Affronto un argomento divisivo per il movimento delle donne. Mi piace l’approccio che ne fa Chiara Volpato, perché vorrei seguire un percorso “scientifico” e non emotivo e soggettivo. Di solito se ne fa una trattazione “partigiana”, senza alcun fondamento a sostegno di una o dell’altra posizione. Si parla per il puro gusto di parlare. Ma certe tematiche non possono essere trattate con leggerezza.
La progressiva sessualizzazione delle immagini di donne, ma anche di uomini, adolescenti e bambini, ha contribuito a generare in Occidente, quella che è stata definita una pornificazione del quotidiano (American Psychological Association, 2010)
Alcune femministe come Catharine MacKinnon e Andrea Dworkin hanno individuato come nella pornografia una “rappresentazione ossessiva di donne disponibili, oggettivate, vulnerabili” concorra al “mantenimento della subordinazione femminile”. Le sex positive feminists (come Erica Jong) ritengono che la libertà sessuale sia un elemento cruciale della libertà femminile. Per cui, partendo dall’assunto che il sesso tra consenzienti è sempre qualcosa di positivo, hanno rifiutato qualsiasi controllo, compreso in merito alla pornografia. Capite che non è tutto libero quello che appare tale. È un po’ quel che accade sul tema della prostituzione, in merito alle sex workers che sostengono di farlo per libera scelta (vi consiglio questi due bei post in merito: qui e qui). Si può essere liber* “di“, ma non è sempre detto che lo si sia “da“, che si può palesare con un bisogno economico, una subordinazione culturale, fisica, materiale, un disagio sociale ecc. Si chiamano fattori discriminanti e non ci rendono liber* effettivamente e pienamente.
La rappresentazione della donna nel porno è nella maggior parte dei casi basata su una figura di donna deumanizzata, asservita, oggettivata, mercificata, subordinata e strumentale all’uomo.
Numerose indagini scientifiche (qui e qui) hanno rilevato come il consumo pornografico produca degli effetti negativi nelle relazioni uomo-donna, porti ad avere delle aspettative distorte dal rapporto con le donne reali, ad avere relazioni sessuali senza alcun coinvolgimento emotivo, a considerare le donne come oggetti e ad alimentare i pregiudizi di genere.
Le ricerche in ambito psicosociale hanno evidenziato come il consumo di pornografia violenta porti gli uomini ad agire in modo violento con le donne reali. Tra l’altro si è notata una trasformazione nell’industria dell’hard. Se prima degli anni ’90 tutto si fondava sul mito dello stupro (che diventava il desiderio segreto di ogni donna, per cui la sua rappresentazione aveva una funzione maieutica), in anni più recenti si è sviluppato uno stile desessualizzato, in cui la donna è ridotta a mero oggetto passivo, in un contesto di violenza che ha come unico scopo la riaffermazione del potere maschile, in una sorta di backlash (Pietro Adamo, 2004, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo; Susan Faludi qui e Marilyn French qui), tentativo estremo di riscossa e restaurazione post-femminista. Per cui il sesso diventa uno strumento punitivo al servizio del potere maschile (Adamo, 2004).
Ci sono numerosi studi empirici che hanno dimostrato un legame tra consumo di pornografia e violenza.
In Italia Lucia Beltramini, Daniela Paci e Patrizia Romito hanno condotto una ricerca per analizzare i rapporti tra i sessi, le esperienze di violenza e la sua percezione in un campione di ragazzi e ragazze, studenti dell’ultimo anno di diverse scuole del Friuli Venezia Giulia (pag. 42, qui lo studio).
I risultati mostrano che le percentuali di adolescenti che consumano materiale pornografico sono elevate, con il rischio che in futuro la violenza sessuale aumenti e che ci sia una domanda di prostituzione in ascesa.
Per le ragazze è emersa una relazione tra violenza psicologica, subita in famiglia, o la violenza sessuale subita in famiglia o fuori, e l’uso della pornografia violenta (diventa una specie di anestetico per “normalizzare” e controllare un trauma). Per i ragazzi è tutto molto diverso: la pornografia è una consuetudine socialmente accettata, un modo per costruire la mascolinità del maschio dominante.
Ci sarà davvero un ethical porn (vi suggerisco questa bella indagine di Zoe Williams sul Guardian), oppure è solo un tentativo di “normalizzazione”, una trovata di marketing per vendere un prodotto? Pandora Blake sostiene che il “Feminist porn is explicitly focused on women’s desires and sexuality”, però leggo anche che: “Makers of ethical porn believe you can have a violent fantasy, of any kind, and that can be a legitimate part of your sexual identity, one that you have a right to explore”. Quindi, forse siamo al punto di partenza e non ci abbiamo guadagnato nulla.
Per concludere vi suggerisco, sul blog de il Ricciocorno:
una traduzione di un pezzo di Jonah Mix, e quest’altro un post molto ben documentato.
Non vogliamo censurare nulla, solo cercare di ragionare seriamente, dati alla mano, studi e indagini scientifiche alla mano. Non possiamo costruire discorsi sul nulla. Innanzitutto dobbiamo spiegare cosa intendiamo con pornografia, senza confondere e mischiare cose che non hanno nessuna attinenza. Nessun* vuole le barricate, il confronto dovrebbe essere il primo passo, soprattutto mi aspetto che non si ricorra a etichettarci come bacchettone a priori o solo per sostenere una tesi. Vogliamo diffondere informazioni corrette sul fenomeno e forse sarebbe ora di fare educazione sessuale e all’affettività nelle scuole, in modo corretto e senza pregiudizi medievali e reazioni intolleranti come questa. Noi genitori abbiamo un ruolo importante, ma non è sufficiente.