Nuvolette di pensieri

Mormora l'acqua del ruscello

Lettera aperta a un militante democratico

“Cancella il verbo che non è adatto. La mamma: cucina, stira, tramonta”. E i papà? Sempre secondo questo esercizio di un libro di seconda elementare dovrebbero leggere e lavorare, l’intruso è il verbo “gracida”.
Un tipico esempio di residui di una mentalità e di stereotipi che non sono mai del tutto tramontati, né accantonati, né superati, e i libri di testo spesso fanno ancora fatica ad “aggiornare” esercizi e cultura che esprimono. I libri sono un po’ lo specchio di una sorta di consuetudine nel continuare a pensare in modo schematico ai ruoli di genere, tramandando e sostenendo materiale culturale che non fa altro che reiterare le discriminazioni e gli incasellamenti. Diciamo che su più piani e livelli la situazione rischia di restare intrappolata in una sorta di revival nostalgico.
A tal proposito mi hanno segnalato alcuni commenti a riguardo del post che segnalava l’esercizio dal sapore “antico”, anch’essi usciti da una cristalliera di fine ottocento. Il che è frequente, in rete, se non si trattasse di un iscritto a un circolo della zona di cui io sono la coordinatrice delle democratiche. Ebbene, mi sono resa conto, che mentre giro le scuole con un progetto sul contrasto di stereotipi e violenza di genere, in un contesto a me vicino, in cui si auspicherebbe una consapevolezza e una sensibilità maggiori, sussistono ancora retaggi culturali che non vanno nella giusta direzione e non sono per nulla coerenti con la militanza in un partito progressista.
Un giovane democratico asserisce così: “Cosa c’è di così scandaloso? È molto più scandalosa la donna che nega le sue attitudini.” e poi aggiunge: “la donna di oggi in molti casi ha perso la sua femminilità inseguendo una uniformità con l’uomo che non le appartiene. Non perché sia inferiore, ma perché è diversa. Sveglia donne, non siete come gli uomini (e per fortuna ..).?” e “le donne non lavorano come gli uomini . Sono diverse.”
Allora mi chiedo quali siano le “attitudini” di una donna? Siamo al biologismo? E in cosa consisterebbe di grazia la femminilità di una donna?
Le donne “nascerebbero” predisposte per cucinare, stirare, pulire casa, svolgere compiti di cura. Desumo quindi che alla nascita veniamo dotate di asse e ferro da stiro, il cervello sviluppa sinapsi speciali, in pratica siamo dotate di caratteristiche fisiologiche che spiegherebbero perché come è noto a tutte le donne, partorire femmine è assai più difficoltoso e doloroso… con tutta questa strumentazione a corredo, lo credo! Un po’ di ironia concedetemela. Una strumentazione “naturale”, per inclinazioni “naturali”, per adempiere a ruoli, funzioni naturalmente ascritte alle donne, per secoli, perché mutarle? Ruoli uniformati e ben distinti sulla base del sesso biologico, un ragionamento buono tutt’al più per un’epoca pre-Olympe de Gouges. Anche Olympe incitava le donne a svegliarsi ma per prendere consapevolezza dei propri diritti, fino ad allora negati, le cui esistenze erano legate e limitate da tante “catene”, pregiudizi e discriminazioni. “Uomo, sei tu capace di essere giusto? Chi ti pone questa domanda è una donna: questo diritto, almeno, non glielo toglierai. Dimmi. Chi ti ha dato il potere sovrano di opprimere il mio sesso? la tua forza? le tue capacità?”
In tutta questa pappa tra diversità e uniformità, alla fine si sente puzza di muffa. Questo giovane uomo ci sta suggerendo: “ognuno/a stia/torni al proprio posto”. Per il nostro bene, si badi bene, ci offre pure un suggerimento, “sveglia donne”, il sessista benevolo. Perché non sia mai che ci convincessimo troppo e per davvero di avere dei diritti e ci ostinassimo a lottare per quella cosetta scritta in Costituzione, chiamata uguaglianza. Donne, lasciate perdere quella roba folle della parità di opportunità, di aspirazioni, di poter scegliere cosa è meglio per voi stesse o di cosa volete occuparvi. Noi donne non lavoriamo come gli uomini: mi si spieghi il concetto.
Qualche delucidazione la ravvisiamo nella frase:
“la donna ha caratteristiche tendenzialmente diverse dall’uomo grazie alle quali può differenziarsi tutelando la propria femminilità.”
Cioè c’è un ben preciso e codificato modo di essere donna, caratteristiche ben definite, mica a caso, a scelta, per avere il bollino di donna 100%. Ci manca il decalogo della donna DOC e siamo a posto. E di grazia, siamo ancora alle gabbie di genere, siamo ancora alla figura di angelo del focolare. Poi mi si dice che sono troppo radicale, ma quando leggo certe argomentazioni mi rendo conto che il patriarcato e le sue strutture ideologiche sono ancora talmente radicate e floride che ci vorranno ancora generazioni e decenni di lavoro per superare questo armamentario. Desumo altresì che il giovane democratico consideri tutto l’immenso lavoro compiuto dalle diverse ondate del femminismo un enorme danno, la distruzione di un equilibrio a cui il nostalgico militante appare molto affezionato. A questo punto potrebbe tornare utile una lettura collettiva de Il secondo sesso di Simone de Beauvoir. Mi offro di regalargli una copia e a questo punto è necessario che io organizzi un laboratorio ad hoc per gli e le iscritti/e della mia zona.
Una ulteriore testimonianza di quanto lavoro c’è ancora da compiere per liberarci da questi fardelli del patriarcato e di quanto trasversale siano i germi di questa cultura.

