Nuvolette di pensieri

Mormora l'acqua del ruscello

Get up, stand up for women’s rights!

su 8 dicembre 2015

Malala

 

Il 10 dicembre sarà celebrata in tutto il mondo la Giornata dei diritti umani.
C’è sicuramente uno stridore tra le dichiarazioni di principio che verranno sciorinate in questa occasione e quanto accade da anni in Paesi dilaniati da conflitti e la cui popolazione vede i propri diritti umani pesantemente negati, quasi come se fossero meno umani di altri, come se le loro vite avessero un valore minore. Sì, perché evidentemente l’umanità non ha ancora raggiunto un livello sufficiente di uguaglianza, che sia capace di tradursi in pari diritti e salvaguardia di essi.

I miei diritti non dovrebbero essere dissimili da quelli di un altro, eppure.

E vedo nel conflitto un tentativo di dare atto a un processo di negazione dei diritti, proseguendo in quel lavoro di deumanizzazione che poi giustifica ogni violenza.

Come analizza Chiara Volpato nel suo “Deumanizzazione. Come si legittima la violenza”, la deumanizzazione si può esprimere esplicitamente, tramite strategie che negano apertamente l’umanità di altri individui o gruppi, allo scopo di giustificare sfruttamenti, degradazioni e violenze, oppure attraverso modalità più sottili, che lesionano l’altrui umanità, poco per volta. Ricorrere a paragoni con animali, mostri, diavoli, considerarli oggetti, merci, strumenti, privi di anima sono tutti metodi per negare la loro appartenenza all’umanità.

Noi donne, come genere storicamente relegato a un gradino inferiore, abbiamo subito molti di questi processi di deumanizzazione.

Quante volte nei conflitti si è ricorso alla deumanizzazione del nemico?

A volte però non basta ed è necessaria un’operazione di “ristrutturazione” della morale, per rendere accettabili certe operazioni di guerra: si parla di guerra santa, giusta, di peacekeeping.

Albert Bandura ci spiega come la deumanizzazione costituisca un processo di disinnesco delle ragioni morali: se percepissimo il nemico come umano, scatterebbero delle reazioni empatiche, proveremmo compassione, angoscia e sensi di colpa.

Pertanto rendendo l’altro inumano, subumano, le nostre sentinelle morali si affievoliscono.

Capite che è più facile trascurare l’incidenza dei “danni collaterali” tra le popolazioni civili e tollerare la violazione dei diritti umani.

Lo vediamo oggi sotto i nostri occhi, abituati da più di un decennio di guerra al terrore.

Da una parte troviamo l’esposizione mediatica dei corpi dei nemici uccisi, oggetti, proprio come in epoca coloniale, dall’altra c’è la protezione dei “nostri” morti, a cui si attribuisce rispetto e pietà, non sempre estendibili ad altri gruppi.

Ancora una volta i diritti non sembrano valere allo stesso modo per tutti/e.

La deumanizzazione colpisce anche i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati, rappresentati dai media come clandestini privi di qualità morali e umane, utilizzati da una certa propaganda politica come un corpo unico di criminali o di terroristi, pericolo per il futuro del paese.

Strettamente connesso a questo tipo di trattamento, è l’oggettivazione. L’oggettivazione è un particolare tipo di deumanizzazione, per cui l’individuo è considerato alla stregua di un oggetto, merce, strumento.

Il prototipo è lo schiavo. Recupero dal testo di Volpato le sette dimensioni del concetto di oggettivazione di Martha Nussbaum:

1. l’oggetto è uno strumento per scopi altrui

2. l’oggetto è un’entità priva di autonomia e autodeterminazione

3. l’oggetto è un’entità priva di capacità di agire e di essere attivo

4. l’oggetto è interscambiabile con altri oggetti della stessa categoria

5. l’oggetto è un’entità priva di confini che ne tutelino l’integrità, è quindi possibile farlo a pezzi

6. l’oggetto appartiene a qualcuno e può quindi essere venduto o prestato

7. l’oggetto è un’entità le cui esperienze e i cui sentimenti sono trascurabili.

La strumentalità è molto pericolosa perché rende l’oggetto appetibile e mercificabile, in quanto c’è un mercato che lo richiede.

La sessualizzazione della donna, il suo essere confinato a mero oggetto di attrazione sessuale, la rende strumento di piacere altrui, realizzando quella che MacKinnon analizza come oggettivazione sessuale nella quale le donne sembrano essere immerse.
Le donne vivono qualcosa di simile all’alienazione lavorativa di Marx, una frammentazione tra le loro funzioni sessuali e tutto il resto (Bartky).

L’oggettivazione sembra avere un’altra ricaduta negativa, porta a un impoverimento dell’interazione sociale, portando le donne a esprimere raramente i propri pensieri e opinioni.

Le ricadute peggiori sono quelle che vedono coinvolto l’equilibrio psico-fisico: l’oggettivazione che porta all’auto-oggettivazione che scatena stati depressivi, disfunzioni sessuali e disturbi alimentari. Quando si comprende di non poter raggiungere certi standard, modelli di corpi, scatena una serie di disturbi legati al senso di inadeguatezza.

