Nuvolette di pensieri

Mormora l'acqua del ruscello

I risultati di un’applicazione ideologica della 194

grafici_IVG_Dati_2014-cfr-2013-2

 

Da pochi giorni è stata presentata la relazione ministeriale annuale di attuazione della legge 194/78. In diminuzione il ricorso all’ interruzione volontaria di gravidanza. Nel 2014 infatti, per la prima volta in Italia, gli aborti sono scesi sotto la soglia dei 100mila (97.535) con una riduzione del 60% rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si era riscontrato il valore più alto. Per un approfondimento QUI.

Fin qui il dato nazionale. In Lombardia, le Ivg sono state 15.912, il 5,2% in meno dell’anno precedente, ma con un decremento minore di quello di altre 15 regioni: Valle d’Aosta -17,5%; Umbria -11,2%; Marche -10,2%; Emilia Romagna -7,5%; Veneto –7,3%; Piemonte -7,1% (vedi grafico 1).

Ricordiamo che in Lombardia è previsto il piano Nasko e Cresko (conoscete la mia opinione in merito: perché interferire con i fondi Nasko e Cresko su una decisione così complessa come quella di decidere di diventare madre? È normale “monetizzare” una maternità?, cosa accade quando i fondi finiscono?), per disincentivare le Ivg, ma c’è un bel paletto: per accedervi si deve risiedere in regione da almeno due anni.

Nel 2013 il 41,4%, (per un totale di 6.913) delle Ivg sono state effettuate da donne straniere, le italiane sono state 9.765. Al contrario di quanto avvenuto in altre regioni, la Lombardia non ha aderito al progetto promosso e finanziato dal ministero della Salute sulla prevenzione dell’aborto tra le donne straniere tramite la diffusione di buone pratiche (formazione degli operatori, potenziamento dell’organizzazione dei servizi per favorire l’accessibilità, promozione di una capillare informazione nelle comunità immigrate).

Come siamo messi sul versante obiezione di coscienza? La percentuale dei ginecologi obiettori è del 69,4 %. In 7 ospedali lo è la totalità (Calcinate, Iseo, Gavardo, Oglio Po, Melzo, Broni-Stradella e Gallarate). In 12 ospedali la percentuale di obiezione è tra l’80% e il 99% (per esempio Fatebenefratelli e Niguarda di Milano) e solo in 8 strutture è inferiore al 50% (vedi i dati presidio per presidio).

C’è un notevole ricorso a medici gettonisti, esterni chiamati a sopperire alla mancanza interna di non obiettori. Il costo nel 2014 è stato di 255.556 euro. Non si tratta di un danno considerevole? Ma con questa mancanza anche i tempi di attesa si allungano: la Lombardia è sedicesima per i tempi di attesa tra la certificazione e la data dell’intervento. Questo anche perché solo il 65% delle strutture che hanno un reparto di ginecologia e ostetricia effettua Ivg. Una sorta di percorso ad ostacoli quindi. Torniamo a chiedere che la 194 venga attuata, lo abbiamo fatto ancora una volta pubblicamente nel corso del presidio del 10 ottobre a Milano (e altri ne faremo), anche se a pochi sembra interessare e se il problema a livello cittadino sembra sia stato solo il lancio di ortaggi. Continueremo a scendere in piazza contro questi soprusi, contro i problemi che si incancreniscono, contro l’indifferenza.

PRETENDIAMO che questa VIOLENZA sulle donne abbia fine, perché se la 194 non viene applicata o abbiamo dei servizi non garantiti, siamo noi donne a subirne le conseguenze sulla propria pelle. E tornano le ombre della clandestinità, dei farmaci abortivi venduti su internet: non più ferri da calza, mammane, ma pillole antiulcera che vengono assunte in dosi massicce. Sapete cosa comporta tutto questo? Emorragie interne e rischio per la vita.

Sara Valmaggi, vicepresidente del Consiglio regionale, chiede la mobilità del personale nelle strutture pubbliche e l’obbligo per quelle private accreditate di garantire la possibilità di effettuare l’Ivg, cosa che oggi non avviene.