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Politica delle donne e satelliti


Riflessioni personali, molto personali, a partire da me, che hanno avuto bisogno di restare in decantazione per settimane.

Come il mosto che ribolle nei tini.

Riprendo il tema della partecipazione e del contributo delle donne in un partito e in politica. Mi propongo di riflettere su un fenomeno che si sta palesando, non da oggi certo, ma su cui sembra non esserci nessun interesse o tentativo di interrogarsi. Attorno ai partiti, in modo trasversale da destra a sinistra, si sono creati e si creano soggetti, strutture, associazioni, corpi paralleli di carattere “femminile”, che a mio avviso assumono un senso diverso rispetto a soggetti “vicini ai partiti”, che pur esistono, ma non nascono come espressione di un unico sesso. Abbiamo una questione di genere? A cosa sono finalizzate queste compagini che sorgono tra donne in un percorso parallelo al partito, in modo più o meno esplicito legate ad esso, che conseguenze ci sono? Ecco, tenendo presente che ogni esperienza è un caso a sé, si tratta di un sintomo, di una risposta a qualcosa o di un escamotage studiato a tavolino?

A differenza di quanto avviene in Possibile, dove all’interno e alla luce del sole si sono organizzati gli stati generali delle donne, ed è stata avviata una campagna di ascolto delle donne, per costruire un progetto di paese in cui le donne possano sentirsi parte, altrove assistiamo a qualcosa che non riesce a decollare da dentro, ma sembra che abbia bisogno di soggetti appunto “affiancati”, generati all’occorrenza, spesso non esattamente, facilmente ed esplicitamente riconducibili al partito (scelta non certamente involontaria). Senza avere la presunzione di trovare risposte univoche a questo fiorire di soggetti al femminile, pongo alcune possibili strade interpretative.

Si potrebbe trattare di:

  • scarsa agibilità interna ai partiti per le donne; ma spesso le stesse fautrici di questo tipo di soggetti paralleli hanno ruoli e potere nel partito, per cui in teoria dovrebbero trovare voce.

  • costruzione di un futuro politico per garantirsi nuove prospettive;

  • specchietti per le allodole;

  • disaffezione e sfiducia nel partito come corpo intermedio;

  • restyling e rigenerazione di credibilità;

  • bacino elettorale;

  • trovata gattopardesca;

  • strategia di aggiramento delle resistenze interne

  • operazione di pinkwashing

In ogni caso, torno a domandarmi, che senso acquista oggi la militanza in un partito se poi chi ha ruoli di rilievo e potere, sostegni e agibilità, sente il bisogno di generare mondi paralleli? Non è cambiando nome, con un po’ di belletto rosa, con una prospettiva giovanilistica, con una operazione di restyling che si segna necessariamente il cambiamento o quell’ascolto tanto sbandierato, agognato e poi sempre poco praticato. Non è che se cambiamo vestito saremo necessariamente più in sintonia con chi da tempo magari ci ha voltato le spalle, ha perso speranza nella partecipazione diretta, non riuscendo a porre fiducia in qualcosa che si è dimostrato poco affidabile e sincero. Non è che tutto il “non fatto” si risolve in un cambiamo pelle e logo, statuto e ragione sociale. Non siamo una pizzeria o un pizzicagnolo. Siamo donne che si impegnano e fanno politica. Assume senso cambiare insegna all’occorrenza solo se si desidera lavorare a qualcosa che abbia solo finalità elitarie e oligarchiche, personalistiche e non è certamente ciò che auspico. Sto facendo questo ragionamento tenendo sempre presente che sia imprescindibile fare la differenza per davvero, generando qualcosa di “nuovo”. Altrimenti, forse è meglio restare a casa a fare la maglia.

Perché appare tanto arduo costruire e valorizzare “dentro”, e al contempo mostrare la volontà di ascolto di ciò che le donne “fuori” si aspettano. E non si tratta di mettere in piedi operazioni solo di facciata, perché anche riuscire a dare un segnale di attenzione significa fare la differenza. Se si moltiplicassero certe pratiche di ascolto non vivremmo una disaffezione conclamata e cronica alla partecipazione in prima persona. Penso che avremmo più fiducia. Cambiare dipende da noi. Cambiare senza necessariamente andare a mostrare solidarietà chissà dove, ma dimostrando attenzione qui ed ora, alle donne che chiedono aiuto, accanto a noi. Cercando di invertire prassi altamente lesive e dannose. Le donne rompono il silenzio, scelgono di lottare con tutte le loro forze, hanno bisogno di tutto il nostro ascolto e supporto. Ci sono delle priorità e la differenza sta nel percepirle. C’è chi sceglie solo “cose comode”, battaglie da passerella, luci e cotillon e chi al contrario invece sceglie di fare sempre il proprio meglio, anche in situazioni difficili. Donne fatte di una pasta diversa. Auspicando che ci sia meno indifferenza, meno strumentalizzazione, più solidarietà sincera tra donne. Non dico sorellanza, ma schiettamente non prendiamoci per i fondelli quantomeno e non costruiamo barricate ogni volta che una donna “scomoda” ci propone qualcosa. Immagino che per alcune di voi potrebbe costituire un sollievo perdere questo tipo di donna per strada, ma occorre essere consapevoli che si rischia di perdere non solo risorse, ma anche chi con un briciolo di senso critico ci pone degli interrogativi e stimola un dibattito da encefalogramma comatoso.

