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Sulle molestie nei luoghi di lavoro l’Italia si allinea all’Europa

su 15 dicembre 2016

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Qui di seguito una versione più estesa dell’articolo pubblicato su Dols Magazine qui.

 

Un patto, un punto di incontro, una chiara intesa di collaborazione tra le parti sociali sul tema delle molestie e le violenze sul lavoro. Di questo si è parlato lo scorso 14 novembre all’interno del convegno tenutosi presso Palazzo Pirelli. Il pezzo è un po’ lungo, ma rappresenta un quadro utile della situazione attuale, su un tema che a mio avviso non ha ricevuto il giusto rilievo.

All’interno della Legge Regionale 3 luglio 2012, n. 11 – Interventi di prevenzione, contrasto e sostegno a favore di donne vittime di violenza, troviamo un chiaro riferimento anche al tema del convegno:

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Con l’Accordo siglato il 26 aprile 2016 Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza, con Cgil Camera del Lavoro Metropolitana di Milano, Cisl Milano Metropoli, Uil Milano e Lombardia hanno recepito l’Accordo Quadro della parti sociali europee del 26 aprile 2007 e dell’Accordo Quadro sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro del 25 gennaio 2016 tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL.

Il documento vuole diffondere una cultura che prevenga e contrasti ogni atto o comportamento che si configuri come molestia o violenza nei luoghi di lavoro.

A tale fine si sostiene la necessità di promuovere iniziative di informazione e formazione all’interno delle aziende, anche utilizzando gli strumenti previsti dalle norme vigenti e dai contratti in materia di aggiornamento formativo. Vengono, inoltre, identificate strutture interne e esterne all’azienda alle quali le lavoratrici e i lavoratori vittime di molestie o di violenza possono liberamente rivolgersi per affrontare le problematiche dirette ed indirette collegate al tema, nel rispetto della discrezione necessaria al fine di proteggere la dignità e la riservatezza dei soggetti coinvolti. Viene anche istituito un tavolo di monitoraggio che, attraverso una valutazione del fenomeno, sia in grado di proporre azioni di sensibilizzazione degli attori che si occupano del tema a vario titolo sul territorio. A tal fine le parti firmatarie si impegnano ad incontrarsi semestralmente presso la sede di Assolombarda.

Esistono già buone pratiche aziendali, si pensi ai Comitati unici di garanzia (CUG) previsti da Regione Lombardia in ambito sanitario.

Le molestie sul lavoro sono figlie di rapporti di potere e di squilibri tra i generi. Esistono forme di violenza più nascoste e pertanto più difficili da combattere.

La professoressa Manuela Lodovici dell’Univesità Cattolica del Sacro Cuore di Milano ha rilevato come ci sia poca consapevolezza della gravità del fenomeno, dei costi non solo economici ma individuali ed aziendali che comporta. Per questo è necessario intervenire. L’ultima indagine Istat in materia risale al 2010 sugli anni 2008-2009, su 24 mila 388 donne di età compresa tra i 14 e i 65 anni. È difficile percepire la gravità di simili atti di violenza da parte delle donne, dell’azienda e della collettività. Spesso sono proprio le molestie psicologiche quelle più complicate da dimostrare e quindi che vengono denunciate.

Il fenomeno e i numeri

Dall’ultima indagine Istat emerge che:

“Circa la metà delle donne in età 14-65 anni (10 milioni 485 mila, pari al 51,8 per cento) hanno subito nell’arco della loro vita ricatti sessuali sul lavoro o molestie in senso lato come pedinamento, esibizionismo, telefonate oscene, molestie verbali e fisiche.

Negli ultimi tre anni sono state 3 milioni 864 mila (il 19,1 per cento del totale) le donne di 14-65 anni ad aver subito almeno una molestia o un ricatto sessuale sul lavoro. Le più colpite da questo fenomeno sono le ragazze di 14-24 anni (38,6 per cento).”

