Da pochi giorni è stata presentata la relazione ministeriale annuale di attuazione della legge 194/78. In diminuzione il ricorso all’ interruzione volontaria di gravidanza. Nel 2014 infatti, per la prima volta in Italia, gli aborti sono scesi sotto la soglia dei 100mila (97.535) con una riduzione del 60% rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si era riscontrato il valore più alto. Per un approfondimento QUI.
Fin qui il dato nazionale. In Lombardia, le Ivg sono state 15.912, il 5,2% in meno dell’anno precedente, ma con un decremento minore di quello di altre 15 regioni: Valle d’Aosta -17,5%; Umbria -11,2%; Marche -10,2%; Emilia Romagna -7,5%; Veneto –7,3%; Piemonte -7,1% (vedi grafico 1).
Ricordiamo che in Lombardia è previsto il piano Nasko e Cresko (conoscete la mia opinione in merito: perché interferire con i fondi Nasko e Cresko su una decisione così complessa come quella di decidere di diventare madre? È normale “monetizzare” una maternità?, cosa accade quando i fondi finiscono?), per disincentivare le Ivg, ma c’è un bel paletto: per accedervi si deve risiedere in regione da almeno due anni.
Nel 2013 il 41,4%, (per un totale di 6.913) delle Ivg sono state effettuate da donne straniere, le italiane sono state 9.765. Al contrario di quanto avvenuto in altre regioni, la Lombardia non ha aderito al progetto promosso e finanziato dal ministero della Salute sulla prevenzione dell’aborto tra le donne straniere tramite la diffusione di buone pratiche (formazione degli operatori, potenziamento dell’organizzazione dei servizi per favorire l’accessibilità, promozione di una capillare informazione nelle comunità immigrate).
Come siamo messi sul versante obiezione di coscienza? La percentuale dei ginecologi obiettori è del 69,4 %. In 7 ospedali lo è la totalità (Calcinate, Iseo, Gavardo, Oglio Po, Melzo, Broni-Stradella e Gallarate). In 12 ospedali la percentuale di obiezione è tra l’80% e il 99% (per esempio Fatebenefratelli e Niguarda di Milano) e solo in 8 strutture è inferiore al 50% (vedi i dati presidio per presidio).
C’è un notevole ricorso a medici gettonisti, esterni chiamati a sopperire alla mancanza interna di non obiettori. Il costo nel 2014 è stato di 255.556 euro. Non si tratta di un danno considerevole? Ma con questa mancanza anche i tempi di attesa si allungano: la Lombardia è sedicesima per i tempi di attesa tra la certificazione e la data dell’intervento. Questo anche perché solo il 65% delle strutture che hanno un reparto di ginecologia e ostetricia effettua Ivg. Una sorta di percorso ad ostacoli quindi. Torniamo a chiedere che la 194 venga attuata, lo abbiamo fatto ancora una volta pubblicamente nel corso del presidio del 10 ottobre a Milano (e altri ne faremo), anche se a pochi sembra interessare e se il problema a livello cittadino sembra sia stato solo il lancio di ortaggi. Continueremo a scendere in piazza contro questi soprusi, contro i problemi che si incancreniscono, contro l’indifferenza.
PRETENDIAMO che questa VIOLENZA sulle donne abbia fine, perché se la 194 non viene applicata o abbiamo dei servizi non garantiti, siamo noi donne a subirne le conseguenze sulla propria pelle. E tornano le ombre della clandestinità, dei farmaci abortivi venduti su internet: non più ferri da calza, mammane, ma pillole antiulcera che vengono assunte in dosi massicce. Sapete cosa comporta tutto questo? Emorragie interne e rischio per la vita.
Sara Valmaggi, vicepresidente del Consiglio regionale, chiede la mobilità del personale nelle strutture pubbliche e l’obbligo per quelle private accreditate di garantire la possibilità di effettuare l’Ivg, cosa che oggi non avviene.
Dall’indagine sull’obiezione di coscienza condotta dal gruppo regionale del Pd, emergono anche i dati sull’utilizzo del metodo farmacologico (RU486), autorizzato dall’Aifa nel 2009. La Lombardia è al quindicesimo posto rispetto alle altre regioni. La percentuale di Ivg farmacologiche nel 2014 è ferma al 4,5% – era al 3,3 nel 2013 – a fronte del 30,5% della Liguria, del 27% della Valle d’Aosta, del 23,3% del Piemonte, del 21,8% dell’Emilia Romagna e dell’11,7% della Toscana. (vedi grafico 2)
Non viene pertanto seguito l’art. 15 della 194 che prevede che “Le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna (…)”
La spiegazione in parte è data dal fatto che 30 strutture delle 62 che effettuano interruzioni di gravidanza non utilizzano la RU486. Nel comunicato stampa leggiamo “In molti casi non viene neanche proposto come metodo alternativo a quello chirurgico; inoltre passa troppo tempo tra la certificazione e l’effettiva esecuzione dell’ivg e questo fa scadere i termini temporali (49 giorni) entro i quali è possibile utilizzare il metodo farmacologico. A questo si aggiunge che, per la RU486, viene applicata in maniera ferrea l’indicazione nazionale dei tre giorni di ricovero, a differenza dell’Ivg chirurgica che è eseguita in day hospital”.
In altre regioni la somministrazione della RU486 è stata semplificata: in Emilia Romagna viene usata in day hospital e in Toscana, dal 2014, è possibile somministrarla anche nei consultori.
Ecco, i consultori, altro punto dolente del sistema sanitario lombardo.
Insomma, emerge una fotografia non certo all’insegna dell’efficienza, della tutela della salute psico-fisica della donne, della garanzia dei diritti delle donne in termini di salute sessuale e riproduttiva.