Personalmente i mondi paralleli, che fintamente fanno le battaglie e poi si infrangono e si ripiegano altrove, non mi lasciano ben sperare. Si può fare politica in vari luoghi, ma occorre interrogarsi sul perché alcune di noi non riescono ad abitare i vari mondi già esistenti e creano satelliti sempre ben legati alla casa base. Ecco i satelliti potrebbero evocare altro, e non necessariamente qualcosa di positivo.

Al contempo occorre fare un bilancio, un’analisi di quanto si riesce a fare “da dentro” e quanto si riesce a parlare fuori.

Le battaglie hanno dei terreni specifici in cui vanno praticate, spostare o far finta si spostare il teatro non segna alcun punto a favore, semplicemente può sembrare e fungere da tentativo di creare una cortina fumogena che rinvii di giorno in giorno il cambiamento e un punto di arrivo. Segnare il cambiamento, rispondere alle istanze delle donne di questo Paese, non necessita di questo. Quando poi non si è capaci nemmeno di ascoltare dentro, di accogliere le proposte interne, sostenere autenticamente all’interno le donne nelle loro battaglie e le si imbavaglia, le si azzoppa sempre. Le regole valgono solo per alcune donne, l’agibilità pure. Quindi la sfida è allargare le maglie di questa agibilità, mantenendo la rotta e la testa alta. Io guardo dentro e altrove, perché di buoni esempi e buone pratiche tra donne ve ne sono. Io vorrei che si avesse il coraggio e la perseveranza di lavorare in questo senso, senza fare un uso strumentale degli organismi del partito, nati proprio per rendere possibile la proposta e la generazione di contenuti politici delle donne e non come comitati o bacini elettorali, da spostare, usare e collocare a piacimento.

Anche quei recinti e quelle giornate ad hoc che vengono concesse, rischiano di diventare passerelle, in cui ci occupiamo di tutto fuorché delle reali priorità. Siamo capacissime di parlare di clima e poi però non conosciamo minimamente le esigenze e le problematiche di vita delle donne reali.

E forse occorrerebbe incominciare a cercare di porre le basi per una strategia politica che sia veramente nostra, non subordinata o ammansita da partiti tradizionalmente a trazione maschile. Ma per questo occorre costruire, tempo, pazienza e lavoro di tessitura. Se si vuole creare un soggetto politico femminista, realmente differente, indipendente e autonomo, con dinamiche interne ed esterne nuove e rivoluzionarie, che vada dritto ai diritti delle donne, sempre ai margini dei progetti e delle proposte politiche, quanto meno non spacchiamoci come sempre in mille rivoli, pensando ciascuna di avere in mano la verità assoluta. In generale c’è bisogno di differenza, ma restando in ascolto e in dialogo. Invece, siamo sempre ad atteggiamenti maschili, molto maschili, su cosa e chi rappresenta meglio e più autenticamente le donne.

Ripenso a quanto rilevava Simone De Beauvoir:

“Ho notato che le donne nelle istituzioni si risentono se tu dici che molte donne nelle istituzioni sono patriarche in gonnella.

Non capisco se si offendono perché sanno che è vero e si sentono chiamate in causa – a mo’ di coda di paglia – oppure perché sanno benissimo che essere patriarche in gonnella, in fondo significa essere schiavette del sistema e affatto donne di potere. Perché il potere è di fatto tutta un’altra cosa nelle mani di una donna che non lo utilizza con lo schema del patriarcato”.

Ecco, non risentiamoci, ma cerchiamo di comprendere il senso di queste parole, che valgono anche per le militanti e per tutte coloro che in qualche modo fanno politica dentro e fuori i partiti. Mi piacerebbe che si evitasse di occuparsi dei temi semplicemente rincorrendo un trend topic, ma che si raggiungesse una certa specifica e autentica “vicinanza” costante nel tempo. Questo continuo appiccicarsi etichette e intestarsi battaglie in cui non si crede fino in fondo, genera gravi ricadute e perdite di tempo e di speranza.

Consapevole che si tratta solo di un pezzo del problema, ma occorre non sottovalutare nessun segnale, perché abbiamo già numerosi fattori che hanno portato disaffezione e allontanamento.

Accettando la grande e onerosa sfida e la grande avventura di essere e restare se stesse fino in fondo.

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