Nuvolette di pensieri

Mormora l'acqua del ruscello

L’otto per le donne. E tu?

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Le donne di ObiettiamoLaSanzione e tutte le persone che hanno aderito all’iniziativa, non abbassano la guardia!

L’8 marzo dalle 12,00 alle 14,00 nuovo tweetbombing a Matteo Renzi Responsabile Pari Opportunità, con il tweet:
A @matteorenzi Responsabile Pari Opportunità: L’OTTO PER LE DONNE. E TU? #‎ObiettiamoLaSanzione
con in allegato la vignetta qui in alto.

Condividete, fate girare!
Abbiamo bisogno di tutt* voi per continuare a tenere alta l’attenzione sull’ingiusto aumento di sanzioni alle donne costrette all’aborto clandestino e su una corretta applicazione della legge 194. Per vincere ci vuole costanza e determinazione!
Grazie a tutt*.

Le donne promotrici di ObiettiamoLaSanzione
Anarkikka attivista, vignettista
Barbara Bonomi Romagnoli giornalista, attivista
Monica Lanfranco giornalista, blogger
Loredana Lipperini
Donatella Martini Donne InQuota
Cristina Obber giornalista, scrittrice
Benedetta Pintus Pasionaria.it
Antonella Penati Federico nel cuore
Maddalena Robustelli
Simona Sforza blogger e attivista
Nadia Somma blogger, attivista
Paola Tavella giornalista
Lorella Zanardo Il corpo delle donne

Per saperne di più:
#ObiettiamoLaSanzione
#ObiettiamoLaSanzione Lettera aperta alle donne del Parlamento.
#ObiettiamoLaSanzione Al sottosegretario Gennaro Migliore
Intervento di Paola Tavella (a nome di tutte) alla conferenza stampa dell’Onorevole Nicchi
su ”Modifica della norma sulla super sanzione per l’interruzione di gravidanza al di fuori della legge 194”

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Cosa manca?

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Ricevo questa missiva via email. No, non si parla della relazione Tarabella (QUI il testo), che andrà in Aula (Parlamento Europeo) per l’approvazione il prossimo 10 marzo (il 9 ci sarà il dibattito), bensì della Relazione annuale sulla parità tra donne e uomini (qui), che viene realizzata dalla Commissione Europea (organo esecutivo e promotore del processo legislativo). Utile per i dati e i temi trattati, infatti ve lo allego. Innocua sotto il profilo che più sta a cuore ai no-choice o pro-life. Infatti, non tratta il tema dell’aborto, che in Europa è ancora un tabù per certi schieramenti.

Ma devo fare una considerazione di altro genere. Perché in una comunicazione in occasione dell’8 marzo, non appare alcun cenno all’appuntamento (importantissimo e che sta suscitando non poche preoccupazioni qui e qui) a cui sono chiamati gli europarlamentari proprio in merito alle tematiche relative alla parità? Mi direte che faccio domande retoriche o ingenue. Ma tant’è, non c’è alcun riferimento al testo Tarabella. Forse in molti pensano che sia meglio che non se ne parli troppo. Quanto meno non alla luce del sole. Non staranno mica preparando degli emendamenti “ablativi”? C’è fiducia che il testo Tarabella passi così com’è. Dobbiamo sperare e aver fiducia che i numeri siano a nostro favore. Vedremo..

Mi chiedo come sia accettabile che l’Europa consenta che ci siano differenti posizioni e trattamenti in merito alla salute sessuale e riproduttiva delle donne? Stiamo parlando di questioni che impattano direttamente e pesantemente le vite delle donne. Per un’Europa laica, non dovrebbe essere problematico pronunciarsi su questo tema, ma evidentemente la laicità è di là da venire. Trovo assurdo che non si prenda posizione e si consenta che livelli elevati di obiezione di coscienza o leggi fortemente limitanti in materia di aborto (ricordiamo che a Malta è tuttora illegale) costringano ancora oggi le donne a scegliere la clandestinità o a procurarsi i farmaci sul web, con tutti i rischi che queste pratiche comportano per la loro salute e la loro vita. La qualità della vita di una donna passa anche attraverso questi nodi, tuttora irrisolti. Non si tratta di ingerenza europea sulla politica e sulla sovranità dei singoli stati, altrimenti molti provvedimenti non sarebbero mai passati. Un documento che contiene i seguenti auspici, se accolto, potrebbe segnare un passaggio epocale di civiltà, per un’UE che va  a velocità diverse anche sui diritti, purtroppo. Nessuno stato sarebbe vincolato a seguire questi consigli, ma quanto meno sarebbe un segnale di attenzione verso le donne. 

 44. osserva che vari studi dimostrano che i tassi di aborto sono simili nei paesi in cui la procedura è legale e in quelli in cui è vietata, dove i tassi sono persino più alti
(Organizzazione mondiale per la sanità, 2014);
45. insiste sul fatto che le donne debbano avere il controllo della loro salute e dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l’accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare gli uomini sulle loro responsabilità in materia sessuale e riproduttiva;
46. sottolinea l’importanza delle politiche attive di prevenzione, educazione e informazione dirette ad adolescenti, giovani e adulti affinché i cittadini possano godere di una buona salute sessuale e riproduttiva, evitando in tal modo malattie trasmesse sessualmente e gravidanze indesiderate;

 

Intanto cerchiamo di capire come funziona il processo di approvazione in plenaria, le forche caudine attraverso le quali dovrà passare il testo Tarabella.