Questo riferimento all’oggettivazione è un chiaro passepartout per consentire che passino inosservate e impunite tutta una serie di violenze e violazioni di diritti umani fondamentali.

Tutto ciò che indebolisce e mette in discussione l’umanità, consente che anche i diritti possano diventare un optional, da applicare e disapplicare a piacimento.

Ho già parlato altrove dell’oggettivazione che consente di pensare alle donne come merce sessuale per il mercato della prostituzione, di come i corpi vengano separati dall’unicum persona e possano pertanto diventare cose, beni interscambiabili, sostituibili, commerciabili.

Ho letto di recente in un’intervista sul tema della maternità una frase che mi ha dato la misura di questa deformazione oggettivante: “L’utero surrogato è in prestito. A tempo.”

Non è effettivamente così, visto che la donna che si presta a ospitare la gravidanza conto terzi (e non il suo utero, qui rappresentato come elemento esterno e estraneo alla donna, che non dimentichiamo non è un oggetto, un involucro; la gestazione non consiste in una incubatrice meccanica con finalità riproduttive. Ricordiamoci che sono donne e non uteri!) deve sottoporsi a bombardamenti ormonali per niente innocui e i cui effetti non si esplicano solo nell’arco del processo della fecondazione/gravidanza.

Un utero, parte di corpo che viene oggettivata, quasi che fosse “estraibile”, componente meccanica atta alla procreazione, senza alcun nesso con la persona donna.

Una volta oggettivato, tale utero diventa vendibile e dato in comodato d’uso gratuito o a pagamento. A questo punto possiamo farlo anche con altri organi del nostro corpo.

(…)

CONTINUA A LEGGERE SU Mammeonline.net 

http://www.mammeonline.net/content/get-stand-womens-rights

 

P.S.

Questo articolo è stato pubblicato su Mammeonline il 3 dicembre, ma alla luce di quanto sta accadendo in questi ultimi giorni in tema di maternità surrogata assume nuove sfumature.

Mi sembra il caso di riportare alcune mie riflessioni sparse su Facebook. Mi interrogo e mi esprimo, almeno questo dovrebbe ancora essere consentito.

“Lottiamo per le adozioni, semplifichiamo l’iter di adozione, apriamolo a tutti/e, anche a single, diamo un futuro ai bambini. I bambini non sono beni, merci. Non riduciamo la donna a un utero che cammina e che può benissimo essere acquistato sul mercato. Parliamo di donne nella loro interezza, parliamo di diritti pieni e non di corpi, di servizi e di mercato. Non strumentalizzate il tema della Gpa per archiviare le unioni civili, apriamo un dibattito serio, parliamo del fatto che la Gpa è molto utilizzata dalle coppie etero, più di quelle omo, parliamo di diritti e di tutele. Garantiamo eguaglianza ma non sulla pelle di una donna.
Sono stanca veramente di certe argomentazioni che si basano sempre sulla nostra capacità di scelta. Ma come diamine si fa a non capire che questa è compravendita di corpi, di pezzi di essi, di bambini conto terzi, questa è violazione dei diritti umani, ci stanno usando, ci stanno riducendo a macchine da riproduzione, ci stanno convincendo che andiamo bene solo per sesso e per riprodurre la specie. Dov’è il progresso e l’emancipazione?”

Ho fatto una grande scoperta, l’adozione non interessa perché troppo onerosa (anche in termini di spesa), è complicato crescere un figlio magari già di qualche anno, con traumi pregressi. Quindi addio lotta alle adozioni paritarie. Meglio chiederne uno ex novo, a una donna che te lo porti in grembo per nove mesi e poi te lo ceda come se fosse un prodotto in serie. Una genitorialità che sembra lontana dalla realtà, come se i figli possano e debbano essere “perfetti”, così come sono nella nostra immaginazione. Sappiamo che essere genitori è un compito complesso sempre, in ogni caso, pensare di poter trovare strade più semplici è folle e sinonimo di non aver compreso cosa sia essere madri e padri, di come non ci siano ricette o bacchette magiche.

“A seconda di ciò che conviene a noi stessi ci esprimiamo, non sulla base di un ragionamento generale, non sulla base di un minimo di empatia nei confronti dell’altro/a. Tutto sembra partire e restare confinato al nostro individuo. Sembra che ci siano individui avulsi da un contesto sociale, da regole etiche, ma anche solo da prassi di buon senso. Anche le citazioni e i riferimenti a terzi devono essere funzionali al nostro punto di vista. Siamo in un contesto di un individualismo esasperato, lontani anni luce da un concetto di dono, che poi nei fatti si stenta a rintracciare. Siamo sempre bravi a parlare di altruismo dalla nostra calda poltrona, poi quanti sono disposti a mettere da parte il proprio ego di fronte a una necessità di una persona? E quante di queste azioni non sono funzionali a gratificare e a purificare il nostro ego? Sono sempre le altre che dovranno mettere a disposizione il proprio utero e il proprio corpo, sono sempre gli altri che dovranno vendere un rene, sono sempre gli altri che dovranno lavorare come schiavi per rendere le nostre vite felici e non scalfire il nostro agio. Sempre un “Altro”. Simone de Beauvoir: “ogni coscienza pretende di porsi come soggetto unico e sovrano. Cerca di realizzarsi precipitando l’altra in schiavitù“. Ma questa tendenza va superata, va attuato un reciproco riconoscersi, senza prevaricazioni nelle relazioni umane. Se poi il nostro “desiderio” deve per forza essere esaudito, chiaramente ci sarà un essere umano che probabilmente dovrà diventare nostro oggetto, nostro schiavo, nostro strumento. La deumanizzazione è proprio questo, dequalificare un essere umano per consentire di renderlo oggetto.”