Dall’indagine sull’obiezione di coscienza condotta dal gruppo regionale del Pd, emergono anche i dati sull’utilizzo del metodo farmacologico (RU486), autorizzato dall’Aifa nel 2009. La Lombardia è al quindicesimo posto rispetto alle altre regioni. La percentuale di Ivg farmacologiche nel 2014 è ferma al 4,5% – era al 3,3 nel 2013 – a fronte del 30,5% della Liguria, del 27% della Valle d’Aosta, del 23,3% del Piemonte, del 21,8% dell’Emilia Romagna e dell’11,7% della Toscana. (vedi grafico 2)

Non viene pertanto seguito l’art. 15 della 194 che prevede che “Le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna (…)”

La spiegazione in parte è data dal fatto che 30 strutture delle 62 che effettuano interruzioni di gravidanza non utilizzano la RU486. Nel comunicato stampa leggiamo “In molti casi non viene neanche proposto come metodo alternativo a quello chirurgico; inoltre passa troppo tempo tra la certificazione e l’effettiva esecuzione dell’ivg e questo fa scadere i termini temporali (49 giorni) entro i quali è possibile utilizzare il metodo farmacologico. A questo si aggiunge che, per la RU486, viene applicata in maniera ferrea l’indicazione nazionale dei tre giorni di ricovero, a differenza dell’Ivg chirurgica che è eseguita in day hospital”.

In altre regioni la somministrazione della RU486 è stata semplificata: in Emilia Romagna viene usata in day hospital e in Toscana, dal 2014, è possibile somministrarla anche nei consultori.

Ecco, i consultori, altro punto dolente del sistema sanitario lombardo.

Insomma, emerge una fotografia non certo all’insegna dell’efficienza, della tutela della salute psico-fisica della donne, della garanzia dei diritti delle donne in termini di salute sessuale e riproduttiva.

Ricordiamo cosa suggeriva a marzo la risoluzione Tarabella e cerchiamo di rimuovere veramente questi ostacoli.
Fonte: Dati e informazioni estratti dall’indagine sull’obiezione di coscienza condotta dal gruppo regionale del Pd Lombardia- 2015
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Difendiamo il diritto all’aborto e alla libertà di scelta

urlo

 

Sabato 10 tornano a Milano i No-Choice con un corteo organizzato dal solito Comitato NO-194 , dalle ore 15 alle ore 18, con partenza da piazza Cadorna. Tornano con il loro bagaglio di molestie e l’idea di abrogare la 194 . I no-choice in ogni loro manifestazione sono lì presenti a ricordarci che i nostri diritti sono fragili e che non è possibile liquidare certe marce e presidi come qualcosa di anacronistico, senza ripercussioni su nessuno. Ogni qualvolta uno di questi gruppi, più o meno numeroso, si intromette nella vita di una donna, noi dovremmo sentirci tutte toccate in prima persona, perché dobbiamo dire basta a queste periodiche violenze dei no-choice. Le loro marce, le loro veglie, i loro manifesti e i loro gadget, le loro battaglie oggi anche sui social, sono tutti palesi tentativi di sostituirsi alle donne, ridotte a mero ruolo di incubatrice, i cui diritti sono ridotti a briciole, come irrilevanti inezie rispetto al destino superiore del feto. Madri a ogni costo, anche contro la propria volontà, perché in quanto donne noi non dovremmo poter decidere su noi stesse e su quanto avviene dentro di noi. Si comprende quanto si intenda svuotare le donne di una piena capacità decisionale e di potestà su se stesse. I diritti riproduttivi hanno una valenza molto ampia, investono la donna in quanto essere umano, eguale e pienamente titolare di diritti inviolabili. Inviolabile e inalienabile come il diritto a interrompere la gravidanza se non si desidera portarla a termine.
Contromanifestiamo per ribadire il diritto a un aborto legale, gratuito e sicuro!

CI RITROVIAMO tutte a Milano, sabato 10 ottobre, piazza Cadorna, davanti alle Ferrovie Nord, ore 14.

Qui l’evento su Facebook:
https://www.facebook.com/events/1650153871924041/

Vi aspettiamo numerose!