“Sono 842 mila (il 5,9 per cento) le donne di 15-65 anni che, nel corso della vita lavorativa, sono state sottoposte a ricatti sessuali sul posto di lavoro, l’1,7 per cento per essere assunte e l’1,7 per cento per mantenere il posto di lavoro o avanzare di carriera. Le donne a cui è stata chiesta una “disponibilità sessuale” al momento della ricerca del lavoro risultano essere quasi mezzo milione, pari al 3,4 per cento. Negli ultimi tre anni sono state 227 mila (l’1,6 per cento) le donne che hanno subito ricatti sessuali; all’un per cento è stata richiesta la disponibilità sessuale al momento dell’assunzione (per un totale di 140 mila donne), lo 0,4 per cento è stato ricattato per essere assunto (per un totale di 61 mila donne) e lo 0,5 per cento per mantenere il posto di lavoro o avanzare di carriera (per un totale di 65 mila donne). Ciò che caratterizza maggiormente le vittime di ricatti sessuali nel corso della vita è il fatto di avere un titolo di studio elevato: le donne che presentano il tasso di vittimizzazione più basso hanno, infatti, al massimo la licenza elementare (1,8 per cento nella vita e 0,1 per cento negli ultimi tre anni).”

Le reazioni

Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nell’81,7 per cento dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro (80,2 per cento negli ultimi tre anni). Solo il 18,3 per cento di coloro che hanno subito ricatti nel corso della vita ha raccontato la sua esperienza, soprattutto ai colleghi (10,6 per cento).

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Quasi nessuna delle vittime ha denunciato l’episodio alle forze dell’ordine. La motivazione più frequente per non denunciare il ricatto subito nel corso della vita è la scarsa gravità dell’episodio (28,4 per cento), seguita dall’essersela cavata da sole o con l’aiuto dei familiari (23,9 per cento), dalla mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine o dalla loro impossibilità di agire (20,4 per cento) e dalla paura di essere giudicate e trattate male al momento della denuncia (15,1 per cento). Negli ultimi tre anni, la scarsa gravità dell’episodio (31,4 per cento) e l’essersela cavata da sole o con l’aiuto dei familiari (28,4 per cento) sono in aumento tra le motivazioni della mancata denuncia, così come la paura delle conseguenze per la propria famiglia, mentre diminuiscono le vittime che hanno paura di essere giudicate o trattate male.

 

Le conseguenze

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Le conseguenze e i costi sono difficili da stimare, sia nel breve che nel lungo periodo, per i lavoratori, le imprese e la collettività. Ci sono impatti (le molestie possono riguardare anche gli uomini, ma in maggioranza si tratta di donne) di natura psicologica, fisica, economica (perdita lavoro, contratto, dimissioni) che pesano per lo più sulle donne. Crescono le spese mediche. Ci sono ricadute sulle relazioni familiari, effetti negativi sui colleghi di lavoro, un picco di assenteismo, peggioramento complessivo del clima aziendale, costi legati ai contenziosi, all’immagine esterna dell’azienda.

Il fenomeno è molto presente in ambienti molto competitivi o molto segregati per genere, in cui manca una cultura del rispetto, in fasi di ristrutturazione/cessione/crisi aziendali, in presenza di contratti precari e di una bassa autonomia lavorativa.

Incide anche il sistema di valori e la cultura nazionale italiana: cosa è accettabile o meno cambia da Paese a Paese e se la percezione è diversa, se c’è una minor consapevolezza il risultato è che le donne denunciano meno. Quindi la priorità è sensibilizzare.

Ivana Brunato, segretaria Cgil Metropolitana, ha illustrato l’accordo con Assolombarda. Alcuni CCNL come quello del commercio contenevano già prescrizioni in materia di molestie, prevedendo anche i provvedimenti disciplinari del caso che potevano arrivare anche al licenziamento dell’abusante. Negli enti pubblici nei primi anni 2000 nascevano i primi codici per le pari opportunità che prevedevano codici di comportamento ai quali attenersi.

Non siamo all’anno zero quindi, l’accordo si inserisce in un processo che deve sancire l’esigibilità di un diritto.

Sinora questo fenomeno è stato trattato come un problema legato alla salute. Ma sappiamo come molestie, parità di genere, cultura del rispetto, condivisione dei carichi familiari, quesitoni di genere sono tutti temi strettamente collegati. Occorre potenziare le strutture e servizi in grado di fare da punto di riferimento per le donne che subiscono molestie e violenze sul lavoro, che sappiano avere un approccio adeguato di supporto in questi casi. Naturalmente occorre investire risorse in questa direzione.

Occorre diffondere la consapevolezza che si possono far assistere dalle organizzazioni sindacali (ricordiamo il Centro Donna CGIL di Milano), che verrà garantita la riservatezza, che ci sono strutture di supporto per le vittime, che ci sono le Consigliere di parità, medici competenti, reti istituzionali antiviolenza, centri antiviolenza territoriali.