Il processo legislativo del Parlamento Europeo prevede che, dopo la votazione finale da parte della Commissione (parlamentare) competente, la FEMM nel caso Tarabella, la relazione venga sottoposta all’approvazione del Parlamento riunito in seduta plenaria a Strasburgo. Il testo della Commissione FEMM è emendabile in Aula, per singoli articoli o parti di essi, e sono ammesse richieste di voto separato su alcune parti. La lista di voto sarà a disposizione dei parlamentari lunedì 9, giorno dedicato al dibattito, prima del voto previsto per la mattina del 10 verso le 11.

Solitamente, l’accordo politico che ha portato all’adozione della relazione in Commissione parlamentare, si ritrova anche in Aula, poiché si tende a portare avanti e a seguire il punto di vista del gruppo di lavoro della Commissione competente in materia.

Questa la prassi, ma si possono verificare casi eccezionali in cui il testo viene respinto dall’Aula. In tal caso, si ripartirebbe da zero.

 Stiamo all’erta!

 

Questo il testo della lettera di Patrizia Toia

Care tutte,
nell’avvicinarsi della Giornata internazionale della donna, la Commissione europea ha pubblicato la relazione annuale sulla parità tra donne e uomini che dimostra che il lavoro da fare per arrivare alla piena parità è ancora molto.
Il Rapporto 2014 sulla parità tra donne e uomini dimostra che, sebbene divari tra uomini e donne si sono ridotte negli ultimi decenni, le disuguaglianze all’interno e fra gli Stati membri sono cresciute nel complesso e le sfide rimangono ancora alcune aree critiche.

Qualche dato che salta subito all’occhio:
– Per ogni ora lavorata le donne guadagnano in media il 16,4% in meno degli uomini. Questa cifra è superiore al 20% in Repubblica Ceca, Austria, Estonia e Germania. Il percorso per colmare il divario di genere retributivo e delle pensioni procede con estrema lentezza. Quest’ultimo ha raggiunto il 39%. Le donne tendono ancora a concentrarsi in settori meno retribuiti.
– La violenza di genere è ancora allarmante. Un terzo delle donne in UE ha subito violenza fisica e sessuale.
– I divari di genere in materia di occupazione e di donne nel processo decisionale si sono ridotti negli ultimi anni, ma le donne continuano a rappresentare meno di un quarto dei membri nei CdA, pur rappresentando quasi la metà della forza lavoro impiegata (46%).
– Sono carenti le politiche di conciliazione e questa mancanza ostacola l’occupazione femminile e quindi il potenziale di crescita economica.
– Le donne hanno maggiori probabilità di avere un grado di istruzione superiore (oltre il 60% dei nuovi laureati sono donne), ma sono nettamente sottorappresentate nella ricerca e nei posti di responsabilità a tutti i livelli di istruzione superiore, tra cui l’educazione.

Vediamo alcuni di questi temi nello specifico.

Qual è la situazione attuale, in Europa, delle donne nel mondo del lavoro?
La quota di donne nel mondo del lavoro è passata dal 55% del 1997 al 63% di oggi. Anche se questo rappresenta un buon progresso, la partecipazione al mercato del lavoro delle donne nell’Unione europea è ancora notevolmente inferiore a quella degli uomini, che attualmente si attesta al 75%.
Ci sono anche notevoli differenze tra gli Stati membri: il tasso di occupazione femminile è inferiore al 60% in Grecia, Italia, Malta, Croazia, Spagna, Ungheria, Romania, Slovacchia e Polonia, mentre è superiore al 70% in Svezia, Danimarca, Germania, Finlandia, Paesi Bassi, Austria e Estonia.
Il 32% delle donne europee lavora a tempo parziale, rispetto a solo l’8% degli uomini. Gli Stati membri un’ occupazione femminile a tempo parziale superiore alla media sono i Paesi Bassi, la Germania, l’Austria, il Belgio, il Regno Unito, la Svezia, il Lussemburgo, la Danimarca e l’Irlanda.
Lo squilibrio nella condizione lavorativa delle donne e degli uomini nel lavoro si riflette anche nel divario di retribuzione di genere e, successivamente, in pensioni più basse alle donne e crea un maggiore rischio di povertà per le donne.

