forze che prima o poi qualcosa sarebbe cambiato in meglio. C’è chi dopo anni di precariato ha visto finalmente arrivare il contratto a tempo indeterminato e poi lo ha visto sgretolarsi all’arrivo di un figlio. C’è tutta la storia di intere generazioni che hanno dovuto cambiare prospettiva talmente di frequente che è diventata un’abitudine non riuscire a programmare non dico il dopodomani, ma nemmeno il domani. Quanto meno lasciateci la dignità, il rispetto di non schernirci, di non abbatterci. Non volete vederci, ma almeno il rispetto dato dal silenzio. Perché intervenire sul lavoro non può avvenire a suon di bonus, perché il domani si può rendere meno oscuro se tornate a darci i diritti che ci sono stati tolti con la prospettiva di un’economia capace di risolvere le disparità e le differenze sociali. C’è chi è tornato indietro nella scala sociale, nonostante tutti gli sforzi e i sacrifici propri e dei genitori. C’è chi si accontenta di non avere garanzie e tutele pur di lavorare, perché questa è la prospettiva che gli è stata insegnata, a volte l’unica che ha conosciuto. Perché ci sono comparti in cui non arriva più nemmeno il sindacato, fortini dei “Padroni” dove la contrattazione avviene tra datore e prestatore di lavoro, senza intermediari, col nodo scorsoio che si stringe al collo, un affitto da pagare, una cig in corso da cui scappare (dal 2017 la Naspi, l’indennità di disoccupazione, sostituirà la cassa in deroga), una famiglia da mantenere. Se questi sono diritti, se questa può definirsi normalità. E intanto ti senti ripetere che questo è quello che c’è per chi non ha le spalle coperte. Se sei una donna le prospettive le viviamo sulla nostra pelle, scavano fino a riportarci nei nostri ruoli secolari. Per questo ho firmato per i referendum Cgil. Perché la nostra dignità è stata calpestata a favore del mercato e della concorrenza. Mi rimane solo l’orgoglio di aver trovato lavoro sempre con le mie sole forze, senza bisogno di sponsor familiari o amicali. Così continuo a far politica. Irrisa sì, ma libera da catene. Capace di un senso critico autonomo che non è servo di nessuno. Capace di evidenziare le cose che non vanno, senza paura di ritorsioni.

Tempo fa una giovane rampolla “lanciata” in politica da illustri capibastone, mi ha detto che le competenze in politica non sono una condizione necessaria, che l’importante è il cognome, la famiglia, le relazioni che può assicurare, il resto poi si farà, se proprio necessario. Una vera e propria resa di fronte a una cultura politica fondamentale, a un progetto, a un sistema di valori, a una direzione politica, a un impegno solido e profondo, con radici solide costituite di approfondimento autentico e personale, non finalizzato a una tornata alle urne o al mantenimento di bacini elettorali. Se non abbiamo una direzione e obiettivi di lungo periodo, una cultura politica che ci faccia da guida e legittimi le nostre scelte, senza costruire benessere diffuso e progettualità che salvaguardino tutti i cittadini, si tornerà (si è già tornati) alla politica delle clientele, degli scambi, del potere di capibastone e gestori di bacini elettorali, delle strane interconnessioni tra interessi privati e individuali e politica, di una prevalenza delle reti amicali, familiari e clientelari. Non risponderemo che a questo sistema, tralasciando tutte le istanze reali di tante/i cittadine/i.

Ogni tanto sarebbe utile allargare lo sguardo e capire che la crescita economica da sola non basta ad affrontare e risolvere la crescente disuguaglianza, che aumenta e non si risolve a suon di PIL. La politica si deve occupare anche di altri fattori se non vuole aumentare la forbice delle diseguaglianze.

Vi riporto questo articolo del Wef. Ogni tanto leggere non guasta per chi fa politica. Perché non si fa politica limitandosi a guardare ombre di realtà in una caverna buia. La realtà va compresa immergendovisi e comprendendo le istanze, ascoltandola e guardandola con i propri occhi, senza filtri.

“Un quarto di secolo dopo la pubblicazione nel 1990 del primo Human Development Report, il mondo ha fatto importanti passi nella riduzione della povertà, per migliorare la salute, l’istruzione, le condizioni di vita di centinaia di milioni di persone.Tuttavia è impressionante osservare come miglioramenti di questo tipo non siano stati equamente distribuiti. Permangono profonde disparità di sviluppo umano nei e tra i Paesi.