Ora l’intesa va applicata, promuovendo una cultura della correttezza delle relazioni personali.

Personalmente più che di correttezza parlerei di “rispetto”, che è qualcosa che dovrebbe essere fondamentale e radicata (ndr).

Ci sono risorse sufficienti per prevenzione e contrasto?

Per la formazione si potrebbe ricorrere ai fondi strutturali e di investimento europei e a formule di cofinanziamento pubblico-privato.

Silvia Belloni, avvocata penalista, ha sottolineato l’importanza della corretta descrizione delle condotte (cosa intendiamo per mlestie e violenze) e una definizione di modelli aziendali di contrasto e di intervento.

Viene richiamata la Convenzione di Istanbul che definisce le violenze “violazioni dei diritti umani”, a questo dobbiamo sempre rapportarci.

Occorre aumentare la consapevolezza e la conoscenza del fenomeno, identificare, prevenire e gestire queste violenze. Dichiarare da parte delle parti sociali che certi comportamenti sono inaccettabili è un buon segnale. Individuare gli interlocutori idonei e avere un monitoraggio sarà fondamentale.

Includere la tematica delle molestie nel bilancio sociale delle aziende sarebbe utile.

Oggi è un tema all’interno della tutela del lavoro. Silvia Belloni propone di inserirlo a livello di salvaguardia dei diritti umani.

È importante che sia istituita una figura terza in azienda (come la consigliera di fiducia degli enti pubblici), prevedendo un iter interno ed esterno (giudiziario) di risoluzione.

L’attività di formazione va tarata sulla realtà aziendale, per rilevare le tipologie di molestie più frequenti in quel contesto, adoperando strumenti ad hoc.

A inizio 2016 il Dlgs n.212/15, approvato dal Consiglio dei ministri in attuazione della direttiva UE che istituisce le norme in materia di assistenza e protezione delle vittime di reato, è entrato in vigore.

Il Dgls n.212 modifica la disciplina sulla prova testimoniale e sull’incidente probatorio nell’ottica di una maggiore tutela della persona offesa dal reato. Si vuole preservare la vittima di un reato che decide di deporre come testimone da potenziali ripercussioni negative derivanti da una sua testimonianza. Ne consegue che alla persona offesa è riconosciuto un particolare stato di vulnerabilità. È stato innovato anche il c.p.p.

Art. 90-quater. (Condizione di particolare vulnerabilità).

1. Agli effetti delle disposizioni del presente codice, la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se e’ riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato.

Sono necessari percorsi di sensibilizzazione per prevenire questi fenomeni. Le molestie e le violenze avvengono dentro e fuori i luoghi di lavoro, per questo è necessario impegnarsi per una diffusione della cultura del rispetto, che condanni ogni sopruso.

Maria Antonietta Banchero, dirigente Welfare Regione Lombardia, ha esordito ricordando la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne (1993).

All’articolo 2 leggiamo:

La violenza contro le donne dovrà comprendere, ma non limitarsi a, quanto segue:

a) La violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene in famiglia, incluse le percosse, l’abuso sessuale delle bambine nel luogo domestico, la violenza legata alla dote, lo stupro da parte del marito, le mutilazioni genitali femminili e altre pratiche tradizionali dannose per le donne, la violenza non maritale e la violenza legata allo sfruttamento;

b) La violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene all’interno della comunità nel suo complesso, incluso lo stupro, l’abuso sessuale, la molestia sessuale e l’intimidazione sul posto di lavoro, negli istituti educativi e altrove, il traffico delle donne e la prostituzione forzata;

c) La violenza fisica, sessuale e psicologica perpetrata o condotta dallo Stato, ovunque essa accada.

Ha richiamato l’importanza dei Comitati unici di garanzia, obbligatori nelle aziende sociosanitarie e in tutta la pubblica amministrazione. In Lombardia la violenza è stata inserita nella delibera delle regole e negli obiettivi di valutazione a cui sono sottoposti i direttori generali delle Aziende sanitarie (valutazione sulle azioni messe in atto per contrastare la violenza).

Importante è realizzare un sistema di valutazione del rischio nei Pronto Soccorso.

Centrale è la prevenzione, con una dichiarazione esplicita che ci sarà tolleranza zero, con regole per arginare e contrastare il fenomeno.

Inoltre è necessario investire in formazione del management e degli imprenditori. Nelle micro e medie imprese va fatto un lavoro di sensibilizzazione su datori di lavoro e personale.