Cosa sta facendo l’UE sul congedo di maternità?
Ai sensi della direttiva UE sulle lavoratrici gestanti, tutte le donne dell’Unione europea hanno il diritto ad almeno 14 settimane di congedo di maternità e alla tutela contro il licenziamento per essere incinta. Nel 2008, la Commissione ha proposto di migliorare ulteriormente la situazione con un congedo di maternità più lungo. La proposta della Commissione – che aumenterebbe il diritto minimo a 18 settimane pagate – è ancora in discussione presso il Consiglio dell’Unione europea. Come Socialisti & Democratici siamo riusciti a non far togliere questa direttiva dal programma di lavoro della Commissione 2015 che ha alla fine concesso un periodo di sei mesi per chiudere il dossier. Se nessuno risultato sarà raggiunto, sarà sostituita da una nuova iniziativa.
Per quanto riguarda i lavoratori autonomi e i loro partner la nuova normativa UE in materia di lavoratori autonomi prevede che possano godere di una migliore protezione sociale – tra cui il diritto al congedo di maternità . Gli Stati membri avevano tempo fino al 5 agosto 2012 per recepire la direttiva sui lavoratori autonomi e i coniugi coadiuvanti, ma purtroppo non tutti lo hanno ancora fatto.

Cosa sta facendo l’UE sul congedo parentale?
La direttiva sul congedo parentale dell’UE stabilisce requisiti minimi in materia di congedo parentale, sulla base di un accordo quadro concluso con le parti sociali europee. Ai sensi della direttiva, i lavoratori di sesso maschile e femminile hanno diritto individuale al congedo parentale per motivi di nascita o adozione di un figlio, che consenta loro di prendersi cura del bambino per almeno quattro mesi. L’obiettivo è quello di aiutare le persone a lavorare mantenendo l’equilibrio e la vita familiare. Per incoraggiare i padri a prendere un congedo parentale, ai sensi della direttiva modificata, uno dei quattro mesi non è trasferibile, il che significa che se il padre non ne usufruisce viene perso.

Qual è la situazione delle strutture per l’infanzia in tutta l’UE?
Un fattore importante per il divario retributivo è l’onere della cura di cui le donne devono farsi carico.
Le cifre mostrano che gli uomini, nel momento in cui diventano padri, iniziano a lavorare più ore. Lo stesso non vale per le donne: quando diventano madri, spesso smettono di lavorare per periodi lunghi o lavorano part-time (una scelta spesso involontaria).
Garantire servizi per l’infanzia adatti è un passo essenziale verso le pari opportunità nel lavoro tra uomini e donne. Nel 2002, in occasione del vertice di Barcellona, ​​il Consiglio europeo ha fissato obiettivi per la fornitura di assistenza all’infanzia a: almeno il 90% dei bambini tra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico e per almeno il 33% dei bambini sotto i 3 anni di età.
Dal 2007, la percentuale di bambini curati in regime di custodia formale è leggermente aumentata (dal 26% al 28% per i bambini fino a tre anni di età, e dal 81% al 83% per i bambini dai tre anni di età fino all’età dell’obbligo scolastico ). L’obiettivo è ancora lontano.

Qual è la situazione in seno alla Commissione europea e degli Stati membri in materia di parità nel processo decisionale?
Mentre alcuni paesi sono sulla buona strada per il raggiungere della parità nei Parlamenti nazionali e nei Governi, le donne rappresentano ancora meno di un terzo dei ministri e membri dei parlamenti nella stragrande maggioranza degli Stati membri.
In sei Stati membri le donne rappresentano meno del 20% dei membri dei parlamenti: Ungheria (10%), Malta, Romania, Cipro (14%), Irlanda (16%) e Lituania (18%) .
A livello europeo, le donne rappresentano il 37% dei deputati al Parlamento europeo, percentuale in costante miglioramento (era 35% nel 2009 e 31% nel 2004).
Per quanto riguarda la Commissione, il 31% dei commissari della Commissione Juncker sono di sesso femminile, allo stesso livello della II Commissione Barroso.

Cosa ha fatto l’Unione europea per affrontare la violenza contro le donne e le ragazze?
La dichiarazione 19 allegata al trattato di Lisbona stabilisce che gli Stati membri dovrebbero adottare tutte le misure necessarie per contrastare la violenza domestica e proteggere le vittime.
Le donne e le ragazze che sono vittime di violenza hanno bisogno di sostegno e di protezione adeguati, che va rinforzato da leggi efficaci e dissuasive.
L’UE ha lavorato per raccogliere i dati europei precisi e comparabili sulla violenza di genere. Il primo studio a livello europeo sulle esperienze di varie forme di violenza, condotto dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, mostra che la violenza avviene ovunque, in ogni società, sia a casa, al lavoro, a scuola, in strada o on line.
In media, ogni minuto di ogni giorno in Europa, 7 donne sono vittime di stupro o di altre aggressioni sessuali, 25 sono vittime di violenza fisica e 74 sono vittime di molestie sessuali.
Anche la violenza on line ​​è una preoccupazione crescente: il 10% delle donne sono state vittime di molestie sessuali on-line.

La Commissione ha messo in atto queste “leggi”:
Le vittime di violenza, in particolare la violenza domestica, potranno presto contare sulla protezione a livello europeo. L’UE ha messo in atto un pacchetto di misure per garantire che i diritti delle vittime non vengano dimenticati e le vittime siano trattate con giustizia. La direttiva sui diritti delle vittime di violenza è stata adottata il 25 ottobre 2012 e rafforza considerevolmente i diritti delle vittime e dei loro familiari in termini di informazioni, sostegno e protezione, nonché i loro diritti procedurali quando partecipano a un procedimento penale. Gli Stati membri dell’UE devono attuare le disposizioni della presente direttiva nella legislazione nazionale entro il 16 novembre di quest’anno.