A proposito di “dono”ho sostenuto: “Non siamo in una società e in una economia del dono. Siamo in un contesto post – capitalista, con un liberismo galoppante, un individualismo che ti dice che è colpa tua se non riesci a fare qualcosa, dove i datori di lavoro ti convincono a dimetterti dopo la maternità, dove ti chiedono di arrangiarti da sola, dove l’altruismo è raro e le persone tendono a fare cose solo se c’è un tornaconto personale. Io non so se chiederei mai a una amica un tale sacrificio, mi sembra qualcosa di troppo complesso e delicato.”

“La scelta libera, la volontarietà sappiamo bene che sono aspetti difficilmente verificabili, l’altruismo puro è cosa rara e presuppone immagino un legame affettivo, che unito ad altri fattori rende le cose complicate. Quanto siamo veramente in una società del dono? Ci siamo interrogati su questa necessità di genitorialità che implica l’uso di un corpo altrui? Il fatto che si parli di uteri, e poco di donne e delle conseguenze psico fisiche su coloro che portano avanti questa gravidanza, mi fa pensare che non ci sia interesse per le persone, ma che siamo talmente mercificati da non riuscire a ragionare diversamente.”

Ho parlato di surrogata solo tra parenti in modo da avvicinarsi a una ipotesi di “dono” e altruismo, ma chiaramente non sarebbe sufficiente a garantire una copertura efficace delle richieste si Gpa. Mi si parla di amiche disposte ad aiutare, io penso che sarebbe più complesso giudicare la fondatezza di tale “amicizia”, perché posso pagare una donna e chiederle di dichiarare di essermi amica. Contrattualizzare una maternità comporta sempre un elemento “critico”.

Quando si è visto che se ci si oppone a questo mantra della libera scelta si ricevono solo pomodori e accuse di ogni tipo, quando in molte/i preferiscono mantenere una linea ambigua, quando prendere posizione viene vista come un errore, ci consigliano addirittura di tacere almeno in questo frangente, ci vogliono quindi silenziare, che facciamo? Sapete qual è il punto vero? Non vogliamo scavare più di tanto, ci basta la superficie, mica vogliamo parlare di potere, di disuguaglianze, di sfruttamento, delle conseguenze di queste pratiche sempre sulla pelle delle donne, di una libertà che è sempre e solo di chi ha soldi e potere, di un concetto di dono che diventa il lavaggio di coscienza collettivo, di una refrattarietà all’adozione perché genitorialità troppo complicata, di un contesto dove io pretendo di disporre delle vite e dei corpi altrui.

“Io mi chiedo che senso ha combattere contro le disuguaglianze, la violazione dei diritti, la violenza di genere se poi si arriva a concepire che una strada di emancipazione dalla povertà, dalle difficoltà può essere la vendita di sé o di una parte del proprio corpo, o addirittura di bambini. Mi sembra che abbiamo accettato di buon grado la donna come un oggetto, naturalmente le Altre donne, ricreando così la solita dicotomia tra donneperbene e donnepermale. Indietro tutta. A questo punto sono ipocrite tutte le battaglie verso pari diritti e dignità.”

“Non c’è modo di ragionare seriamente, non vediamo chiaramente nemmeno che ci stanno fregando, ancora una volta, in quanto donne e in quanto vagina-munite a fini di sfruttamento sessuale e utero-munite a fini riproduttivi. Non c’è verso, per loro tutto deve essere possibile, l’autodeterminazione col corpo e le vite delle altre.. le altre naturalmente.”

“Qui si va dritte al suicidio di tutte le conquiste di decenni di riflessioni sulle donne come esseri umani. Qui si va dritte verso l’autorizzazione a fare di noi qualsiasi cosa il mercato chieda. Nessuno è in vendita, questa dovrebbe essere una regola fondamentale, invece la si propone come soluzione di vita. Non me ne faccio niente della libertà di disporre del mio corpo se poi perdo la salute e resto sempre un oggetto senza diritti.”


2 responses to “Get up, stand up for women’s rights!

  1. […] caso vuole che proprio ieri il blog Nuvolette di pensieri abbia dedicato un post al concetto di deumanizzazione, con particolare attenzione all’oggettificazione […]

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