Nuvolette di pensieri

Mormora l'acqua del ruscello

La Natura, l’Altro e l’Altra

su 17 novembre 2014
Adamo ed Eva, Marc Chagall, 1912

Adamo ed Eva, Marc Chagall, 1912

 

Oggi esplorerò il versante filosofico puro di Simone de Beauvoir. Un po’ ostico? No, vedrete che sarà un viaggio piacevole. Parto da questo estratto de Il secondo sesso, per fare qualche considerazione filosofica, che è necessaria per il punto a cui desidero arrivare. Vi allego qui pagg. 187-188 de Il secondo sesso.
Si parte dal presupposto che “il soggetto cerca di affermarsi, l’altro lo limita e lo nega se gli è necessario; il soggetto non si realizza che attraverso questa realtà estranea“. In parole povere, l’individuo ha bisogno di una dimensione duale per esplicare e dare misura della sua esistenza. Condizione di scontro, lotta, confronto, contrapposizione. L’altro, su cui il soggetto cerca di affermarsi, gli è necessario: non si tratta di un rapporto monodirezionale, perché in realtà è reciproco, la necessità del soggetto passivo è speculare a quella del dominante. In prima istanza esiste il rapporto uomo-natura, che l’uomo può cercare di dominare, controllare, sottomettere, può impadronirsene. Ma la natura non è in grado di soddisfarlo appieno, perché o si realizza come opposizione astratta, pura, restando un ostacolo estraneo, oppure, si lascia dominare, ma in questo caso l’uomo la consumerà e la distruggerà. In questo rapporto con la natura, l’uomo resta comunque solo. Anche la scoperta di avere un ruolo nella procreazione (ne avevo parlato qui) per l’uomo ha rappresentato una vittoria sulla natura, un altro esempio di come l’uomo può controllare la natura, interagire con le sue regole e impadronirsene.
Perché ci deve essere una coscienza altra (da me) ed è necessario che questa sia cosciente di sé, e che in qualche modo io possa riconoscermi in essa. Riporto fedelmente: “Non v’è presenza dell’altro che se l’altro è presente a sé; in altre parole, la reale alterità consiste in una coscienza separata dalla mia e identica a sé”.

Quindi avviene un ulteriore passaggio: l’uomo in rapporto all’altro uomo. Nel rapporto con gli altri uomini, l’uomo sperimenta e realizza la sua trascendenza (in senso esistenzialista): l’uomo alla perenne ricerca di superare se stesso, di elevarsi rispetto alla natura e agli altri (cosa preclusa per secoli alla donna, confinata in ruoli predeterminati, fissi, statici, immutabili che non le permettevano di sperimentare e di mettersi alla prova e superarsi). Questa relazione implica però dei rapporti di forza che mettono a dura prova la libertà del singolo uomo, perché “ogni coscienza pretende di porsi come soggetto unico e sovrano. Cerca di realizzarsi precipitando l’altra in schiavitù“. In pratica, c’è una eterna lotta di affermazione sull’altro, logica impressa nelle relazioni e ineludibile, perché necessaria ad esse e alla loro piena sperimentazione e realizzazione. C’è un passaggio successivo: lo schiavo, “nella fatica e nel terrore, sperimenta se stesso come essenziale, e per un rivolgimento dialettico, è il padrone che appare ora l’inessenziale”. È il rapporto di reciprocità e di specularità di cui parlavo all’inizio. I rapporti sono sempre intrecciati e ribaltabili, si possono osservare da angolature diverse e si troverà sempre il rapporto dialettico signore-servo di Hegel. Alla base della filosofia di Simone De Beauvoir c’è proprio questo.
Il conflitto padrone-schiavo potrebbe risolversi con “un libero riconoscersi di ciascun individuo nell’altro, ciascuno ponendo insieme sé e l’altro come oggetto e come soggetto di un movimento reciproco”. Questo riconoscersi reciprocamente delle libertà non è un tratto comune, si tratta di una virtù rara. Si tratta di un processo che non ha mai fine, a cui si tende continuamente, ma che non si completa mai veramente. È come se fosse una tensione all’infinito tra soggetto e oggetto e viceversa.
Quindi, l’incapacità dell’uomo di compiersi in solitudine, mettendolo per forza di cose in relazione con gli altri, contemporaneamente lo mette in pericolo. In questa continua tensione a dominare e a controllare l’altro, altro che gli resiste e gli si contrappone a sua volta, la vita degli uomini è un’impresa ardua, mai compiuta e sempre in fieri e insicura. Ma l’uomo non ama le difficoltà e il pericolo, aspira alla quiete, e dall’altro canto è attirato dalla vita. L'”inquietudine dello spirito”è la prova del suo essere vivo, in pieno sviluppo e raffigura il superamento di sé; la lotta con l’altro è garanzia e testimonianza della sua stessa esistenza. L’uomo vive contraddittoriamente in bilico tra esistenza ed essere, tra la vita e il riposo. È la coscienza infelice del borghese di Hegel.

