Loredana Lipperini qui ha espresso e riassunto perfettamente le sensazioni che ho avuto anche io dopo aver letto il raffazzonato articolo sul Fatto.
Fesserie appunto, come dice Lipperini. Come se fosse possibile spartire di qua o di là già dai primi anni, come se si potesse scrivere generalizzando su questi delicatissimi temi. Siamo noi adulti ad essere ossessionati dall’inscatolamento compulsivo dei bambini.
Mi son venute in mente alcune riflessioni in merito. Sia perché sull’argomento mi ero già espressa (qui, qui e qui), sia perché da bambina io non distinguevo il genere dei giocattoli, questo gli adulti devono metterselo in testa. Sono dettagli che notano solo i grandi, ma che per i bambini non esistono, perché per loro esiste un gioco bello o brutto, basta, senza troppi perché o sovrastrutture. Sono particolari che servono solo agli adulti per incasellare meglio i più piccoli e per renderli dei perfetti futuri consumatori. Sono meccanismi innescati da coloro che devono vendere e pubblicizzare un prodotto, in questo caso un giocattolo. Sono strategie di cui noi adulti, noi genitori ci rendiamo complici, spesso inconsapevoli. Personalmente penso che la faccenda dei colori e dei giocattoli di genere esista solo nelle menti monolitiche dei grandi. Vi ho già raccontato quando mi hanno fatto notare questa “divisione”: all’asilo, avrò avuto 4 anni, non potevo giocare con macchinine e soldatini/indiani, la maestra li aveva messi in scatoloni ben “segregati” e destinati ai maschietti. Ci rimasi male, ma non fu per me un freno. Anzi! Ricordo che mi piaceva giocare con i miei cuginetti a He-Man, con il veliero dei pirati della Playmobil (mio sogno mai esaudito), a calcio, anche se ero una schiappa. Ho iniziato a giocare con le Barbie a 7/8 anni. Ma sapete il motivo reale del gioco qual’è, la molla che ti porta a scegliere un determinato giocattolo? Per stare insieme, per giocare insieme e divertirsi insieme agli altri. Iniziai a giocare con le Barbie per stare insieme alle mie compagne, perché quello era uno dei mezzi attraverso cui fare gruppo, era solo un elemento per ritrovarsi e giocare insieme. Ma era solo uno dei tanti modi per stare insieme: la campana, saltare l’elastico, giocare a palla, a nascondino, giocare a impersonare un personaggio dei cartoni. Non importa il gioco, ma lo stare insieme, che forse con il tempo ci siamo dimenticati. Il giocattolo non vale per se stesso, per le abilità che può farti sviluppare, ma perché è un gancio per interagire con gli altri e con il mondo che ti circonda. Il giocattolo non è e non deve rimanere qualcosa di fine a se stesso. Mi fa tristezza se ce lo siamo dimenticati, se ci dobbiamo arrovellare sul “fabbricare” gli uomini e le donne del futuro, sulle basi delle nostre aspettative. I bambini cambiano velocemente e più volte nel corso dell’infanzia, andrebbero semplicemente lasciati liberi. I bambini giocano anche con molto poco, si fabbricano i giochi da soli (sullo stile dello “scatolone fabbricone” dell’Albero Azzurro): su questa loro capacità dovremmo investire. Siamo noi adulti che forse li riempiamo di troppi oggetti e sollecitazioni, perché a volte non abbiamo tempo da investire su di loro. Basta un po’ di cartoncino (a mia figlia ho comprato gli album Taglia e Incolla), disegnarci su qualche personaggio e qualche oggetto, ritagliare il tutto e inventarsi una storia. Per tutto questo basta un po’ di fantasia (ne basta un briciolo, non vi immaginate che io sappia disegnare capolavori o inventare favole straordinarie) e tanto tanto amore!
Non accaniamoci a costruire futuri ingegneri o architetti, medici o scienziati. Questo serve solo ad alimentare il nostro ego di adulti e di genitori, per esibire il “fenomeno” con gli altri. Sarà tutto tempo perso, ma non per noi, bensì per i nostri bambini. Rammentate sempre l’ottica!
P.s. E’ una vera goduria poter tornare a colorare gli album e a pasticciare con colla e forbici!
ma che bambini e bambine giochino con ciò che vogliono, bambole o macchinine che siano
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