La storia di Giorgiana Masi non può passare perché purtroppo quello che le accadde nel 1977 continua a ripetersi. C’è chi dimentica e chi non può, perché la memoria è una delle poche cose che ci restano e che ci aiutano a leggere il nostro presente.
Era il 12 maggio e Giorgiana Masi, studentessa diciottenne, perse la vita in un giorno di scontri, cariche della polizia, lacrimogeni e spari verso i manifestanti.
Quella manifestazione era stata vietata, in seguito al provvedimento dell’allora ministro dell’interno Cossiga, che aveva dato disposizioni per vietare nella capitale, fino al 31 maggio, tutte le manifestazioni pubbliche. Il clima era incandescente.
Il Partito Radicale decise di sfidare il divieto, promuovendo un sit-in in piazza Navona per il 12 maggio, motivato dalla raccolta di firme alla proposta dei referendum abrogativi e dal celebrare il terzo anniversario della vittoria nel referendum sul divorzio. Alla manifestazione radicale si erano uniti anche i vari gruppi della sinistra extra-parlamentare (che poi saranno ricordati come il movimento del ’77), semplici studenti e femministe. Purtroppo c’erano anche tanti agenti in borghese infiltrati come autonomi. C’erano anche squadre speciali.
Tante le ipotesi e le piste su questa ignobile azione, nessuna certezza, poiché tuttora non sono stati individuati i colpevoli. Purtroppo tutto è rimasto confinato nella nuvola nera e torbida della strategia della tensione, nella quale molti hanno insabbiato peso e responsabilità. Il clima di omertà è rimasto immutato fino ai nostri giorni e poco è cambiato.
Se ci fossero state condanne giuste e indagini esemplari, forse non dovremmo assistere ancora a episodi come questo.
Dobbiamo ricordare Giorgiana, per ribadire anche oggi il diritto di manifestare e la libertà di lottare per una società più giusta. Giorgiana lottava per quei diritti, quei valori e quegli ideali oggi messi in discussione e sotto attacco.
Liber* tutt*!