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Maschilismo e mascolinità

su 12 ottobre 2014
René Magritte (1898-1967), Le mois des vendanges, 1959, Oil on canvas, Private collection, Paris

René Magritte (1898-1967), Le mois des vendanges, 1959, Oil on canvas, Private collection, Paris

Ho intrapreso la lettura del saggio di Chiara VolpatoPsicosociologia del maschilismo” (edizioni Laterza, 2013) e vorrei condividere con voi qualche passaggio, dei numerosi che mi hanno sollecitata.

“Nella civiltà occidentale, gli uomini hanno continuato e continuano a incarnare il canone, il prototipo, la norma. Continuano a essere gruppo dominante, che scrive la storia e detta l’ideologia. La loro supremazia, così come la subordinazione femminile, sembra rientrare nell’ordine naturale, nell’idea di un diritto suggerito dalla natura del mondo e delle cose, universale e immutabile”.

Questa dimensione naturale ha fatto sì che si dessero per scontate le sue caratteristiche vincenti, per cui fino a qualche anno fa si preferiva incentrare gli studi sul genere femminile, cercando di approfondire i motivi della subalternità, operando e indagando unicamente nella metà femminile. Come se il “difetto” o le motivazioni fossero tutte nel campo “debole”. In questo modo l’universale uomo era il prototipo che non aveva alcun bisogno di legittimarsi, perché esisteva da sempre e dettava le regole del gioco, senza di fatto incontrare ostacoli al suo dominio. Pertanto si cercava il cavillo nella donna e si rimaneva relegati in un angolo di una questione ben più ampia. Per fortuna, negli ultimi anni si stanno sviluppando i men’s studies o masculinity studies. C’è voluto tanto tempo anche perché forse c’è stata un po’ di resistenza da parte degli studiosi maschi a indagare sul proprio gruppo di appartenenza. Il sistema androcentrico ha coltivato nei secoli un modello fondato sull’identità di genere, con l’obiettivo di cancellare le somiglianze tra uomini e donne, accentuando solo le diversità (Gayle Rubin, The traffic in women). Il fatto di creare un solco considerato naturale, in quanto “biologico”, tra i sessi, ha rafforzato l’idea che fosse una condizione immutabile e l’unica in grado di mantenere un sano equilibrio. Pertanto, come sostiene Rhoda Unger (citata da Volpato), sarebbe preferibile usare il termine genere, che rimanda a comportamenti e a tratti che le culture attribuiscono a uomini e donne. Perché è stato il movimento delle donne a svelare che mascolinità e femminilità sono costruzioni storiche. La mascolinità e la femminilità possono essere comprese solo attraverso lenti di indagine specifiche. Sono strettamente legate al contesto, alla cultura di una società. Per questo si parla di studi di genere, di educazione di genere per non richiamare aspetti biologici (cosa che avverrebbe se usassimo la parola sesso) che in quanto tali sarebbero considerati come immutabili e “naturali”. Torniamo per un attimo all’infanzia. Trattandosi di modelli indotti dalla società e dal contesto storico in cui vive il bambino, il suo margine di libertà di scelta si riduce. Ecco l’importanza di una guida fluida e di strumenti che permettano di formarsi una cultura non condizionata dagli stereotipi di genere. Di estrema importanza sono le letture per l’infanzia. In parallelo, vari studi sociologici, hanno portato alla conclusione che: “la grandezza e spesso anche la direzione delle differenze di genere dipendono dal contesto e i dati scientifici non corroborano le credenze diffuse sulla profonda differenza psicologica tra uomini e donne”. La presunta superiorità maschile si sostiene attraverso strategie psicologiche e sociali più o meno violente e silenti, che si adattano al contesto socio-economico e storico-politico, inserendosi nelle pratiche quotidiane. Sono rimasta positivamente colpita dall’applicazione della categoria gramsciana di egemonia alla mascolinità (pag. 6-7) elaborata da Raewyn Connel: “Una dinamica culturale che permette a un gruppo di conquistare e mantenere una posizione dominante nella vita sociale”. In pratica viene individuato un modello maschile vincente, un ideale che “nella società capitalista occidentale coincide con uomini competitivi, orientati al successo, aggressivi, cinici, anaffettivi, eterosessuali”. Seguendo il ragionamento di Connel, si può parlare di mascolinità multiple, in quanto ogni epoca storica e ogni società elabora il proprio modello vincente. Questo naturalmente porta