L’aspettativa di vita dei bambini come sappiamo non è omogenea, con fattori discriminanti che riguardano non solo il Paese di nascita, il reddito familiare, ma anche il livello di istruzione delle madri.

(…)

Queste differenze derivano da una serie di motivi. Esistono “disuguaglianze verticali”, causate da una distribuzione del reddito distorta, così come “le disuguaglianze orizzontali”, derivanti da fattori razziali, di genere ed etnia, e quelle che si formano tra le comunità, a causa della segregazione residenziale.

Molte persone sperimentano diverse e contemporanee forme di discriminazione, e il grado di esclusione è il risultato dell’interazione tra le diverse forme di discriminazioni. Una combinazione di disuguaglianze verticali e orizzontali possono causare forme di esclusione ed emarginazione estreme, che a loro volta perpetuano povertà e disuguaglianze di generazione in generazione.

Fortunatamente, il mondo è diventato sempre più consapevole degli effetti perniciosi della disuguaglianza sulla democrazia, la crescita economica, la pace, la giustizia e lo sviluppo umano. È diventato chiaro che la disuguaglianza erode la coesione sociale e aumenta il rischio di violenza e instabilità.

In ultima analisi, le politiche economiche e sociali hanno due facce della stessa medaglia.

Oltre al dibattito morale per ridurre le disuguaglianze, vi è anche quello economico. Se la disuguaglianza continua ad aumentare saranno necessari indici di crescita più elevati per sradicare la povertà estrema, che se i vantaggi economici fossero più uniformemente distribuiti.

Alti livelli di disuguaglianza sono correlati alla presenza di élite di potere che intendono unicamente difendere i propri interessi, bloccando le riforme egualitarie. Il problema non è solo di disuguaglianza, ma di come essa ostacoli il perseguimento di obiettivi collettivi e del bene comune; inoltre erige ostacoli strutturali allo sviluppo, per esempio, attraverso la tassazione insufficiente o regressiva e blocchi degli investimenti nel campo dell’istruzione, della sanità, o delle infrastrutture.

La crescita da sola non può garantire la parità di accesso a beni e servizi pubblici di alta qualità; sono necessarie politiche adeguate. La recente storia dell’America Latina, la regione più diseguale del mondo, fornisce un buon esempio di ciò che è possibile quando sono messe in atto certe politiche. La regione ha visto significativi miglioramenti in ambito di inclusione sociale, durante il primo decennio di questo secolo, attraverso una combinazione di dinamismo economico e di impegno politico per la lotta alla povertà e disuguaglianza, come i problemi interdipendenti.

Grazie a questi sforzi, l’America Latina è l’unica regione al mondo che è riuscita a ridurre la povertà e la disuguaglianza, pur continuando a crescere economicamente. Più di 80 milioni di persone sono entrate nella classe media, che per la prima volta ha superato la quota di popolazione dei poveri.

A dire il vero, alcuni hanno sostenuto che questo è stato reso possibile dalle condizioni esterne favorevoli, compresi i prezzi elevati delle materie prime, il che ha sostenuto l’espansione economica. Tuttavia, il World Bank’s LAC Equity Lab conferma che la crescita spiega solo una parte dei guadagni sociali dell’America Latina. Il resto è frutto della redistribuzione attraverso la spesa sociale.

Infatti, politiche progressiste erano al centro dell’espansione economica stessa: una nuova generazione di lavoratori più istruiti ha fatto ingresso nella forza lavoro, in grado di guadagnare salari più alti e raccogliendo dividendi di spesa sociale. I maggiori incrementi salariali si sono verificati nelle fasce di reddito più basse.

Ora che l’America Latina è entrata in un periodo di crescita economica più lenta, questi risultati sono stato messi alla prova. I governi hanno meno spazio fiscale, e il settore privato è meno in grado di creare posti di lavoro. Gli sforzi per ridurre la povertà e la disuguaglianza sono a rischio di stallo – o anche di perdere le conquiste fatte a fatica. I politici della regione dovranno lavorare duramente per mantenere i miglioramenti dello sviluppo umano a lungo termine.

L’importanza di affrontare le questioni legate alla disuguaglianza è sancita negli ideali della Rivoluzione francese, nelle parole della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, e negli obiettivi per uno sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Uno sforzo fondamentale per plasmare non solo un mondo giusto, ma anche pacifico, prospero e sostenibile. Se, come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dice, “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”, non dovremmo tutti essere in grado di continuare a vivere in quel modo?”

