Visto che siamo nel pieno di una diatriba, una sorta di guerra dei Roses, su chi incarna al meglio le sacre vesti della femminista ideale e su cosa la caratterizzi, iniziamo a chiarirci un po’ le idee.
Ho trovato molto sensato, corretto e condivisibile il post di Ida Dominijanni.
Nel mio post avevo espresso le mie perplessità in merito a un certo modo di interpretare la libertà di usare il proprio corpo, nel nome di un femminismo originario (il corpo è mio e lo gestisco io) e che oggi occorrerebbe rileggere e ricontestualizzare, se non si vuole correre il rischio di cadere in errate letture e semplificazioni. Quello che ipotizzavo era una stretta connessione tra meccanismi simil-femministi e un impianto liberal-capitalistico, che fa rima con neoliberismo. In pratica, il femminismo si è vestito dell’ideologia neoliberale, facendo un bel cortocircuito di mezzi, metodi, idee e finalità. Quello che prefiguravo nel mio post era una sorta di “lasciapassare” per qualsiasi cosa. Le affermazioni di questo tipo di femminismo sono strumentali per far passare l’idea che un “consumatore finale di sesso” come Berlusconi fondamentalmente sia una persona perfettamente nella norma, così come il suo giro di escort. “Facciamo quello che ci pare” è stato il cavallo di battaglia del Silvio nazionale.
Tutto diventa mercificabile, messaggio pubblicitario, ogni contenuto si svuota e si riempie con la parolina magica dell’emancipazione e dell’affrancamento femminista, che serve ormai a vendersi per avere un po’ di visibilità. Si è schiave di un sistema di produzione e di battage pubblicitario costante, spacciandolo per autodeterminazione consapevole della donna. Non basta però l’etichetta per dire qualcosa di sensato.
Sotto l’egida delle leggi di mercato si sviluppa un tappeto di una miriade di trovate che anche a un ingenuo apparirebbero per quel trucco che rappresentano. Così abbiamo la tinta rosa delle quote in politica (salvo poi non occuparci delle dimissioni in bianco), la Bacchiddu, la Chirico, la Conchita Wurst ecc. Tutti prodotti di consumo, di marketing che si rendono tali, indispensabili simulacri della nostra contemporaneità post-capitalista, di un usa e getta. Questo fa davvero bene alla causa di chi non ha lo stesso potere e che vive ogni giorno senza possibilità di scelta, senza una vera alternativa? Un sistema che si autoalimenta, mettendoci tutti nello stesso calderone di consumatori e prodotto, semplificando messaggi, ideali e contenuti per rendere tutto più sorridente al marketing onnipresente.
Io non ci sto a farmi incasellare dalla Chirico di turno. In questo modo vengon meno le peculiarità delle donne, quando si riutilizzano gli stessi metodi e schemi maschili per affermarsi, rivestendoli di semplice apparenza fisica, senza sostanza. Qui non c’è sorellanza che tenga, c’è unicamente il voler per forza costruire un universo femminile ad uso e consumo degli uomini, consapevolmente o meno. Abbiamo superato in parte alcuni aspetti del patriarcato, ed ora qualcuna di noi sente la nostalgia del passato.
Il fatto di aver scollegato le lotte femministe da certi ideali di sinistra, di aver creato un femminismo apolitico e allergico alla “categoria del politico”, ha in qualche modo portato a questi risultati e a questa revisione degli stessi principi, che un tempo servivano a tenere ben lontane le intromissioni da parte di speculatori padronali. Con una base culturale politica più solida non saremmo cadute nella trappola di renderci merce. Il politico serve a portare le riflessioni e il ragionamento “fuori da noi”, dalla nostra dimensione individuale. Il politico serve a smascherare lo sfruttamento e la manipolazione di corpi e pensieri da parte del sistema produttivo o di accumulazione contemporaneo.
Inoltre, aver rifiutato la categoria “morale” nelle battaglie delle donne, ha prodotto delle deviazioni strane. La morale è mutevole e cambia a seconda delle epoche, intercettandone i cambiamenti. Per cui, non si può linciare a priori tutto ciò che coincide o che si può annoverare con la morale. Tacciare di colpevole moralismo un certo femminismo che cerca di fare un’analisi un po’ più profonda e meno superficiale non aiuta alla riflessione sulle tematiche femminili. Rischiamo di perderci qualche pezzo importante e fondamentale, e soprattutto si apre la porta a qualunque assurdità.
La libertà di prostituirsi, così come propagandata ultimamente, fa coincidere in capo a un unico soggetto l’“operaio”, il prodotto e l’imprenditore. Ripeto la domanda del mio post precedente: “Siamo sicuri che qui ci sia veramente libertà di scelta”? Solo questo accumulo strano di elementi dovrebbe portarci a riflettere e a comprendere che qualcosa non quadra.
Non occorre scomodare la saggistica a riguardo, per capire che si tratta di interpretazioni del femminismo strumentali a un sistema postcapitalista e ultraliberale, in cui tutto e tutti sono attori e merci del mercato al tempo stesso, preferibilmente in assenza di regole e di diritti collettivi. Siamo giunti ad auspicare un diritto che ogni singolo individuo si può confezionare a seconda della convenienza personale, anche in contrapposizione con delle regole collettive, che garantiscano tutti indistintamente. Questo modo di ragionare apre le porte a forme autoritarie o entropiche, in cui tutto è ammesso, in cui si lotta con ogni mezzo e vince chi è più forte, furbo e scaltro. Nel nome della mia libertà personale non posso e non devo mai calpestare i diritti altrui, ignorando le sue problematiche e le sue sofferenze. Questo non era il mondo che sognavano le nostre madri e che noi ora dovremmo aggiustare, pena il fallimento di tutte le nostre lotte.
Semplificando, si può dividere in due correnti il “femminismo” una, quello liberale e borghese, che parte dal principio “maschio è meglio” e certa di ritagliarsi degli spazzi all’interno del dominio maschile, lasciando di fatto stabile il patriarcato e il capitalismo .e. in parte si disinteressa della condizione generale delle donne.. L’altro, quello che io definisco “femminismo rivoluzionario”, punta all’abbattimento del patriarcato e del capitalismo in tutte le sua manifestazioni, quindi ad una trasformazione sociale e non elitaria.. come è comprensibile le seconde hanno un compito più difficile, ma molto più interessante.. .. Questo è un tema molto interessante, vedo che anche a te stà a cuore… come a me.. in questi giorni ci stò lavorando, vediamo se si arriva a capo di qualcosa.. sopratutto se si riesce ad arginare il dilagare di certi idioti valori borghesi..
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Dimenticavo; pugna nel senso di combattere? Tipo:
Va’,non mi degno
di pugnar teco.
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Ti ringrazio Ida per le tue considerazioni, sempre molto efficaci. Sì, con il titolo del mio post intendevo comunicare esattamente il senso che hai rilevato 🙂 Per quanto riguarda il tema, mi interessa molto e sono d’accordo su quanto scrivi. Sono convinta che si debba ragionare in un’ottica collettiva, affinché le conquiste non siano appannaggio solo di una élite. Soprattutto mi piacerebbe che certe battaglie non venissero strumentalizzate e trasformate. Attendo il risultato del tuo lavoro, che leggerò con grande piacere 🙂
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