La maggior parte delle vittime della tratta nell’UE sono donne e ragazze (80%). L’UE ha riconosciuto la tratta di donne e ragazze come una forma di violenza contro le donne e ha adottato un quadro giuridico e politico globale per sradicarla. La direttiva anti-traffico 2011/36 / UE è centrata sulle vittime di genere e basata sul rispetto dei diritti umani, stabilisce disposizioni rigorose per le vittime, in termini di protezione e prevenzione, così come sostiene il principio di non-punibilità e assistenza incondizionata per le vittime.
Inoltre ci sono due strumenti che si applicano a partire dall’11 gennaio di quest’anno, in modo che le vittime che beneficiano di una misura di protezione in un paese dell’UE siano forniti con lo stesso livello di protezione in altri paesi dell’UE nel caso si spostino o viaggino. In questo modo, la protezione viaggerà con l’individuo.
La Commissione europea finanzia anche numerose campagne di sensibilizzazione nei paesi dell’UE e sostiene le organizzazioni come le ONG e le reti che lavorano per prevenire la violenza contro le donne.
I principali programmi di finanziamento sono DAPHNE III, PROGRESS. Il programma “diritti, uguaglianza e cittadinanza”, il Programma per la giustizia.

Cosa sta facendo l’UE a promuovere l’uguaglianza di genere in tutto il mondo?
L’Unione europea è e rimane in prima linea per la promozione dell’uguaglianza di genere non solo all’interno dell’Unione europea. Ma anche relazioni con i paesi terzi.
Essendo il più grande donatore mondiale, l’Unione europea ha un ruolo cruciale da svolgere nell’emancipazione delle donne e delle ragazze e nella promozione della parità di genere.
Gli Obiettivi del Millennio hanno svolto un ruolo importante nella crescente attenzione alla parità di genere e all’empowerment delle donne.
L’uguaglianza di genere, i diritti umani e l’empowerment delle donne e delle ragazze sono condizioni essenziali per lo sviluppo equo e sostenibile e inclusivo, così come importanti valori e obiettivi in ​​se stessi. L’UE è attualmente impegnata nelle discussione degli obiettivi post 2015 e siamo convinti che sia necessario un obiettivo a sé stante per raggiungere la parità di genere e l’empowerment delle donne e delle ragazze.
La seguente scheda spiega ciò che l’UE sta facendo il giro del mondo sulla parità di genere:

Fai clic per accedere a factsheet-gender-equality-wordwide-2015_en.pdf

 

Per ulteriori informazioni

 

Eurostat comunicato stampa sugli ultimi dati gap retributivo di genere: http://ec.europa.eu/eurostat

Factsheet – Eurobarometro sulla parità di genere: http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/eb_special_439_420_en.htm#428
2014 Relazione sulla parità tra donne e uomini: http://ec.europa.eu/justice/gender-equality/document/index_en.htm#h2-2

Commissione Europea – Differenziale retributivo di genere: http://ec.europa.eu/justice/gender-equality/gender-pay-gap/index_en.htm

 

Resto a disposizione per ulteriori approfondimenti e vi saluto caramente,

Patrizia Toia

 

APPELLO DI #APPLY194

http://apply194.tumblr.com/post/113150711525/mozione-tarabella-tweet-mailbombing-a-6

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La prostituzione è una forma di violenza

La prostitución no es un trabajo, es violencia

 

Si tratta della battaglia quotidiana di Rosen Hicher, ex prostituta, che oggi lotta proprio per questo: affinché la prostituzione venga riconosciuta come una forma di violenza. Vi propongo la mia traduzione di una intervista concessa a Zulma RamírezSol Camacho Olga L. González (membri del gruppo Aquelarre, qui il loro blog) e pubblicata su El Espectador lo scorso 3 gennaio (qui l’originale). Per riflettere un po’ anche qui in Italia…

 

Rosen Hicher

Rosen Hicher

 

Rosen Hicher è diventata un simbolo in Francia. Dopo aver trascorso più di venti anni nel mondo della prostituzione, dopo una presa di coscienza difficile e graduale, ora combatte apertamente affinché la prostituzione venga considerata una forma di violenza.

Recentemente ha fatto una marcia di 800 km. Perché?
Ho iniziato la mia marcia il 2 settembre, partendo dall’ultimo posto in cui mi sono prostituita e ho visitato tutti i luoghi e le città in cui mi prostituivo, fino ad arrivare al primo posto, al primo cliente, perché è colui che ci trasforma in una prostituta. Dal momento in cui hai avuto un cliente, diventi prostituta per tutta la vita.
Durante i 22 anni passati nella prostituzione, non capivo che venivo violentata, essendo immersa nella violenza, perché ogni cliente è una violenza, gli permettiamo che ci violi. Giunse il momento in cui mi diventò insopportabile sentir dire che come donne “in questo modo abbiamo una forma di sussistenza, per vivere e mangiare”.
La mia marcia è stata anche un modo per aprire il dibattito e affinché anche altre donne si mobilitino e raccontino la verità. Vorrei che altre prostitute ci raccontino le loro esperienze, perché ascoltiamo sempre le stesse voci, le medesime persone che ci dicono che prostituirsi è una buona cosa. Quando si è dentro, non si è coscienti di ciò che si sta vivendo.

