Da qualche giorno si è acceso un confronto su alcune affermazioni.
Cito da Un altro genere di comunicazione:
“Perché scrivere post su come l’immagine femminile sia svilita e rappresentata secondo stereotipi, sarebbe del tutto vano per noi se queste discriminazioni non potessero essere inserite in un quadro economico-sociale più ampio, che contempla al suo interno discriminazioni per colore della pelle, religione, orientamento sessuale.
Se il femminismo è scisso da questo tipo di riflessione più grande, che collega tutte le categorie discriminate ad un’unico oppressore, se il femminismo cade e inciampa nel discriminare esso stesso, forse femminismo non è, somiglia di più al girl power e da fare politica si passa a fare solo costume”.
Vorrei soffermarmi su una questione. Probabilmente, c’è stato uno scivolone involontario, ma rappresenta per noi l’occasione per ragionare un po’. L’indignazione (che si può ben capire) di Lorella Zanardo deriva dal fatto che la violenza sulle donne, dalle mille sfaccettature e fattispecie, non riesce a coinvolgere l’opinione pubblica in modo significativo. In pratica non suscita lo stesso netto rifiuto e non infiamma a sufficienza gli animi. Zanardo, che fa un prezioso lavoro, rischia però di inficiare tutto, perché compie un errore, forse dettato dall’impeto del momento. Il femminismo non dovrebbe cadere nella trappola della torre d’avorio e di voler in qualche modo “escludere” tutto il resto, tutte le altre problematiche e tutt*. Sarebbe una discriminazione dettata da una cecità molto pericolosa, che potrebbe inviare messaggi totalmente sbagliati. Sarebbe coltivare uno sterile orticello, in cui ci parliamo solo tra di noi, fregandocene del resto del mondo, ma pretendendo che tutto il resto del mondo ci degni di attenzione e ci metta in cima alle priorità. Invece dobbiamo essere nel mondo, parte di esso e interpreti sincere e obiettive di ciò che accade, senza pretendere di creare scale di priorità delle discriminazioni e delle ingiustizie. Non siamo in una gara, non dovrebbe accadere quanto meno. Il pericolo reale è che il nostro diventi un femminismo astratto, slegato dal contesto socio-culturale generale, con la mania di misurare quanto siamo diventate rilevanti, quanto valiamo rispetto agli altri, quanto le nostre lotte sono più importanti o meno delle altre. Decisamente fuori strada. Il femminismo corre il rischio di trasformarsi in una forma di ignoranza, di intolleranza, come tanti altri fenomeni. Anziché scontrarci su chi deve avere la priorità o maggior spazio sui media o nell’agenda politica, forse occorrerebbe dar vita a una Leitkultur (cultura dominante, cit. Slavoj Žižek) emancipatrice, in grado di accogliere in sé tutte le battaglie (razzismo, omofobia, diritti delle donne ecc.) come se fosse un’unica grande rivoluzione universale contro ogni forma di discriminazione, violenza, violazioni di diritti fondamentali ecc. Non dobbiamo aver paura di perderci in un mare più grande, perché al contrario sono i rivoli di acqua stagnante che ci devono far paura e che non possono portarci da nessuna parte. Dovremmo sentire di essere parte di un sommovimento necessario su più fronti e livelli, che devono ragionare insieme attraverso vasi comunicanti e senza la spocchia o la smania di salire sul gradino più alto. Dobbiamo costruire un progetto universale condiviso (composto dalle molteplici lotte in corso) e lottare per la sua realizzazione. Altrimenti i nostri progetti resteranno asfittici e non saremo state in grado di condividere il cambiamento necessario. Dobbiamo stare con i piedi ben piantati in quella terra che tutti i giorni condividiamo con tante altre persone, che lottano come noi. La politica delle donne non è da intendersi unicamente come perfettamente assimilabile (e coincidente con) alla partecipazione attiva attraverso strumenti come partiti politici e una presenza nelle istituzioni. La politica delle donne è partecipazione, in varie modalità, all’interno della comunità. Fare politica non coincide con la tessera di partito, ma è la nostra azione quotidiana per incidere nella comunità sociale, cercando di migliorare qualcosa. La politica non è protagonismo (quella è solo smania di carriera), ma lavorare con umiltà, credendo veramente in quello che si fa. La mia visione è utopica? Forse sì, ma questa sono io.
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