a una subordinazione e una marginalizzazione di tutti coloro che non rientrano nei canoni del modello maschile egemone (classi sociali subalterne, omosessuali e naturalmente donne). Connel rileva anche quella sorta di complicità maschile, che permette di mantenere lo status quo e consente anche a chi non rientra nel modello egemone di godere dei benefici della superiorità maschile. In pratica si ottiene una parte del dividendo patriarcale, la propria fetta di vantaggio ottenuto dalla subordinazione delle donne”. Questo sistema non ammette che ci sia qualcuno che lo metta in discussione. Ecco perché per alcuni il femminismo, l’emancipazione e l’autonomia delle donne sono pericolose e vanno fermate in ogni modo (qui un bel post del blog Bambole&Diavole). Molto interessante l’excursus storico di Volpato sui modelli della mascolinità. Qui accenno unicamente alla genesi della frattura tra i due generi. Genesi è la parola appropriata perché è proprio la dimensione di donna genitrice a essere coinvolta. Sulla scorta degli studi dell’archeologa Marija Gimbutas (pag. 8-9), “fu la scoperta, avvenuta durante il Neolitico, del ruolo maschile nella procreazione a causare l’inizio della subordinazione femminile (oltre a una differenziazione delle tecniche agricole, nel passaggio da popoli raccoglitori ad agricoltori) e l’affermarsi del modello patriarcale. Il culto della Dea generatrice viene rapidamente sostituito da un Dio maschile (oggetto dell’indagine su cui si soffermerà la teologia femminista). Per quanto riguarda la teologia cristiana annoto questo articolo sul saggio di Selene Zorzi. “La donna stessa, del resto, è stata ritenuta durante tutta la storia della teologia non degna di rappresentare neppure l’immagine di Dio: l’uomo è fatto a immagine e somiglianza del Creatore, la donna no. E come l’uomo è sottomesso al Dio di cui è «immagine e somiglianza», così la donna deve essere sottomessa al maschio dalla cui costola è stata tratta, ancor di più perché sommamente e primariamente colpevole del peccato originale”. Finché le capacità che permettevano la prosecuzione della specie erano state percepite unicamente femminili, la donna aveva mantenuto un ruolo importante e di sostanziale parità. Il ruolo dell’uomo nella riproduzione non è da dare per scontato o semplicemente comprensibile. Considerate che tra il concepimento e la nascita intercorrono 9 mesi. Per un uomo non è immediato comprendere il nesso. Mi piace immaginare che sia stata una donna, attraverso l’abitudine data dall’esperienza e dalla percezione dei mutamenti del proprio corpo e dall’osservazione della regolarità del ciclo mestruale, a comprendere quel nesso. Ma potrebbe anche essere stato un uomo, osservando gli animali. La storia recente è stata contraddistinta da flussi e reflussi di posizioni fortemente mascoline e maschiliste alternate a fasi in cui la donna ha cercato di riappropriarsi di strumenti che le permettessero di emanciparsi: “il femminismo.. ha posto il problema della cancellazione della soggettività femminile e dell’espropriazione subita dalle donne ridotte a corpi, oggetti, merci. Il femminismo ha segnato per le donne la riappropriazione del pensiero e della parola, a lungo strumenti della loro esclusione (Cavarero e Restaino, Le filosofie femministe. Due secoli di battaglie teoriche e pratiche, 2002). C’è chi si sente “minacciato” e indebolito da queste orde di femministe selvagge e cerca di recuperare tutti gli orpelli della mascolinità perduta: la superiorità biologica del maschio, il culto della forza, l’omofobia, la centralità della competizione, l’aggressività, il successo, l’indipendenza e l’amore per l’avventura. Questa vera e propria “mistica della mascolinità” trova una sua rappresentazione nelle manifestazioni esteriori dell’apparato militare e nello sport. “L’iper- mascolinità è spesso associata a forme di violenza contro le donne ed è diffusa soprattutto tra giovani e uomini dotati di scarso potere socio-economico, una cattiva abitudine maturata nel corso dell’adolescenza” (un modo per fronteggiare paure e insicurezze dovute dal basso status). Per questo occorre intervenire precocemente e non lasciar correre certi atteggiamenti e i primi accenni di queste insane abitudini. to be continued..

p.s. 13 ottobre 2014 Vi consiglio di leggere i commenti a questo post sul mio profilo Facebook. Rendono bene la mentalità corrente. Sono la dimostrazione che abbiamo toccato un nervo scoperto.