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Per gentile concessione

laicità2

Devo ammettere una cosa, inizialmente non volevo scrivere niente su questa notizia, poi ho deciso di farlo perché mi ribollivano troppe cose dentro e di getto ho scritto un post su Facebook, che qui si è allargato.

Leggo su La Repubblica:

“In occasione del prossimo Giubileo della Misericordia, papa Francesco ha deciso, nonostante qualsiasi cosa in contrario, di concedere a tutti i sacerdoti per l’Anno Giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono”, scrive in una lettera a monsignor Rino Fisichella, presidente del pontificio
Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, che è incaricato di promuovere le iniziative per il Giubileo”.

L’apertura in realtà sancisce la dimensione della colpa della donna, e solo la donna, che si è resa colpevole di aver abortito, decidendo autonomamente di non diventare madre. Sembra che il libero arbitrio per le donne sia un po’ più ristretto. Il Perdono chiesto e concesso alla donna che pentitasi si assoggetta a una prassi che sancisce ancora una volta il potere maschile sulle donne. Un condono della pena da infliggere alla colpevole, con l’uomo che si erge magnanimo a sollevare la debole, semi-umana donna, portatrice di un peccato che solo la bontà e la misericordia possono lavare. Qui non si tratta più soltanto di qualcosa di divino, ma di un “lavaggio” molto terreno, con la Chiesa, corpo maschile e patriarcale, che si auto-assegna il compito di riaccogliere nella comunità una parte di essa, prima scomunicata (secondo il diritto canonico «Chi procura un aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae», in pratica automatica). Quindi una faccenda tra un potere patriarcale, ancora una volta ribadito, e le donne che restano le sole “da perdonare”, quasi come se il concepimento avvenisse per mitosi o clonazione. Un rimarcare questa dimensione della donna, unica responsabile della procreazione, per sancire ancora una volta l’errore da emendare e da evitare. Un uomo che decide quando e se la donna ritorna “degna” e non scacciata dalla comunità dei credenti. Una purificazione decisa a tavolino, per riaffermare ancora la necessità di un potere maschile, un discorso maschile che ribadisce il suo controllo sui corpi delle donne. Cuori pentiti che riconsegnano se stesse al padrone terreno, anche se si richiama il divino. Si richiama il divino solo quando conviene all’uomo, un perdono divino che viene distillato goccia a goccia dall’uomo, come, quando e se egli decide di concederlo, sancendo contemporaneamente la colpa e la subordinazione della donna. Perché gli assetti ritornino ad essere quelli classici. Poenitentiam agite, appropinquabit enim regnum caelorum! Mi sa tanto che vale solo per il genere femminile..

La donna ha l’anima, anzi secondo papa Francesco, l’anima spirituale sarebbe proprio femminile. Ma questo non impedisce di mantenere la gerarchia ecclesiastica al maschile, perché non dimentichiamoci il ruolo primario della donna: moglie e madre. Il rifiuto di questa dimensione già pone “fuori”. Le interpretazioni, le pratiche del “ti assolvo, ma..”, “per oggi io uomo distillo un po’ di perdono per te donna, in modo tale da farti ritornare nel tuo ruolo predestinato” a mio avviso rientrano nell’ambiguità di una non-apertura, perché tanto si è subordinate alla magnanimità maschile. Nell’assetto cattolico le donne sono e restano funzionali e strumenti in mano agli uomini, fedeli aiutanti che con il loro carico di virtù femminili devono rendere la vita dell’uomo migliore. La donna da sola, capace di decisioni autonome, libera e indipendente crea un’anomalia nel disegno della società cattolica.

Resta da comprendere un altro aspetto di tutta questa faccenda della scomunica, come mi ha suggerito una compagna di lotte femministe e sulla 194. In questo territorio di scomunicati rientrano tutti coloro che fisicamente o moralmente si siano resi responsabili di un aborto. Penso quindi che in senso lato, oltre naturalmente a tutto il personale non obiettore in ospedale, si potrebbe giungere anche a includere azioni volte a informare le donne sulla contraccezione, sull’aborto o volte a difendere la 194. Quindi immaginate a che platea si rivolge il pontefice. Sì, il numero si allarga. Però l’assoluzione in caso di appoggio morale all’aborto, è una questione più complessa, perché la via del perdono deve passare per il pentimento, che a sua volta dovrebbe riguardare una propria autonoma idea, il riconoscere alla donna il diritto di interrompere la gravidanza, lottando per questa causa. Ma il pentimento e il perdono implicano anche un impegno a non reiterare quello che per la Chiesa rappresenta un errore. Quindi almeno che non ci troviamo di fronte a una persona che ha improvvisamente cambiato idea sul riconoscere un diritto alle donne, mi sa che il perdono (chiederlo e riceverlo) non ha molto senso.