Ha trovato sostenitori?
Ho incontrato voci che mi hanno sostenuta, altre prostitute che si univano al mio cammino. Sono certamente rimasta sorpresa di ricevere tante telefonate di donne che mi dicevano “ sì, la prostituzione è una forma di violenza, ma come possiamo fare per uscirne? La soluzione non consiste nel dare diritti alle prostitute, dobbiamo trovare il modo per farle uscire dalla prostituzione.

Se non le crea fastidio, potrebbe raccontarci come è entrata nella prostituzione?
Ho iniziato a marzo del 1988. Avevo appena perso il mio lavoro e guardando gli annunci ho trovato un’offerta di lavoro in un bar, dove mi presentai. Era come rifare qualcosa che avevo sempre vissuto, qualcosa che non mi era totalmente sconosciuto. La prima prostituta che incontrai mi disse: “Sembra che tu abbia fatto questo per tutta la vita”. Perché davo questa impressione? Fino ad allora avevo lavorato nel campo dell’elettronica, ero una moglie e una madre di famiglia! Quella frase mi è risuonata in testa ogni giorno, per 22 anni. Così ho iniziato a scavare nel mio passato e mi sono resa conto che, in effetti, avevo vissuto in quella situazione per tutta la vita: fui violentata a soli 16 anni da un amico di mio padre; vivevo con un padre alcolizzato, è come se fossi stata predisposta a diventare una prostituta fin dalla più tenera età. Quando sono entrata nel mondo della prostituzione, non mi era sconosciuta, dal momento che la violenza era qualcosa che avevo già vissuto e che consideravo come un trattamento naturale e questo è molto grave perché non c’è niente di naturale nel vendersi.

Ritiene che questo sia un percorso comune?
In 22 anni ho incontrato molte prostitute. Quando ho iniziato a contattare le associazioni mi sono resa conto che conoscevano altre donne, e quello che mi hanno raccontato mi ha ricordato ciò che mi dicevano altre compagne sulla loro vita: quasi tutte erano vittime di stupro, di abusi, di violenza domestica e familiare, di violenza e alcolismo dei padri; questo tipo di testimonianze riguarda il 98% delle prostitute.

In che momento ha capito che la prostituzione è una violenza?
Ho sempre saputo che fosse qualcosa di anormale, che prostituirsi non fosse normale. Mi era necessario capire come ero caduta nella prostituzione per poter riconoscere che si trattava davvero di una violenza e così trovare un modo per uscirne. A quei tempi vivevo con un uomo molto violento, vivevo due situazioni di violenza: la violenza domestica e la prostituzione.
In quel periodo era più facile prostituirmi che subire la violenza domestica, inflittami da un uomo (mio marito, ndr) che amavo appassionatamente e che mi aveva chiesto di scegliere (tra lui e la prostituzione, ndr), mi separai da mio marito e questo mi liberò la mente. Questi fatti accaddero nel 1998, dopo 11 anni nella prostituzione. Poi ho lentamente compreso che vivevo ancora nella violenza, ma ho dovuto capire che la violenza quotidiana era la prostituzione e che dovevo darci un taglio. Avevo già eliminato una violenza (mio marito, ndr) e ora mi restava l’altra.

E quanto ci ha messo a farlo?
Dieci anni. È stato tutto un percorso ad ostacoli, perché non solo ho dovuto comprendere come ero finita a prostituirmi, che mi aveva portato a ciò, ma ho anche dovuto affrontare il problema di come avrei potuto vivere senza prostituirmi, senza il denaro della prostituzione. Il denaro diventa una droga, è l’unica cosa che ti spinge a continuare. Mi ci sono voluti circa 6 o 7 anni per capire le ragioni della mia caduta nel mondo della prostituzione e il resto del tempo l’ho impiegato a capire come potevo uscirne. Questo è accaduto all’improvviso. Per me fu come una cura, una presa di coscienza della violenza che vivevo sul mio corpo, che avevo sperimentato nella mia vita di donna, che avevo vissuto nella mia carne… perché non è facile, e a un certo punto fu come se mi si accese una piccola luce che mi fece dire: “Mai più!” e questa fu la decisione definitiva.

Ha mai avuto la sensazione, quando era nella prostituzione, che i rapporti fossero consensuali?
Quando ero dentro, sì ero consenziente, per me era parte della mia libertà, dei diritti di una donna che può disporre come vuole del proprio corpo, erano fatti miei e di nessun altro e non capivo perché volessero proibirmi di prostituirmi.
Una volta fuori, ci rendiamo conto che abbiamo veramente bisogno di protezione. Abbiamo bisogno di essere informate e protette, dobbiamo arrivare a capire che si tratta di un abuso grave, sono violenze. Una volta fuori, accade quella che io chiamo una rivelazione.