 

Un augurio per un 2017 in grado di mettere seriamente come priorità la lotta alle discriminazioni e alle disuguaglianze. Un 2017 che sappia essere ACCOGLIENTE e migliore per tutti. Per una vita dignitosa per tutti, nessuno escluso.

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Disamorex: il salva vita per le donne a rischio di violenza. Perché chiamarlo amore non si può.

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Disamorex, salva vita per le donne a rischio di violenza. Una scatolina di 6 bustine contenenti principi attivi contro la violenza maschile sulle donne, una serie di informazioni e di domande su cui riflettere, con la n° 6 che indica a chi rivolgersi in caso di bisogno. Un percorso di presa di coscienza accompagnato da un vero e proprio “bugiardino”. Consapevolezza è il primo passo, saper conoscere e riconoscere le varie forme di violenza, con una particolare attenzione alle adolescenti, per aiutarle a capire che certi comportamenti non devono essere sottovalutati o confusi con segnali di amore, che amore non è.

Un bel progetto rivolto alle adolescenti e alle donne di tutte le età, da diffondere, perché è differente, efficace, curato e centra il punto. Spesso ci chiediamo come riuscire a comunicare in modo semplice e comprensibile cosa si intende per violenza, come possiamo riconoscerla, come possiamo affrontarla e superare questo ostacolo che imprigiona e soffoca le vite di tante donne.

 

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Sulle molestie nei luoghi di lavoro l’Italia si allinea all’Europa

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Qui di seguito una versione più estesa dell’articolo pubblicato su Dols Magazine qui.

 

Un patto, un punto di incontro, una chiara intesa di collaborazione tra le parti sociali sul tema delle molestie e le violenze sul lavoro. Di questo si è parlato lo scorso 14 novembre all’interno del convegno tenutosi presso Palazzo Pirelli. Il pezzo è un po’ lungo, ma rappresenta un quadro utile della situazione attuale, su un tema che a mio avviso non ha ricevuto il giusto rilievo.

All’interno della Legge Regionale 3 luglio 2012, n. 11 – Interventi di prevenzione, contrasto e sostegno a favore di donne vittime di violenza, troviamo un chiaro riferimento anche al tema del convegno:

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Con l’Accordo siglato il 26 aprile 2016 Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza, con Cgil Camera del Lavoro Metropolitana di Milano, Cisl Milano Metropoli, Uil Milano e Lombardia hanno recepito l’Accordo Quadro della parti sociali europee del 26 aprile 2007 e dell’Accordo Quadro sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro del 25 gennaio 2016 tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL.

Il documento vuole diffondere una cultura che prevenga e contrasti ogni atto o comportamento che si configuri come molestia o violenza nei luoghi di lavoro.

A tale fine si sostiene la necessità di promuovere iniziative di informazione e formazione all’interno delle aziende, anche utilizzando gli strumenti previsti dalle norme vigenti e dai contratti in materia di aggiornamento formativo. Vengono, inoltre, identificate strutture interne e esterne all’azienda alle quali le lavoratrici e i lavoratori vittime di molestie o di violenza possono liberamente rivolgersi per affrontare le problematiche dirette ed indirette collegate al tema, nel rispetto della discrezione necessaria al fine di proteggere la dignità e la riservatezza dei soggetti coinvolti. Viene anche istituito un tavolo di monitoraggio che, attraverso una valutazione del fenomeno, sia in grado di proporre azioni di sensibilizzazione degli attori che si occupano del tema a vario titolo sul territorio. A tal fine le parti firmatarie si impegnano ad incontrarsi semestralmente presso la sede di Assolombarda.

Esistono già buone pratiche aziendali, si pensi ai Comitati unici di garanzia (CUG) previsti da Regione Lombardia in ambito sanitario.

Le molestie sul lavoro sono figlie di rapporti di potere e di squilibri tra i generi. Esistono forme di violenza più nascoste e pertanto più difficili da combattere.

La professoressa Manuela Lodovici dell’Univesità Cattolica del Sacro Cuore di Milano ha rilevato come ci sia poca consapevolezza della gravità del fenomeno, dei costi non solo economici ma individuali ed aziendali che comporta. Per questo è necessario intervenire. L’ultima indagine Istat in materia risale al 2010 sugli anni 2008-2009, su 24 mila 388 donne di età compresa tra i 14 e i 65 anni. È difficile percepire la gravità di simili atti di violenza da parte delle donne, dell’azienda e della collettività. Spesso sono proprio le molestie psicologiche quelle più complicate da dimostrare e quindi che vengono denunciate.

