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Secondo una recente ricerca un italiano su due pensa che una madre, con figli in età prescolare, che lavora danneggi i figli, uno stereotipo che stenta a venire meno e che quindi rende ogni cosa più difficile, con sensi di colpa e carichi di cura che purtroppo ancora pesano molto sulle spalle delle donne. Mi si verrà a contraddire dicendo che ormai i tempi sono cambiati e che gli uomini si occupano dei figli esattamente come una madre o come può fare una madre. Certo ci saranno nuovi riequilibri, ma la realtà dei fatti è che se una donna oggi vuole lavorare e avere dei figli dovrà affrontare tutta una serie di ostacoli che non saranno paragonabili a ciò che verrà richiesto e che faranno i padri. Quindi il problema è addossare sempre le responsabilità su quanti figli e se farne alle donne. E’ un paese che non ama le donne e questo si sa, ma ci siamo chiesti seriamente e abbiamo mai voluto guardare in faccia la realtà? Quante donne escono dal mondo del lavoro (il 71,8% di chi lascia il lavoro da neogenitore è donna), quante non vi fanno più rientro per un semplice stigma? Le donne hanno deciso di rispondere riducendo a 1,24 il numero medio di figli per donna (Le ultime stime Istat, infine, dicono che tra le donne nate negli anni ‘80, quindi vicine alla fine della loro fase riproduttiva, ben un quarto siano senza figli). Senza supporti, servizi, un PNRR che ha poco pensato alle donne, dove si pensa di andare? Anziché osservare e accertare le condizioni in cui le donne si confrontano con un mondo del lavoro e una cultura del lavoro che le penalizza a più non posso, si fa di tutto per coprirle di colpe e stereotipi. Chi ha vissuto in prima persona le molteplici forme di sacrificio e di ridefinizione del proprio orizzonte lavorativo, sa benissimo che non è solo una questione di sensazioni, ma di un vero contesto ostile. Sono le stesse donne che poi vengono penalizzate se cercano di separarsi in condizioni di violenza domestica, sono le stesse donne che non hanno autonomia economica, con tutte le conseguenze del caso. La parità in un mondo impari non è raggiungibile perché i modelli vigenti sono ancora declinati dagli uomini.
E allora, oltre tutti i problemi contingenti c’è tutta un’atmosfera mefitica che riporta in ballo tutta una serie di considerazioni sulla 194. Gian Carlo Blangiardo su Il Foglio lamenta il numero esiguo di donne in età feconda, fa il calcolo di quante donne sono mancate all’appello di potenziali procreatrici in seguito al numero di interruzioni volontarie di gravidanza degli ultimi decenni. Il calo demografico in Italia è determinato anche da una serie di donne che usufruiscono della legge, approvata quarant’anni fa tramite referendum, la quale però andrebbe riletta per un utile ridimensionamento del fenomeno”.
Secondo l’autore del pezzo ed ex presidente dell’Istat sembrerebbe esserci un ulteriore peggioramento della situazione in quanto meno donne, meno figli. Ma se siamo ancora in un Paese che tutela l’autodeterminazione delle donne nella scelta di fare o meno un figlio, non dovrebbe essere strumentalizzato e usato contro le donne lo stesso articolo 1 della Legge 194 (lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio). Si parla delle “mamme di mai” come se noi donne non fossimo persone in grado di prendere decisioni relative al nostro corpo e alla maternità. Si parla di noi donne come compartecipi dell’inverno demografico come se non ci fossero motivazioni legittime. Si parla ancora una volta di noi donne come soggetti il cui valore è solo associato alla maternità, come se non fosse necessario incentivare l’autonomia e l’indipendenza lavorativa delle donne per incentivare le scelte di vita e riproduttive, come se non ci fosse bisogno di un welfare che le sostenga, come se l’autodeterminazione delle donne nel nostro Paese faccia ancora fatica ad essere riconosciuta. Intanto, cresce il numero di obiettori di coscienza e dei consultori privati che non applicano la Legge 194. Quindi applichiamo la 194 e restituiamo alle donne l’ultima parola. Questo non è un Paese per donne se si criminalizzano e si penalizzano in questo modo.
Per un approfondimento vi consiglio il rapporto Equilibriste di Save the children qui.
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