Fin qui le considerazioni teoriche e su quale valenza a mio avviso hanno le parole del pontefice.

Fa bene Nadia Somma (qui) a scrivere che il Papa fa il suo mestiere e che tocca allo stato italiano disciplinare la materia dell’interruzione volontaria di gravidanza e renderla facilmente accessibile. Lui è un capo religioso e si occupa di anime e questioni extra-terrene, anche se poi come ho detto, c’è poco di divino, e molto di potere temporale. Il problema è l’effetto di questo rigurgito di potere temporale nel nostro Paese.

In Italia abbiamo una laicità apparente, immatura, a singhiozzo, a seconda della convenienza. Nessuno si sognerebbe di dire ad alta voce che il nostro stato non sia laico, ma nella realtà questa dimensione è debole, soggetta a una infinità di eccezioni. La Chiesa gestisce tuttora un bacino elettorale non indifferente. Per cui nessun partito trascura questo dato. Gli italiani hanno un rapporto con la Chiesa particolare, non paragonabile a quello che accade per esempio in Francia. Ciascuno utilizza l’apparato Chiesa per i propri interessi personali (conoscenze, lavoro, relazioni) e come leva elettorale. Per cui è difficile che vengano fuori posizioni che vadano in netto contrasto con quanto prescritto dall’istituzione Chiesa cattolica. Si spostano voti in modo molto più semplice e “sicuro”. Se i cittadini scegliessero da soli cosa votare e chi votare il problema non ci sarebbe. Invece siamo ancora a Don Camillo.

La vicenda Estrela ci aveva dato un assaggio di questo “assetto”. A marzo però qualcosa a livello europeo è cambiato, evidentemente dopo il compromesso al ribasso sulla relazione Tarabella, con la risoluzione Panzeri sono stati riconosciuti “i diritti inalienabili delle donne e delle ragazze all’integrità fisica e all’autonomia decisionale per quanto concerne, tra l’altro, il diritto di accedere alla pianificazione familiare volontaria e all’aborto sicuro e legale”. E in Italia? La situazione l’ha già riassunta Nadia Somma. Eleonora Cirant sta portando avanti il prezioso progetto Un’inchiesta sull’aborto con il quale sta raccogliendo testimonianze e interviste per comprendere sul campo come e se viene applicata la 194, in consultori, ospedali e segnalando anche disservizi e chiusure che mettono a rischio il servizio e i diritti delle donne. Siamo ancora qui a scrivere di come le percentuali di obiettori di coscienza stiano di fatto rendendo difficile la vita delle donne, costrette a vagare alla ricerca di una struttura che assicuri le IVG. Interi ospedali (dal Bassini al Niguarda di Milano) devono chiamare dottori a gettone da fuori per garantire il servizio, i farmacisti obiettori che trovano mille scuse per non dare i farmaci, per non parlare delle violenze psicologiche a cui sono sottoposte le donne. I problemi sono molteplici, a partire dall’insegnamento dell’IVG nelle scuole di specializzazione, e di come diventare obiettore sia premiante per la carriera. Ci vogliono medici che siano formati, aggiornati, che sappiano fare bene le IVG, anche in caso di aborti terapeutici. L’assistenza pre e post intervento deve essere garantita e il servizio fornito deve essere efficiente anche dal punto di vista “umano”. Questo vale per tutto il personale di assistenza. Io penso che costringere le donne a migrare da un ospedale all’altro (alcune vanno anche all’estero ormai) sia inaccettabile, vedersi porre mille ostacoli davanti è una lesione dei diritti umani fondamentali. Sappiamo benissimo che quando saranno andati in pensione i medici della generazione che ha sostenuto il varo della 194, la situazione sarà già a un punto di non ritorno. Ci siamo già dentro, anche se il Ministero competente fa finta di niente e sostiene che è tutto a posto. Lo abbiamo scritto e ripetuto un numero infinito di volte. Ma chi ci ascolta? 