Il fenomeno e i numeri

Dall’ultima indagine Istat emerge che:

“Circa la metà delle donne in età 14-65 anni (10 milioni 485 mila, pari al 51,8 per cento) hanno subito nell’arco della loro vita ricatti sessuali sul lavoro o molestie in senso lato come pedinamento, esibizionismo, telefonate oscene, molestie verbali e fisiche.

Negli ultimi tre anni sono state 3 milioni 864 mila (il 19,1 per cento del totale) le donne di 14-65 anni ad aver subito almeno una molestia o un ricatto sessuale sul lavoro. Le più colpite da questo fenomeno sono le ragazze di 14-24 anni (38,6 per cento).”

“Sono 842 mila (il 5,9 per cento) le donne di 15-65 anni che, nel corso della vita lavorativa, sono state sottoposte a ricatti sessuali sul posto di lavoro, l’1,7 per cento per essere assunte e l’1,7 per cento per mantenere il posto di lavoro o avanzare di carriera. Le donne a cui è stata chiesta una “disponibilità sessuale” al momento della ricerca del lavoro risultano essere quasi mezzo milione, pari al 3,4 per cento. Negli ultimi tre anni sono state 227 mila (l’1,6 per cento) le donne che hanno subito ricatti sessuali; all’un per cento è stata richiesta la disponibilità sessuale al momento dell’assunzione (per un totale di 140 mila donne), lo 0,4 per cento è stato ricattato per essere assunto (per un totale di 61 mila donne) e lo 0,5 per cento per mantenere il posto di lavoro o avanzare di carriera (per un totale di 65 mila donne). Ciò che caratterizza maggiormente le vittime di ricatti sessuali nel corso della vita è il fatto di avere un titolo di studio elevato: le donne che presentano il tasso di vittimizzazione più basso hanno, infatti, al massimo la licenza elementare (1,8 per cento nella vita e 0,1 per cento negli ultimi tre anni).”

Le reazioni

Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nell’81,7 per cento dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro (80,2 per cento negli ultimi tre anni). Solo il 18,3 per cento di coloro che hanno subito ricatti nel corso della vita ha raccontato la sua esperienza, soprattutto ai colleghi (10,6 per cento).

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Quasi nessuna delle vittime ha denunciato l’episodio alle forze dell’ordine. La motivazione più frequente per non denunciare il ricatto subito nel corso della vita è la scarsa gravità dell’episodio (28,4 per cento), seguita dall’essersela cavata da sole o con l’aiuto dei familiari (23,9 per cento), dalla mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine o dalla loro impossibilità di agire (20,4 per cento) e dalla paura di essere giudicate e trattate male al momento della denuncia (15,1 per cento). Negli ultimi tre anni, la scarsa gravità dell’episodio (31,4 per cento) e l’essersela cavata da sole o con l’aiuto dei familiari (28,4 per cento) sono in aumento tra le motivazioni della mancata denuncia, così come la paura delle conseguenze per la propria famiglia, mentre diminuiscono le vittime che hanno paura di essere giudicate o trattate male.

 

Le conseguenze

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Le conseguenze e i costi sono difficili da stimare, sia nel breve che nel lungo periodo, per i lavoratori, le imprese e la collettività. Ci sono impatti (le molestie possono riguardare anche gli uomini, ma in maggioranza si tratta di donne) di natura psicologica, fisica, economica (perdita lavoro, contratto, dimissioni) che pesano per lo più sulle donne. Crescono le spese mediche. Ci sono ricadute sulle relazioni familiari, effetti negativi sui colleghi di lavoro, un picco di assenteismo, peggioramento complessivo del clima aziendale, costi legati ai contenziosi, all’immagine esterna dell’azienda.

Il fenomeno è molto presente in ambienti molto competitivi o molto segregati per genere, in cui manca una cultura del rispetto, in fasi di ristrutturazione/cessione/crisi aziendali, in presenza di contratti precari e di una bassa autonomia lavorativa.

Incide anche il sistema di valori e la cultura nazionale italiana: cosa è accettabile o meno cambia da Paese a Paese e se la percezione è diversa, se c’è una minor consapevolezza il risultato è che le donne denunciano meno. Quindi la priorità è sensibilizzare.