Apro una piccola parentesi, per cercare di comprendere quando avviene la scoperta di questa realtà difficile, fatta di un continuo tendere a qualcosa, senza mai riuscire a trovare quiete. Ho riflettuto e penso che si possa far rientrare nella fase di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, quando si sperimenta un nuovo rapporto con sé, una conoscenza di sé, al di là delle esperienze quotidiane. Nel passaggio tra infanzia e età adulta si realizzano delle scoperte cruciali. Non potrà essere semplice e privo di sofferenza lo scoprire che quella essenza (che è l’essere in potenza), quella percezione di te stesso è in realtà un’entità astratta, un’idea, nel senso platonico, un’immagine di noi stessi che rimarrà nell’iperuranio e probabilmente non vedrà mai una realizzazione concreta, perché sarà inafferrabile e in eterno mutamento/adattamento, frutto del rapporto dialettico con gli altri.

Fin qui il rapporto tra uomo-natura e tra uomo e uomo. Simone De Beauvoir compie un ulteriore salto e arriva al nocciolo della questione che più le interessa.
“La donna è precisamente quel sogno incarnato; lei è il desiderato intermediario tra la natura straniera all’uomo e il suo simile che gli è troppo identico”. E l’uomo esclamò: BINGOO! L’uomo ha trovato un simile a sé, cosciente di sé, ma non troppo pericoloso, che non gli oppone il silenzio ostile della natura, né necessita di un riconoscimento reciproco. Cosa non da poco, sembra semplice “impadronirsi della sua carne”. Grazie alla donna, l’uomo può sfuggire dall’imperitura e “implacabile dialettica del padrone e dello schiavo, che ha origine nella reciprocità delle libertà”. In pratica, con la donna, l’uomo ha trovato una sorta di soluzione alla sua tensione continua.
Insomma la sua isola ideale, il suo sicuro approdo. La donna rappresenta “l’Altro in assoluto, senza reciprocità, l’inessenziale che non ritorna mai all’essenziale”. Comprendete che attraverso questo presupposto gli uomini hanno trovato la soluzione alla loro esistenza, a scapito della donna, che per garantire la quiete all’uomo deve restare in una posizione di subordinazione.

“La donna non è un inutile doppione dell’uomo; è il luogo incantato ove si compie la vivente alleanza dell’uomo e della natura. Se la donna sparisse, gli uomini si troverebbero soli, forestieri, senza passaporto in un deserto glaciale. Lei è la terra stessa innalzata al culmine della vita, la terra diventata sensibile e gioiosa; e senza di lei, per l’uomo la terra è muta e morta”. (M. Carrouges, I poteri della donna, Cahiers du Sud CCXCII)

Nel caso ci fossero problemi e la donna si permettesse di lamentarsi, basta non cedere e non darsi per vinti.
Balzac (citato da Simone De Beauvoir in nota) sintetizza bene i diritti che l’uomo può accampare sulla donna in questo passaggio tratto dal suo Physiologie du marriage:

“Non datevi pena alcuna per i suoi mormorii, delle sue grida, dei suoi dolori; la natura l’ha fatta a nostro uso, e per sopportare tutto: figli, sventure, colpi e pene degli uomini. Non accusatevi di durezza. In tutti i codici delle nazioni sedicenti civili l’uomo ha scritto le leggi che regolano il destino delle donne sotto questa epigrafe sanguinosa: “Vae Victis! Guai ai vinti!”.

Allontaniamoci per un istante dalle dissertazioni teoriche per scendere nel nostro quotidiano. Prendiamo in considerazione il rapporto imprenditore/capo e dipendente/operaio/lavoratore subordinato. Possiamo adoperare il meccanismo illustrato poc’anzi: c’è una relazione necessaria e conflittuale per natura in questi rapporti. Proprio da quella posizione dello schiavo, che si sente “essenziale”, può nascere quel tentativo e l’istanza socialista per cambiare lo status quo e per consentire una rivoluzione del proletariato. Insomma gli equilibri sono perennemente instabili e ribaltabili ed è forse un bene che lo siano, perché altrimenti ci sarebbe stagnazione, una società e un’economia immobili. Invece, lo scontro dialettico è necessario per la stessa vitalità e sopravvivenza di ciascuna delle due parti. Il cambiamento è possibile grazie al conflitto, se si dovesse mettere a tacere il contraddittorio e il dissenso ci troveremmo tutti imbrigliati e sicuramente non liberi. Il pensiero unico è la morte di ogni cosa. Il cambiamento non può avvenire senza un rapporto dialettico tra le parti. Non occorre aggiungere o specificare a cosa mi riferisco. Non venite a dirmi che sono cose e modelli vecchi!
Quando qualcuno (come avviene sempre più spesso di questi tempi, soprattutto a causa della crisi) afferma che il dipendente deve mettersi nei panni dell’imprenditore, deve compartecipare al destino dell’azienda, che è in qualche modo “socio” dell’impresa, nel bene e nel male (soprattutto e forse unicamente di fatto nel male), avviene un livellamento, una negazione di quel rapporto dialettico di cui parlavo prima. Significa voler forzatamente e innaturalmente mettere tutti sullo stesso piano teorico, per mantenere nella pratica una subordinazione e tutti gli effetti negativi di essa. Si tratta di un tentativo subdolo di disinnescare la reazione dell’altro (dipendente, proletario), di anestetizzare l’altra parte, in modo tale che questa non abbia più la forza e la consapevolezza di sé per reagire e opporsi. Trovo pericoloso negare e annullare questo rapporto duale, conflittuale, necessario affinché sia assicurato un movimento, un cambiamento costante, una mutevolezza della condizione umana. Insomma, se non ci fosse la possibilità di resistere e di contrapporsi, probabilmente saremmo in un regime schiavista.

