Cosa non si farebbe? Premetto che sono per la libertà di scelta sul modello da adottare per fare imprenditoria e su come utilizzare il proprio corpo. Al termine di questa narrazione mi sono chiesta se l’obiettivo ne valesse veramente la pena. La motivazione sembra nobile: sfuggire al precariato (e forse alla fatica quotidiana). Ma poi spuntano le scarpe Chanel e mi sorge un dubbio. Questa storia sembra suggerire che chi guadagna 1.000 euro e fa l’impiegata sia solo una sfigata, una che non sia in grado di fare del proprio corpo un’impresa commerciale. Insomma una massa di idiote. Una marea di donne incapaci che si ostinano a sgobbare per 1.000 miseri euro. Poveracce noi, verrebbe da dire. Ma se poi si guardano bene gli obiettivi di Stella, il nome fittizio della protagonista dell’articolo, ti appaiono per quello che sono. Così come quando sostiene di vivere alla giornata. Ci si dimentica che sono proprio le persone che vivono quotidianamente nella precarietà e nelle retribuzioni da fame a vivere alla giornata, senza prospettive neanche di medio termine. Stella voleva sfuggire veramente a questo tipo di vita? Continua a vivere in un modo “precario” e senza progetti. Mi sembra che non ci sia stato un grande vantaggio. Non voglio credere che i soldi siano rimasti l’unico motore trainante che ci resta. Dove sono finite le altre aspirazioni? La liberazione rischia di nascondere una nuova schiavitù, questa volta del vile denaro e di qualche bene di lusso da indossare. Siamo sicuri che qui ci sia veramente libertà di scelta, oppure solo vuoto e superficialità di scelta? Tanto orgoglio per svolgere la sua professione per cui aveva grandi attitudini, e poi la cosa deve rimanere un segreto. Siamo certi che non si tratti di un’ennesima vittima finita nel tritacarne del sistema capitalistico? Sono scelte autonome o comunque indotte da un certo sistema?
Tutti i lavoratori dipendenti in fondo lasciano che la propria azienda utilizzi il loro corpo per le finalità produttive. Abbiamo fatto tanto affinché questo utilizzo fosse possibilmente regolamentato e contenuto, ma a quanto pare oggi molti non sono più interessati a questa lotta.
Questa vicenda pare confermare una tendenza in atto da qualche anno a questa parte. Si assiste sempre di più all’affermarsi della dimensione individuale su quella collettiva, anche nel campo della richiesta di libertà e diritti. Sulla base del classico assunto liberale, l’individuo tende a prevalere sulle necessità e sui bisogni collettivi. Anche a livello normativo si assiste a un dominio crescente del contratto ad personam, rispetto alla dimensione legislativa, uguale per tutti. Questo fenomeno, apparentemente conveniente, può nascondere un aspetto pericoloso, presupponendo che nella realtà nessuno parta dalla stessa linea di partenza in tema di diritti e di libertà. Nella questione contingente, Stella ha tutto il diritto di svolgere la professione che desidera e apparentemente non crea problemi. Ma questo non va a banalizzare tutto il discorso sui diritti di coloro che si prostituiscono per bisogno? Visto che la cosa è normale, perché sbracciarsi tanto per tutelare tutte le donne che lo fanno per fame?
P.s. casualmente ho recuperato questo documento collettivo di Resistenza Femminista, che mi è sembrato perfetto ed esplicativo di quanto cercavo di esprimere nel mio post. Ve lo consiglio.
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