Perdersi è anche cammino.
Ma non sempre è necessario essere forti. Dobbiamo respirare anche le nostre debolezze.
Clarice Lispector
Emma Watson mi ha commossa. C’è chi* la può criticare per il suo approccio e la sua forma di richiamo, si può anche dubitare sulla sua sincera partecipazione alla causa delle donne e così via. Procedendo così non si costruisce nulla. Vorrei per una volta non fare le pulci alle intenzioni o alle parole. Così come non sono per le inutili divisioni e gli schieramenti contrapposti tra (white) feminist e il resto del mondo femminista. Per una volta sgombriamo il campo da polemiche. Perché è sempre bello scoprire che il germoglio delle idee continua a fiorire e non smette mai di diffondere i suoi effetti positivi. Le idee libere, frutto di un percorso personale di presa di coscienza, sono l’unica nostra speranza di cambiare realmente le cose. Cos’altro è il femminismo, se non porre, mattoncino dopo mattoncino, le basi del cambiamento culturale di tutt@? Non è semplice, ma ogni qualvolta una donna comprende che c’è bisogno di farsi avanti, di far sentire la propria voce per chiedere parità, affinché venga rimossa quella cappa di ignoranza e di violenza che impedisce alle donne di esprimere liberamente se stesse, affinché i pregiudizi vengano superati, quell’istante diventa un momento importantissimo, un passaggio che ci avvicina sempre di più alla meta. La cultura in questo cammino è un’arma potentissima. Leggere, leggere, parlare, confrontarsi, porsi domande e non dare mai nulla per scontato. Rompere sempre gli schemi! Le rappresaglie* di cui è vittima ora Emma fanno parte della strategia vigliacca di chi ci preferisce mute e sorde. Ma io non intendo sprecare le mie energie per far cambiare idea a costoro, perché penso sia una battaglia persa. Questa mentalità misogina, violenta e cieca è fortemente radicata in essi, altrimenti non si esprimerebbero in quel modo. Il loro bersaglio non è più solo il nostro corpo, ma la nostra testa, che non si piega e non è sensibile alle loro minacce “rieducative”. Il lavoro che abbiamo davanti deve coinvolgere le donne e tutti coloro che hanno voglia di ragionare con noi e fare qualcosa per cambiare i disequilibri che affliggono i rapporti tra i sessi e la società. Personalmente mi preoccupa maggiormente sentire dire da una donna, ancor di più se giovane o giovanissima, che il femminismo è muffa o roba inutile. Il nostro compito è riuscire a parlare a queste donne, riuscire a fargli capire che il giorno in cui non ci saranno più discriminazioni come queste ed epiteti come quelli lanciati a Emma cadranno in disuso, sarà una liberazione per tutt@. Fino ad allora dovremo tener duro e non stancarci o lasciarci intimidire. Ci avvicineremo alla meta ogni giorno di più, per gradi, attraverso passaggi difficili, riflessioni, letture, dialoghi, scontri, dispersioni, errori, inciampi; saremo donne forti e fragili (perché no?!), con la consapevolezza che è il cammino stesso che ci formerà, farà da struttura portante a noi stesse e alle nostre idee. Sarà il cammino, ognuna a suo modo, che ci darà le maggiori soddisfazioni, anche se l’obiettivo ci potrà sembrare lontano. Un cammino dentro e fuori di noi, come presa di coscienza su noi stesse e come necessità di stabilire un dialogo/ascolto con tutt@ gli altr@. Molto meglio di me lo spiega Lea Melandri qui. Noi siamo in marcia verso quel mondo, quella società e quella cultura che non necessariamente riusciremo a vedere e a vivere di persona, ma che siamo certe vedranno la luce prima o poi! La pazienza e la perseveranza, che alcuni chiamano cocciutaggine, ci aiuteranno lungo il cammino. Stando unite, nonostante le incomprensioni e le differenti vedute sul metodo e sulle modalità con cui compiere i nostri passi. Come le donne spagnole. Perché l’importante è l’obiettivo comune e non mettersi a baccagliare su chi può parlare, come deve farlo, chi ne sa di più, chi è meglio, chi deve dettare la linea da seguire. Queste sono robe che disperdono solo energie e ci fanno sembrare scoordinate e divise. La presa di coscienza, a mio parere, non può essere qualcosa che cala dall’alto, ma è un percorso inizialmente personale, a cui giungere come singola, ma che per crescere rigogliosa e dare buoni frutti ha bisogno della dimensione collettiva. Non si è femministe per caso o per moda, ma per volontà, per una necessità di non essere spettatrici passive e comparse della nostra vita e della vita degli altri. È una voce che appartiene a tutte noi e che se risvegliata parlerà e si farà sentire.
* ringrazio il Ricciocorno per le segnalazioni 🙂
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