Specularmente questo modello lo si può applicare anche nel rapporto uomo-donna, alle forme di sessismo benevolo e ai tentativi di backlash da parte degli uomini, di cui ho parlato in alcuni miei post precedenti.
Il cambiamento passa per un rapporto vivo e dialettico tra i sessi.
Se siete giunti a leggere fino in fondo, vi ringrazio 🙂


8 responses to “La Natura, l’Altro e l’Altra

  1. Paolo ha detto:

    l’importante dovrebbe essere sempre tenere presente che uomini e donne sono intellettualmente e moralmente pari nel bene e nel male. Scusate la banalità

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  2. Tecla ha detto:

    Il cambiamento passa per un rapporto vivo e dialettico tra i sessi.
    Ci credo fermamente. E’ questo rapporto che non ci mette nella condizione di essere subordinati a qualcuno (uomo o donna che sia). E ci fa ricercare anche soluzioni sempre diverse, non si sono soluzioni stereotipate, ma la necessità di trovare quelle che ci fanno stare bene.
    Mentre per il rapporto imprenditore-dipendente è molto più difficile, la tua considerazione ”Significa voler forzatamente e innaturalmente mettere tutti sullo stesso piano teorico, per mantenere nella pratica una subordinazione e tutti gli effetti negativi di essa. Si tratta di un tentativo subdolo di disinnescare la reazione dell’altro” purtroppo è questo che succede ed è molto difficile scardinare questo rapporto. L’imprenditore volutamente vuole questa condizione di subalternità, di sottomissione.
    Ed è solamente con la solidarietà tra lavoratori/trici, il rapporto vivo e dialettico che si diceva prima, che si può riuscire a sopportare questa subalternità e attivarsi per un cambiamento.

    Tecla

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  3. Massimo Lizzi ha detto:

    E tuttavia, mentre il tentativo dell’uomo di dominare la natura esiste da sempre, e credo accomuni anche le donne, il tentativo dell’uomo di dominare la donna pare abbia solo qualche migliaio di anni di storia. Leggevo che se la storia dell’umanità fosse un quadrante orario, il patriarcato occuperebbe solo gli ultimi cinque minuti.

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  4. […] La Natura, l’Altro e l’Altra nov […]

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  5. […] il vuoto sulle cause originarie, occorre utilizzare quel ragionamento che avevo introdotto nel post La Natura, l’Altro e l’Altra. Per comprendere è necessario ripescare l’idea di […]

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  6. […] hanno espresso il loro dominio non solo sulla natura, ma anche sulle donne (ne avevo parlato anche qui, ndr). Queste teorie fanno parte del patriarcato. Ci sono molte definizioni di patriarcato, ma in […]

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  7. […] L’uomo ha trovato un simile a sé, cosciente di sé, ma non troppo pericoloso, che non gli oppone il silenzio ostile della natura, né necessita di un riconoscimento reciproco. Cosa non da poco, sembra semplice “impadronirsi della sua carne”. Grazie alla donna, l’uomo può sfuggire dall’imperitura e “implacabile dialettica del padrone e dello schiavo, che ha origine nella reciprocità delle libertà”. In pratica, con la donna, l’uomo ha trovato una sorta di soluzione alla sua tensione continua. Insomma la sua isola ideale, il suo sicuro approdo. La donna rappresenta “l’Altro in assoluto, senza reciprocità, l’inessenziale che non ritorna mai all’essenziale”. Comprendete che attraverso questo presupposto gli uomini hanno trovato la soluzione alla loro esistenza, a scapito della donna, che per garantire la quiete all’uomo deve restare in una posizione di subordinazione (ne avevo parlato qui). […]

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