Ivana Brunato, segretaria Cgil Metropolitana, ha illustrato l’accordo con Assolombarda. Alcuni CCNL come quello del commercio contenevano già prescrizioni in materia di molestie, prevedendo anche i provvedimenti disciplinari del caso che potevano arrivare anche al licenziamento dell’abusante. Negli enti pubblici nei primi anni 2000 nascevano i primi codici per le pari opportunità che prevedevano codici di comportamento ai quali attenersi.

Non siamo all’anno zero quindi, l’accordo si inserisce in un processo che deve sancire l’esigibilità di un diritto.

Sinora questo fenomeno è stato trattato come un problema legato alla salute. Ma sappiamo come molestie, parità di genere, cultura del rispetto, condivisione dei carichi familiari, quesitoni di genere sono tutti temi strettamente collegati. Occorre potenziare le strutture e servizi in grado di fare da punto di riferimento per le donne che subiscono molestie e violenze sul lavoro, che sappiano avere un approccio adeguato di supporto in questi casi. Naturalmente occorre investire risorse in questa direzione.

Occorre diffondere la consapevolezza che si possono far assistere dalle organizzazioni sindacali (ricordiamo il Centro Donna CGIL di Milano), che verrà garantita la riservatezza, che ci sono strutture di supporto per le vittime, che ci sono le Consigliere di parità, medici competenti, reti istituzionali antiviolenza, centri antiviolenza territoriali.

Ora l’intesa va applicata, promuovendo una cultura della correttezza delle relazioni personali.

Personalmente più che di correttezza parlerei di “rispetto”, che è qualcosa che dovrebbe essere fondamentale e radicata (ndr).

Ci sono risorse sufficienti per prevenzione e contrasto?

Per la formazione si potrebbe ricorrere ai fondi strutturali e di investimento europei e a formule di cofinanziamento pubblico-privato.

Silvia Belloni, avvocata penalista, ha sottolineato l’importanza della corretta descrizione delle condotte (cosa intendiamo per mlestie e violenze) e una definizione di modelli aziendali di contrasto e di intervento.

Viene richiamata la Convenzione di Istanbul che definisce le violenze “violazioni dei diritti umani”, a questo dobbiamo sempre rapportarci.

Occorre aumentare la consapevolezza e la conoscenza del fenomeno, identificare, prevenire e gestire queste violenze. Dichiarare da parte delle parti sociali che certi comportamenti sono inaccettabili è un buon segnale. Individuare gli interlocutori idonei e avere un monitoraggio sarà fondamentale.

Includere la tematica delle molestie nel bilancio sociale delle aziende sarebbe utile.

Oggi è un tema all’interno della tutela del lavoro. Silvia Belloni propone di inserirlo a livello di salvaguardia dei diritti umani.

È importante che sia istituita una figura terza in azienda (come la consigliera di fiducia degli enti pubblici), prevedendo un iter interno ed esterno (giudiziario) di risoluzione.

L’attività di formazione va tarata sulla realtà aziendale, per rilevare le tipologie di molestie più frequenti in quel contesto, adoperando strumenti ad hoc.

A inizio 2016 il Dlgs n.212/15, approvato dal Consiglio dei ministri in attuazione della direttiva UE che istituisce le norme in materia di assistenza e protezione delle vittime di reato, è entrato in vigore.

Il Dgls n.212 modifica la disciplina sulla prova testimoniale e sull’incidente probatorio nell’ottica di una maggiore tutela della persona offesa dal reato. Si vuole preservare la vittima di un reato che decide di deporre come testimone da potenziali ripercussioni negative derivanti da una sua testimonianza. Ne consegue che alla persona offesa è riconosciuto un particolare stato di vulnerabilità. È stato innovato anche il c.p.p.

Art. 90-quater. (Condizione di particolare vulnerabilità).

1. Agli effetti delle disposizioni del presente codice, la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se e’ riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato.

Sono necessari percorsi di sensibilizzazione per prevenire questi fenomeni. Le molestie e le violenze avvengono dentro e fuori i luoghi di lavoro, per questo è necessario impegnarsi per una diffusione della cultura del rispetto, che condanni ogni sopruso.

Maria Antonietta Banchero, dirigente Welfare Regione Lombardia, ha esordito ricordando la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne (1993).