In che senso si sentiva libera?
Era il mio corpo, e il mio corpo faceva ciò che voleva. Ma una cosa è certa: se stavo facendo quello che volevo con il mio corpo, gli uomini che venivano a comprarmi non avrebbero dovuto fare quello che volevano con il mio corpo. Ciò può essere una libertà per una donna, ma gli uomini non dovrebbero avere la libertà di acquistare il corpo di una donna.

Ritiene sia possibile uscire dalla prostituzione?
Io ce l’ho fatta, quindi è possibile. Si tratta di un processo lungo, dobbiamo responsabilizzare le donne per farcela. Questo rappresenta molto per molte donne. Esse devono essere in grado di essere consapevoli del fatto che, quando sono entrate nella prostituzione erano state vittime di violenza, in modo da curare prima queste violenze e poi le altre, per guarire dalla violenza contro le donne che deriva dalla pratica della prostituzione.

Cosa può fare lo Stato?
Lo Stato può fare molto, iniziando a proibire l’acquisto: la donna non è in vendita, un corpo non si può comprare; devono essere messe in campo una serie di risorse, di formazione, di sostegno e di aiuto. È essenziale che gli operatori siano consapevoli che la donna prostituta è vittima in ogni senso della parola “violenza”, che prima deve avere il tempo per riposarsi, che ha bisogno di un periodo, io pensoche ne ha bisogno, penso che abbia bisogno di stare da sola per un po’. E poi consentire a queste donne di vivere in un modo diverso, dotarle di mezzi per vivere, perché uscire dalla prostituzione genera molta paura.

Ha ricevuto aiuto da parte delle associazioni?
Mi sono informata in molte associazioni e dopo ho fatto un grosso lavoro personale per capire le mie ragioni e per riflettere su come avrei potuto uscirne e per sapere come avrei potuto sopravvivere dopo. E poi è successo tutto in tempi relativamente brevi, da un giorno all’altro.

Ora le leggiamo alcune frasi di una femminista colombiana, Mar Candela. Lei sostiene: “La prostituzione è un lavoro dignitoso come qualsiasi altro”.

Cosa ne pensa?
Per prima cosa non si tratta di un lavoro. Nella prostituzione non esiste alcuna dignità, nessuno ci rispetta, tutte nascondiamo la nostra attività, perché non è una cosa degna, non sarà mai un lavoro.

Candela afferma anche che: “La prostituzione è l’esercizio della nostra sessualità”.

L’esercizio della nostra sessualità? Intende dire quella degli uomini? La prostituta non ha sessualità, la prostituta subisce. Lei accetta solo perché ci sono i soldi, altrimenti non lo farebbe.

Mar Candela sostiene che non esiste un collegamento tra la tratta di esseri umani e la prostituzione.

C’è un gran numero di persone vittime di tratta. Per questo io spesso dico: se importano donne dall’estero è perché c’è domanda. E se c’è domanda è perché la prostituzione è ancora consentita. Il giorno in cui non ci sarà più domanda, cesserà la vendita e l’importazione di donne. Un cliente vuole oggi una donna bianca, domani una di colore, dopo una asiatica e per rinnovare l’offerta devono andare a cercare altre donne sempre più lontano. E queste donne sono spesso costrette a subire promesse del tipo: “Diventerai una modella, avrai un lavoro come cameriera, ecc.”, e invece diventano prostitute.

Mar Candela, inoltre sostiene che “Oggi le puttane decidono!”

Devo dire una cosa: la prostituzione oggi è identica a quella di ieri. Siamo qui per soddisfare i desideri sessuali dei nostri uomini. Quando un cliente arriva con un biglietto da 100 euro e ci chiede di essere sodomizzate, sesso orale o di picchiarci, accettiamo, ma non lo vorremmo. Non si sceglie il cliente, sono loro che scelgono noi. Non ho mai scelto i miei clienti, è sempre stato il cliente a scegliermi, è sempre lui che sceglie e che chiede. Non si può dire “no”, perché se dici “no”, non hai soldi. Se dicessimo no a qualcuno, dovremmo dire no a tutti. Perché, infatti, nel momento in cui abbiamo detto no a un cliente, è perché abbiamo iniziato a capire che ciò che chiede non è normale… e che tutte le cose che ci chiedono i clienti sono anormali! Ci sono passata anche io, ho incominciato a dire no a qualcuno, ci ho messo 2 o 3 anni, ma dopo tre anni ho incominciato a dire no a tutti. È il processo di presa di coscienza della situazione di dominio in cui si vive, ed è l’inizio della guarigione.

In Europa, il 50% delle donne che si prostituiscono sono immigrate, conosci qualcosa a proposito di queste donne?
Ho iniziato a prostituirmi nel 1988. A quei tempi l’80% delle prostitute era francese, il 20% immigrate. Quando ho lasciato la prostituzione nel 2009, il 90% delle donne erano straniere e il 10% di francesi. Molte donne arrivano in Francia dalla Nigeria. Donne che non hanno mai avuto un’identità, bambine nate senza identità.
Ci sono un sacco di giovani donne dell’Est che rimangono nel mondo della prostituzione perché gli hanno rapito i figli o perché hanno minacciato le loro famiglie, perché gli hanno tolto i documenti e li hanno sostituiti con documenti falsi, questo accade in Francia e dappertutto. Nonostante ciò si condanna la prostituta, anziché aiutarla. Nel mio paese si dice che sia una vittima, però è una vittima che viene condannata.