Sembra una questione secondaria, però chissà perché quando ne parla il pontefice ci sono i titoloni e quando noi donne chiediamo la giusta attenzione per affrontare ciò che non va, ci ritroviamo a parlarne solo tra militanti femministe, con pochi trafiletti sui quotidiani mainstream, su blog minuscoli e sulle nostre riviste storiche? Perché quando parli di 194 o di diritti delle donne in generale, ti senti sempre più spesso dire che bisogna superare le questioni di genere e occuparsi di altro, perché altrimenti ti chiudi nella nicchia. Cavolo, ma in quella nicchia, che in realtà è enorme, c’è un numero infinito di questioni aperte e irrisolte, nodi cruciali delle nostre esistenze che non riguardano solo noi donne, ma l’intera umanità, l’assetto della società e dei rapporti umani. Se non partiamo da qui, dove pensiamo di arrivare? Che senso ha partire azzoppati per il cambiamento? E’ da quella nicchia che parte tutto, se non risolvi le contraddizioni, le discriminazioni, le disparità di genere dove si va? Dritti nel burrone. E cavolo, il femminismo serve a questo, a non dire che questi passaggi sono superflui o superati. Se non ci interroghiamo a fondo e non prendiamo coscienza di noi stesse e di quanto c’è ancora da fare, ci sarà terreno fertile per una restaurazione in grande stile. Il patriarcato è vivo e vegeto e cerca di convincerci che è un approdo sicuro per noi donne. Noi dobbiamo smontare questo sistema in ogni sua ramificazione, per una società veramente paritaria. Iniziando anche da un processo di laicizzazione dei cittadini e dei meccanismi politici. Questo cambiamento è propedeutico a tutta una serie di miglioramenti nella nostra società.

Il silenzio assordante dei decisori politici, che non rispondono alle continue sollecitazioni e richieste di sanare l’ormai diffusissima mancanza di medici non obiettori, dipende proprio dalla rilevanza che hanno i voti di “matrice cattolica”. Magari non sono nemmeno praticanti o credenti, ma rientrano in quella grande famiglia per altri “buoni” motivi di convenienza. Noi donne dovremmo svegliarci e far valere i nostri diritti. Il problema nasce sempre dal fatto che per molti il problema non sussiste fino a che non lo tange direttamente. Dobbiamo sradicare questa mentalità e impegnarci insieme. Ci stanno togliendo una miriade di servizi.. la risposta non è la rassegnazione ma la lotta! Perché non iniziare, mettendo in discussione l’art. 9 della 194, che disciplina l’obiezione di coscienza? Per me fare politica è questo, cambiare le cose che non vanno, risolvere i problemi. Non c’è nessun bacino elettorale da difendere, i voti si conquistano con i contenuti, con i progetti, con i fatti e con le idee, migliorando la vita di tutt*. Questo capovolgimento di mentalità è fondamentale.

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Caro Michele ti scrivo

 

 

Questo post è una lettera indirizzata a Michele Emiliano, ex sindaco della mia città natale, oggi neo – governatore della mia regione Puglia.
In Puglia ci sono nata e vissuta per 23 anni. Oggi vivo a Milano, ma non ho mai abbandonato del tutto la mia terra, continuo a seguirne le vicende e il destino non sempre roseo.
Il motivo di questo post è legato essenzialmente ai temi di cui mi occupo in questo Blog. Mi rendo conto che questo spazio non fa parte dei grandi media, ma visto che i grandi media non parlano, ho deciso di porre qualche domanda, così da accendere i riflettori sulle questioni che riguardano le donne. Michele Emiliano ha dichiarato di aver assunto su di sé la delega alle questioni relative alla Sanità. Quindi a Michele Emiliano pongo una macro domanda: “Quale sarà la sua politica in materia di servizi sanitari e di lotta alla violenza contro le donne?”
In pratica, quali interventi per i servizi ospedalieri, per i consultori? Perché non fare una indagine per verificare lo stato di salute dei consultori familiari? E per risolvere il numero abnorme di obiettori di coscienza, cosa si intende mettere in campo? Quando la nostra Regione riuscirà a fornire puntualmente i dati sulle interruzioni volontarie di gravidanza, come previsto dalla legge? Riusciremo a dare un segnale di civiltà per i diritti delle donne da sempre calpestati e considerati di secondaria importanza?
Attendo speranzosa risposte in merito, perché non ci si dimentichi dei diritti delle donne.
Grazie mille,
Simona Sforza