Viene ribadita la necessità di una figura esterna di controllo e di intervento sulle molestie.

Le lavoratrici vanno sostenute anche dopo l’evento e la denuncia.

Sarebbe utile introdurre nei moduli per la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, anche un capitolo riservato alle molestie e violenze.

Si ritiene importante anche l’esistenza di formule di mediazione interna aziendale.

Sarebbe altrettanto utile la diffusione della figura del delegato sociale: in pratica si tratta di formare delegati sindacali che siano in grado di porsi come facilitatori per i processi di espressione del disagio e come intermediari tra l’ambiente lavorativo e i servizi sul territorio. Per approfondire qui.

Antonio Calabrò, vicepresidente Assolombarda, ha parlato di civiltà ed etica del lavoro, le persone sono la componente essenziale. Scelte di competitività e di produttività: chi è vittima di molestie produce meno e la qualità generale diminuisce. Si parla di sostenibilità del clima di lavoro e dell’ambiente lavorativo.

La fabbrica bella, il benessere dei lavoratori, con un richiamo a Olivetti.

Ha ribadito l’impegno per un monitoraggio dopo l’accordo sulle molestie. Ha fatto un richiamo sulla necessità di una formazione sui diritti e responsabilità, soprattutto tra le nuove generazioni di lavoratori, diffondendo maggiore consapevolezza sui temi della violenza.

Giuseppe Pitotti, Fondazione Sodalitas, ci ha parlato di etica degli affari, mobbing, cultura dell’organizzazione, conciliazione, sulla necessità di smontare l’abitudine secondo cui chi commette certi abusi la fa franca: comportamenti etici migliorano la reputazione e le performance aziendali.

Approccio che va tarato sull’azienda. Nei codici etici aziendali che vanno costruiti anche dal basso, dalla base dell’organizzazione aziendale. Il comitato etico aziendale deve avere il più possibile un ruolo “terzo”.

È fondamentale dotare le aziende di strumenti per facilitare la denuncia di comportamenti molesti o violenti (speak up policy), che assicurino riservatezza e protezione del denunciante.

Qui alcuni recenti lavori di Sodalitas:

http://www.sodalitas.it/fare/lavoro-e-inclusione/business-and-human-rights

http://www.sodalitas.it/public/allegati/_Human_Rights_Blueprint_2016411103438613.pdf

http://www.sodalitas.it/fare/lavoro-e-inclusione/carta-per-le-pari-opportunita-e-luguaglianza-sul-lavoro

Carolina Pellegrini, consigliera di parità Regione Lombardia, ha riportato la sua esperienza di “trincea” al fianco delle donne che subiscono queste violenze. Ricorda che il fondo delle consigliere di parità non è finanziato da tempo, con impossibilità di ricorrere in giudizio e di sostenere le donne in modo adeguato.

Ha ricordato il comunicato della Conferenza Nazionale delle Consigliere e dei Consiglieri di Parità prendono posizione in merito alla sentenza del Tribunale di Palermo – Sez. II penale – n. 6055/15 del 23 novembre 2015, con la quale si assolve un imputato accusato di comportamenti sessuali lesivi sul luogo di lavoro. Questa purtroppo è la realtà.

Nel codice delle P.O. Legge 198/2006, si parla anche di molestie sul lavoro:

Art. 26.

Molestie e molestie sessuali

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater)

1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

2. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

3. Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. Sono considerati, altresì, discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.

 

Può essere utile introdurre la questione delle molestie anche a livello di contrattazione di secondo livello.

Il T.U.S.L. all’art. 28 richiama nuove categorie nella valutazione del rischio, connessi alla differenza di genere.

Nel pacchetto di formazione sulla sicurezza andrebbe introdotto un modulo specifico sulle molestie.

È stata ribadita l’importanza della responsabilità sociale di impresa, soprattutto per le Pmi.

Adoperare le reti esistenti per prevenire e contrastare il fenomeno delle molestie, delle violenze e delle discriminazioni (si pensi per esempio la rete territoriale di conciliazione).

Francesca Brianza, Assessora al Reddito di autonomia e Inclusione sociale ha richiamato il bando annuale “Progettare la Parità in Lombardia”, in coerenza con il Piano quadriennale regionale per le politiche di parità e di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne.

 

Per approfondire:

Il blog di Olga Ricci

Rimozione collettiva

 


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