 

 

Deseo expresar mi solidaridad con Aquelarre en Colombia, sobre su campaña para explicar porqué el proyecto de ley 79 es nocivo para las mujeres y para la sociedad.

Simona

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Una risoluzione contro la violenza

Lo scorso 25 febbraio, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla “Lotta alla violenza contro le donne”.

Il testo contiene la richiesta di una direttiva e una serie di proposte per la definizione di nuovi strumenti legislativi connessi a sette temi principali: standard minimi di difesa delle vittime di violenza, prevenzione e controllo della violenza sulle donne, creazione di sistemi nazionali coerenti ed equivalenti fra loro, coordinamento a livello UE della lotta alla violenza sulle donne, condivisione delle buone pratiche, creazione di un forum della cittadinanza e delle associazioni, creazione di un supporto finanziario per il meccanismo di uguaglianza di genere.

Un gruppo di eurodeputate, tra cui Patrizia Toia, in occasione della presenza dei commissari nei dibattiti in Aula, ha richiesto che l’Unione Europea abbia un ruolo più attivo nel far ratificare la Convenzione di Istanbul.

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I gradienti della libertà di espressione

Fino a che punto si può spingere la libertà personale? Vi sono motivi per cui anche la libertà di espressione rischia di minare la democrazia. Di per sé la libertà di espressione è certamente un valore, ma quando questa è adoperata da gruppi di potere per indirizzare l’opinione pubblica, le cose si complicano. Questa libertà rappresenta un’esigenza di “tolleranza integrale” (e la contempo di relativismo dei valori) e rischia perciò di lesionare le basi stesse su cui si fonda una società (i valori condivisi). Ma come individuare i limiti della libertà di espressione? Un primo livello riguarda il “luogo” dell’espressione: volontà o meno del ricevente, platea di ascolto, scientificità della pubblicazione ecc. Un secondo livello riguarda i rapporti di potere. Tzvetan Todorov propone una possibile quantificazione per valutare e stabilire i limiti della libertà di espressione, che consiste nel rapporto tra il potere di colui che si esprime e quello dell’oggetto della sua espressione. Come esempio: caso a) una figura in posizione di debolezza attacca un uomo che occupa una posizione socio-economica rilevante; caso b) lo stesso uomo di potere attacca a reti unificate un uomo in posizione di debolezza. Il secondo caso sarà più facilmente stigmatizzabile e in qualche modo avrà oltrepassato i limiti che si richiedono a una persona che occupa un ruolo di riferimento. Inoltre, questa libertà deve essere effettiva (i politici e chi detiene il potere mediatico hanno molta più voce dei cittadini comuni: il blog di Grillo e uno di Pinco Pallo non partono dallo stesso gradino di visibilità, successo e disponibilità finanziarie). Per esempio, poniamo il caso della volpe nel pollaio: non possiamo affermare che la volpe sia libera di entrare nel pollaio perché le galline sono libere e in grado di difendersi. Su internet è chiaro che avendo una platea sterminata, le parole che si dicono hanno anche più potere e possono essere anche più violente perché i social hanno privilegiato l’anonimato, il diritto alla privacy, piuttosto che il diritto a non essere oltraggiati e vilipesi. La libertà di espressione si è rivelata un’arma a doppio taglio, per coloro che usano internet e che sono in una posizione sociale “debole”. Anche in questo ambiente artificiale, stando alle notizie ricorrenti, esiste una particolare predilezione per una “facile” violenza sulle donne, che spesso viene classificata dalle autorità di polizia come una eccessiva sensibilità femminile nei confronti di minacce e aggressioni verbali sui social. In merito vi suggerisco questo articolo di Amanda Hess su Pacific Standard (1) e il libro di Laurie Penny “Cybersexism: Sex, Gender and Power on the Internet”. Anche il confine tra cosa costituisce una molestia online e cosa no diventa labile, plasmabile a seconda di quanta apertura e interazione ci viene richiesta dai web tools che adoperiamo. Se poi, per ragioni professionali, ci troviamo a dover essere online e a non poter staccare lo spinotto, la situazione potrebbe diventare insostenibile e discriminatoria. Forse non è ancora avvenuta la traslazione di alcuni reati (come le molestie) ai social network, ma sarebbe opportuno interrogarci su come sono cambiati i rapporti di forza tra le persone e come questi rapporti possano avere gradienti diversi a seconda delle piattaforme (reali e virtuali) in cui avvengono le relazioni e le comunicazioni umane. Rendere il web del tutto identico alla realtà è un processo irreversibile, in cui tutto può avvenire, poiché può accogliere ed espandere a dismisura sia gli aspetti positivi e i valori, sia i disvalori e i pregiudizi del passato. Il web non può che essere lo specchio di ciò che siamo. Pensare che il nuovo luogo virtuale possa far mutare la mentalità in un paio di lustri e aprire a nuovi orizzonti più “pacifici” nei rapporti umani è un sogno che manca di realismo. Se mai avverrà, sarà un processo lento e lungo, ma che non potrà passare per una blindatura o l’affermazione di uno stato di polizia della nuova dimensione virtuale, pena la sua sopravvenuta morte per asfissia dello stesso contenitore.