20 responses to “Maschilismo e mascolinità

  1. Paolo ha detto:

    non credo che la competizione, la forza, l’amore per l’avventura, ambizione e anche l’aggressività siano sempre e solo qualcosa di negativo (dipende) nè credo che siano una esclusiva della mascolinità. anche la violenza può essere utile ad esempio per difendersi da un’aggressione altrui ma va dosata e gestita. in realtà l’aggressività è umana come la mitezza e appartiene a uomini e donne in varia misura.
    Anche vedere mascolinità e femminilità come pure costruzioni socio-culturali senza rapporto con la nostra personalità mi lascia perplesso: noi siamo un mix di natura, cultura e storia mi pare che non abbia molto senso separarle. E ci sono tanti modi di vivere la propria mascolinità e femminilità quanti sono gli uomini e le donne nel mondo. Alcuni di questi modi sono statisticamente diffusi, altri meno ma tutti legittimi e autentici

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    • simonasforza ha detto:

      Infatti, i canoni di mascolinità e di femminilità sono legati al contesto storico e culturale, sono elementi mutabili. Sono il risultato di costruzioni funzionali a reggere un certo tipo di cultura e società, di cui sono espressione. Nessuno mette in dubbio la varietà dei modi di vivere la mascolinità e la femminilità. Qui si cerca di svelare come un modello venga costruito per legittimare un dominio e un’egemonia.

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    • IDA ha detto:

      No! Paolo, non ci sono tanti modi di vivere la mascolinità e la femminilità, perchè altrimenti non esisterebbe nemmeno la femminilità e la mascolinità.. puoi solo personalizzare lo stereotipo di riferimento…

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      • Paolo ha detto:

        io credo che le cose siano più complesse di così anche riguardo a mascolinità e femminilità. E non possiamo ridurre sempre i comportamenti delle persone a stereotipo anche quando ci appaiono tali

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    • IDA ha detto:

      Certo che sono più complesse, basta pensare che in natura, esiste maschio e femmina, ma non esiste femminilità e mascolinità

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  2. giovanni vivaldi ha detto:

    Tento una teoria mia, forse poco razionale, ma intuitiva….In teoria dovremmo essere uguali, ma sappiamo che non è così nella realtà, nonostante il femminismo e il ” progresso”…( ???? quale ???) …Eva, secondo la leggenda, ha deciso di trasgredire…e quindi è più coraggiosa dell’uomo….o forse più furba…Il potere maschile è dovuto alla forza fisica che un tempo faceva la differenza, e gli uomini, anche per cultura, hanno vissuto un potere secolarizzato….Le donne forse non hanno bisogno del potere ” pubblico” perchè sanno di avere quello ” privato”…o usano il ricatto sessuale o quello della maternità….Oggi le cose potrebbero andare diversamente, ma le donne sembrano disinteressate al potere pubblico, o forse sono come intimidite e non amano arrivare al potere ( le eccezioni confermano la regola, perchè le donne di potere diventano proprio come gli uomini, cioè arroganti e ciniche )…. quindi in generale non amano il potere, e credo giustamente, perchè il potere sanno benissimo essere un’arma micidiale, una droga che disumanizza gli esseri umani, e non se lo possono permettere perchè si sentono investite dal ruolo femminile della maternità, con la sua protettività e accudimento….Ma, siccome sanno bene che il potere pubblico decide le vite di tutti, ogni donna ha una sua strategia per osare di avere un potere, ma senza rischiare troppo, perchè comunque rischiano sempre di essere sottomesse. Dovrebbero, credo, cominciare a sentirsi sempre più all’altezza di poter controbattere ( e molte già lo fanno), e soprattutto di rimettere in gioco il senso del rispetto ( e quindi dell’eguaglianza), che si perde nel momento in cui l’altro viene visto come debole ( questo vale anche tutte le persone deboli o ” diverse”, o povere, o sottomesse…) e quindi da sopraffare, e questo non vale solo per le menti malate gravemente, perchè succede a vari livelli, anche nei fatti internazionali, laddove ad esempio un colonialismo occupa e uccide o impone la sua cultura…. Di contro, si deve dire anche che le donne sono anche le compagne di criminali e mafiosi e farabutti, e quindi complici di abusi e crimini, e spesso usano il potere sessuale per dominare certi tipi di uomini…Non ho letto l’articolo per non farmi condizionare, ma adesso lo vado a leggere…a domani !!!!