All’articolo 2 leggiamo:

La violenza contro le donne dovrà comprendere, ma non limitarsi a, quanto segue:

a) La violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene in famiglia, incluse le percosse, l’abuso sessuale delle bambine nel luogo domestico, la violenza legata alla dote, lo stupro da parte del marito, le mutilazioni genitali femminili e altre pratiche tradizionali dannose per le donne, la violenza non maritale e la violenza legata allo sfruttamento;

b) La violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene all’interno della comunità nel suo complesso, incluso lo stupro, l’abuso sessuale, la molestia sessuale e l’intimidazione sul posto di lavoro, negli istituti educativi e altrove, il traffico delle donne e la prostituzione forzata;

c) La violenza fisica, sessuale e psicologica perpetrata o condotta dallo Stato, ovunque essa accada.

Ha richiamato l’importanza dei Comitati unici di garanzia, obbligatori nelle aziende sociosanitarie e in tutta la pubblica amministrazione. In Lombardia la violenza è stata inserita nella delibera delle regole e negli obiettivi di valutazione a cui sono sottoposti i direttori generali delle Aziende sanitarie (valutazione sulle azioni messe in atto per contrastare la violenza).

Importante è realizzare un sistema di valutazione del rischio nei Pronto Soccorso.

Centrale è la prevenzione, con una dichiarazione esplicita che ci sarà tolleranza zero, con regole per arginare e contrastare il fenomeno.

Inoltre è necessario investire in formazione del management e degli imprenditori. Nelle micro e medie imprese va fatto un lavoro di sensibilizzazione su datori di lavoro e personale.

Viene ribadita la necessità di una figura esterna di controllo e di intervento sulle molestie.

Le lavoratrici vanno sostenute anche dopo l’evento e la denuncia.

Sarebbe utile introdurre nei moduli per la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, anche un capitolo riservato alle molestie e violenze.

Si ritiene importante anche l’esistenza di formule di mediazione interna aziendale.

Sarebbe altrettanto utile la diffusione della figura del delegato sociale: in pratica si tratta di formare delegati sindacali che siano in grado di porsi come facilitatori per i processi di espressione del disagio e come intermediari tra l’ambiente lavorativo e i servizi sul territorio. Per approfondire qui.

Antonio Calabrò, vicepresidente Assolombarda, ha parlato di civiltà ed etica del lavoro, le persone sono la componente essenziale. Scelte di competitività e di produttività: chi è vittima di molestie produce meno e la qualità generale diminuisce. Si parla di sostenibilità del clima di lavoro e dell’ambiente lavorativo.

La fabbrica bella, il benessere dei lavoratori, con un richiamo a Olivetti.

Ha ribadito l’impegno per un monitoraggio dopo l’accordo sulle molestie. Ha fatto un richiamo sulla necessità di una formazione sui diritti e responsabilità, soprattutto tra le nuove generazioni di lavoratori, diffondendo maggiore consapevolezza sui temi della violenza.

Giuseppe Pitotti, Fondazione Sodalitas, ci ha parlato di etica degli affari, mobbing, cultura dell’organizzazione, conciliazione, sulla necessità di smontare l’abitudine secondo cui chi commette certi abusi la fa franca: comportamenti etici migliorano la reputazione e le performance aziendali.

Approccio che va tarato sull’azienda. Nei codici etici aziendali che vanno costruiti anche dal basso, dalla base dell’organizzazione aziendale. Il comitato etico aziendale deve avere il più possibile un ruolo “terzo”.

È fondamentale dotare le aziende di strumenti per facilitare la denuncia di comportamenti molesti o violenti (speak up policy), che assicurino riservatezza e protezione del denunciante.

Qui alcuni recenti lavori di Sodalitas:

http://www.sodalitas.it/fare/lavoro-e-inclusione/business-and-human-rights

http://www.sodalitas.it/public/allegati/_Human_Rights_Blueprint_2016411103438613.pdf

http://www.sodalitas.it/fare/lavoro-e-inclusione/carta-per-le-pari-opportunita-e-luguaglianza-sul-lavoro

Carolina Pellegrini, consigliera di parità Regione Lombardia, ha riportato la sua esperienza di “trincea” al fianco delle donne che subiscono queste violenze. Ricorda che il fondo delle consigliere di parità non è finanziato da tempo, con impossibilità di ricorrere in giudizio e di sostenere le donne in modo adeguato.