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Le responsabilità del maschio

2001-a-space-odyssey

 

Mi rendo conto che le tesi illustrate da Torreblanca nel suo articolo potrebbero suscitare delle forti e opposte reazioni, ma vorrei sottoporlo alla vostra attenzione. Il pezzo è ricco di fonti e dati, può diventare, a mio avviso, un buon punto di partenza per aprire un dibattito sui vari punti rilevati dall’autore. La tesi di partenza è che i genocidi più grandi della storia non sono stati compiuti con missili o con armi nucleari, ma con armi rudimentali come i machete, fabbricati in Cina e adoperati per il genocidio dei Tutsi in Rwanda. Questo per ridimensionare il processo, se pur meritevole, di negoziazione con l’Iran in merito al suo programma nucleare. Torreblanca abilmente utilizza questo incipit per traghettarci su una tematica ben più ampia: gli esseri umani, dalla notte dei tempi, hanno avuto una incredibile capacità di uccidere, anche massivamente. Il passo successivo dell’autore è spingerci ad analizzare il “genere” maggiormente responsabile di tali crimini. Secondo i dati riportati, si evince che si tratta del genere maschile: los varones come gli autori della stragrande maggioranza di queste morti. Certamente ci sono state storicamente delle compartecipazioni femminili nei conflitti bellici, ma si tratta di una gota en un océano. Allo stesso modo si possono osservare le quote maschili predominanti per quanto concerne omicidi e crimini di vario tipo. Torreblanca effettua un ulteriore salto per analizzare il capitolo della violenza sessuale contro le donne, frutto di una cultura patriarcale e dominata dagli uomini. Come se ci fosse “Una guerra invisibile di uomini contro donne”.  Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU (risoluzione 1.350 del 31/10/2000), aveva dichiaratamente evidenziato la necessità di una protezione speciale per le donne e le bambine in zone di guerra e del loro ruolo nella risoluzione dei conflitti e nella costruzione della pace. Il dibattito su questi temi e sui femminicidi (parola che io non amo particolarmente) spesso è a corrente alternata. Torreblanca ci lascia con una domanda: ¿Son los varones armas de destrucción masiva?

È come se un’educazione secolare alla violenza, all’aggressività, al dominio unita a un inconscio premio per una serie di stereotipi  maschili “sbagliati”, dovessero in qualche modo sfociare: in una guerra, contro il vicino di casa, contro lo straniero, verso i figli e le donne.

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Tra questione maschile e femminile

Il prossimo 25 novembre sarà la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Nel 2013 siamo al punto di partenza. Perciò, credo che sia il caso di porci delle domande. Dopo decenni di battaglie e di rivendicazioni, spesso arroccate su posizioni solitarie, spocchiose e autoreferenziali dovremmo ammettere che ci sono stati degli errori di base e non solo dal punto di vista maschile. Porci sempre in contrapposizione e parlando solo tra di noi, come se l’universo maschile fosse un qualcosa di estraneo, irrilevante, che non ci riguardasse interagire con gli uomini, ponendo le basi per un dibattito serio sulle problematiche femminili. Al massimo siamo giunte a scaricare la patata bollente agli uomini, sostenendo che è diventato un loro problema (il che è vero solo a metà). Siamo andate avanti come un treno, sulla nostra strada, spesso lamentandoci, salvo poi non praticare mai, all’occorrenza, un briciolo di solidarietà femminile. In pratica, a parole siamo “amiche solidali”, poi nella realtà quotidiana, ci sbraniamo, ci voltiamo le spalle e facciamo delle stupide battaglie per “dimostrare” che no, non siamo tutte uguali, ma che ci sono donne più “degne ed elevate” di altre. Siamo talmente abituate a parlarci addosso, che abbiamo perso l’attitudine a riflettere e ad ascoltare non solo le donne come noi, ma anche gli uomini. La spocchia e la supponenza è una sorta di peccato originale di qualsiasi tentativo di essere credibili. Siamo unite solo teoricamente, mentre siamo in perenne lotta per affermare le nostre “singolarità”, non importa se pestandoci i piedi a vicenda. Il tutto sempre tra donne. Se a ciò aggiungiamo che gli uomini sono figli di donne, dovremmo prenderci una manciata di corresponsabilità, se siamo così indietro. Siamo ferme perché per noi non ci siamo mai messe veramente a disposizione. Siamo ferme se non riusciamo ad essere consce dei nostri limiti e non combattiamo per una “uguaglianza” che non può essere realizzabile, pena la perdita delle nostre peculiarità. Se Dio ha creato uomo e donna ha voluto dare vita a due tipi differenti, ognuno diverso e complementare all’altro. Siamo ferme quando decidiamo di tenere i generi separati. Il problema è bipolare. Occorre avere la vista di un’aquila bicipite.

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