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    • simonasforza ha detto:

      Grazie per il commento. Forse per chiarire un po’ le cose, potrebbe esserci d’aiuto uno sguardo a società di tipo matriarcale. Queste società non sono speculari al modello patriarcale di dominio dell’uomo sulla donna, bensì hanno trovato formule che permettono una convivenza pacifica, in cui si pratica una sostanziale eguaglianza di genere, con una divisione dei ruoli, ma che va al di là del dato biologico o stereotipato. Penso che ci siano differenze di genere tra uomo e donna, nel senso che ci sono innegabili peculiarità di uno o dell’altro sesso, ma non dobbiamo confonderle con gli stereotipi associati a ciascun genere dal contesto storico-culturale. Soprattutto dipende da come vengono usate e concepite le differenze e se vengono strumentalizzate. Le differenze di per sé non comportano la creazione di gerarchia, mentre il patriarcato, con tutto il suo bagaglio ideologico, ha adoperato la differenza sessuale per creare gerarchie e quindi disuguaglianza (che è cosa ben diversa dalle differenze). Il patriarcato ha dovuto adoperare il dominio per imporre il suo modello. “Al contrario, proprio in virtù del fatto che danno origine al gruppo, alla generazione futura e perciò alla società, le madri sono chiaramente l’inizio; nel matriarcato (con il significato originario “all’inizio le madri” e non nell’interpretazione sbagliata di dominio delle madri o governo delle donne) non hanno bisogno di imporre il loro ruolo con la dominazione” (cit. Heide Goettner-Abendroth).

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      • Paolo ha detto:

        questa teoria del matriarcato assomiglia un po’ ad una teoria dell’età dell’oro e io non credo nelle età dell’oro.

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        • simonasforza ha detto:

          Consiglio di leggere qualche studio matriarcale, meglio se “moderno” e non di stampo ottocentesco. Non è solo folklore, non si tratta di chimere inventate o di modelli di società estinte e “primitive”. Ci sono molti stereotipi anche su queste materie.. Non è mito, è solo un altro modello, da guardare con occhi non occidentali e soprattutto non patriarcali.

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          • Rododendro ha detto:

            E’ un altra società, non un altro modello di società.
            Il pensiero femminile della differenza ha sempre questa stonatura. La donna vorrebbe avere un ruolo nella società, ma la società pensata dalla donna non è la stessa pensata dall’uomo. Non la si può nemmeno chiamare una società a dire il vero. Non c’è patria, non c’è cultura, non c’è valore nella società pensata dalla donna, non c’è, appunto, società.
            Perché questo? Entrando nel merito della “psicologia” femminile, ritengo che il concetto di patria le sia estraneo per ragioni pragmatico-razionali. L’aggiunta della “patria” in un ragionamento corrisponde all’aggiunta di una in-variabile nel calcolo, il che impedisce di manipolare il ragionamento a piacimento. In generale ogni “verità”, che si tratti di un valore o di una verità oggettiva, è, per una donna, qualcosa di scomodo, che le impedisce di darsi ragione, quando l’avere ragione è la sua natura.

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  3. maria serena ha detto:

    tutta la supercazzola di Vivaldi per irbadire “State in casa a pensare ai figli e lasciate il potere ai maschi”…il ricatto sessuale poi è come lo yeti,nessuno l’ha mai visto (a meno che non s’intenda “Se non mi compri la borsa di Prada non te la do”,il chè però suggerisce solo 2 cose: o l’uomo ragiona col bassoventre,e allora è un tantino pericloso dargli in mano le redini del mondo, o che le donne non hanno potere economico e non si possono comprare da sole le borse di Prada…..cose che in effetti sono entrambe,e se ne vedono le conseguenze ogni giorno)

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  4. […] commenti su Facebook al mio post Maschilismo e mascolinità, mi hanno fatto comprendere quanto siamo ancora all’anno zero. Il fatto che ci sia stata […]

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  5. […] resta comunque solo. Anche la scoperta di avere un ruolo nella procreazione (ne avevo parlato qui) per l’uomo ha rappresentato una vittoria sulla natura, un altro esempio di come l’uomo […]

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  6. Rododendro ha detto:

    E’ un errore considerare il maschilismo come un “modello” ideologico sovrastrutturale che giustifica una struttura.
    Un tale modello non è mai esistito se non nella testa del femminismo. I cosiddetti “maschilisti” del passato non producevano modelli ideologici, bensì constatazioni dei fatti. Che “l’uomo comanda e la donna obbedisce” era un’asserzione oggettiva e trovava riscontri nelle leggi.

    Al contrario il femminismo vuole trovare una giustificazione ideologica a quello che è un contesto sociale effettivo, facendo passare per “ingiusto” il contesto precedente. Infatti con l’avvento della società di massa la cosiddetta emancipazione femminile si è resa necessaria per rispondere alle esigenze economiche dominanti. Il fatto che essa sia “giusta” è una valutazione erronea.

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  7. […] Per un approfondimento su Chiara Volpato e Raewyn Connel vi segnalo questo mio vecchio post. […]

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