Ha ricordato il comunicato della Conferenza Nazionale delle Consigliere e dei Consiglieri di Parità prendono posizione in merito alla sentenza del Tribunale di Palermo – Sez. II penale – n. 6055/15 del 23 novembre 2015, con la quale si assolve un imputato accusato di comportamenti sessuali lesivi sul luogo di lavoro. Questa purtroppo è la realtà.

Nel codice delle P.O. Legge 198/2006, si parla anche di molestie sul lavoro:

Art. 26.

Molestie e molestie sessuali

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater)

1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

2. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

3. Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. Sono considerati, altresì, discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.

 

Può essere utile introdurre la questione delle molestie anche a livello di contrattazione di secondo livello.

Il T.U.S.L. all’art. 28 richiama nuove categorie nella valutazione del rischio, connessi alla differenza di genere.

Nel pacchetto di formazione sulla sicurezza andrebbe introdotto un modulo specifico sulle molestie.

È stata ribadita l’importanza della responsabilità sociale di impresa, soprattutto per le Pmi.

Adoperare le reti esistenti per prevenire e contrastare il fenomeno delle molestie, delle violenze e delle discriminazioni (si pensi per esempio la rete territoriale di conciliazione).

Francesca Brianza, Assessora al Reddito di autonomia e Inclusione sociale ha richiamato il bando annuale “Progettare la Parità in Lombardia”, in coerenza con il Piano quadriennale regionale per le politiche di parità e di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne.

 

Per approfondire:

Il blog di Olga Ricci

Rimozione collettiva

 

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Oltre il 25 novembre – Basta alibi alla violenza contro le donne #nonunadimeno

violenza-donne_apertura

 

È appena passato il 25 novembre. Quest’anno anche in Italia siamo di fronte a un momento storico per il movimento delle donne, dopo la manifestazione #Nonunadimeno del 26 novembre e le azioni che si stanno progettando dopo i tavoli tematici del 27 novembre. Abbiamo invaso gli spazi pubblici con la nostra marea composta di tante generazioni e generi, portatrice di una volontà ferrea di cambiare lo sguardo e gli approcci sinora adoperati dai decisori politici per prevenire e contrastare la violenza. Saremo l’ombra costante delle istituzioni, vigileremo e chiederemo conto di quanto (e come) messo in atto, degli indirizzi, faremo pressione affinché si crei una volontà politica in grado di rispondere adeguatamente alle istanze delle donne.

In Europa scorgiamo due importanti segnali di attenzione sul tema della violenza di genere.

Segnaliamo la decisione della Commissione europea di dedicare il 2017 al contrasto della violenza contro le donne, e la risoluzione del Parlamento europeo che chiede l’adesione dell’UE alla Convenzione di Istanbul.

Immagine grafica "La violenza è"

Un anno dedicato al contrasto della violenza dovrebbe favorire un’azione concreta da parte degli Stati per combattere tutte le forme di violenza contro le donne e le ragazze.

La risoluzione del Parlamento europeo ha avuto un forte sostegno trasversale. Essa invita gli Stati membri, nel quadro del Consiglio, ad accelerare i negoziati per la firma e la conclusione della convenzione di Istanbul. Il Parlamento europeo auspica che si appronti una strategia europea in materia di lotta alla violenza contro le donne e per un’ulteriore azione legislativa a livello UE per prevenire e combattere la violenza contro le donne.

Perché purtroppo la situazione all’interno dell’Unione Europea non è omogenea: le donne non sono ugualmente tutelate e protette dalla violenza maschile, con il forte rischio che certi crimini restino impuniti. La ratifica della Convenzione da parte dell’UE può essere un segnale politico forte che la violenza contro le donne non è più accettabile.

IMMAGINE Quadro europeo violenza di genere

 

La Commissione Europea ha reso pubblici i dati di una ricerca condotta sui 28 Stati UE, per valutare le percezioni dei cittadini dell’UE sulla violenza di genere.

L’indagine ha esplorato una serie di aree:

  • La percezione della prevalenza della violenza domestica;
  • La conoscenza personale di una vittima di violenza domestica, il tipo di reazione/approccio;
  • Le opinioni su dove la violenza contro le donne è più probabile che si verifichi;
  • Le opinioni sugli atteggiamenti verso la violenza di genere, inclusa l’abitudine a cercare giustificazioni ed attenuanti alla violenza;
  • La percezione della prevalenza di molestie sessuali;
  • Se una serie di atti di violenza di genere sono sbagliati e sono, o dovrebbero essere, illegali.

 

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