Coordinatrice donne PD Zona 7 di Milano

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Il corpo delle donne e le loro scelte

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I no-choice in ogni loro manifestazione sono lì presenti a ricordarci che i nostri diritti sono fragili e che non è possibile liquidare certe marce e presidi come qualcosa di anacronistico, senza ripercussioni su nessuno. Ogni qualvolta uno di questi gruppi, più o meno numeroso, si intromette nella vita di una donna, noi dovremmo sentirci tutte toccate in prima persona, perché dobbiamo dire basta a queste periodiche violenze dei no-choice. Le loro marce, le loro veglie, i loro manifesti e i loro gadget, le loro battaglie oggi anche sui social, sono tutti palesi tentativi di sostituirsi alle donne, ridotte a mero ruolo di incubatrice, i cui diritti sono ridotti a briciole, come irrilevanti inezie rispetto al destino superiore del feto. Madri a ogni costo, anche contro la propria volontà, perché in quanto donne noi non dovremmo poter decidere su noi stesse e su quanto avviene dentro di noi. Si comprende quanto si intenda svuotare le donne di una piena capacità decisionale e di potestà su se stesse. I diritti riproduttivi hanno una valenza molto ampia, investono la donna in quanto essere umano, eguale e pienamente titolare di diritti inviolabili. Inviolabile e inalienabile come il diritto a interrompere la gravidanza se non si desidera portarla a termine. Lo ha sancito anche la relazione Panzeri di marzo scorso. Ogni volta che questo viene messo in dubbio e si chiede di limitare la donna nell’esercizio di un suo diritto, si sta compiendo di fatto una discriminazione sulla base del genere e su un destino biologico che per alcuni viene prima di tutto. Questi manifestanti no-choice di fatto compiono una violazione dei confini del diritto a manifestare, perché con le loro azioni arrecano grave danno alle donne, che così vedono svilire la tutela della 194 che le rende libere di scegliere. Si permettono di fare questo tipo di violenze perché tuttora nel nostro Paese si pensa che le donne debbano e possano essere rieducate, riportate a un ordine maschiocentrico, sacrificabili, con diritti di secondo livello. I no-choice trovano spazio dappertutto, hanno sostegni enormi e hanno il coraggio di dire che loro sostengono la vita accompagnandosi ai neofascisti. Naturalmente della vita della donna loro non sanno che farsene, quella è solo l’incubatrice. Il 13 saranno a Bologna. Per fortuna la Favolosa Coalizione (qui) si sta preparando a rispondergli. Chiediamo che questi soggetti non trovino più sostegni, spazi negli ospedali e nei consultori che beneficiano di contributi pubblici. Chiediamo investimenti e potenziamenti dei consultori, per attività di contraccezione e servizi per tutelare la salute delle donne. Chiedere l’abrogazione della 194 significa riportare tutto alla clandestinità. Per tutte le donne italiane che non si rendono conto o hanno la memoria corta, ho tradotto questo pezzo di Sarah Ditum (QUI l’originale). Teniamoci stretta la 194, lavoriamo sull’abuso di obiezione di coscienza e lottiamo perché anche le donne irlandesi possano avere pieni diritti sul proprio corpo. Qui la petizione organizzata da Amnesty (qui). I diritti se non sono uguali per tutte le donne, saranno più fragili e attaccabili. Un accesso pieno e una informazione efficace in tema di contraccezione sono fondamentali. Guardiamo avanti, cerchiamo di migliorare, di progredire e di garantire servizi adeguati. Abbassiamo i costi della contraccezione, facciamo educazione a una sessualità consapevole e avviciniamo precocemente le donne ai servizi per la loro salute sessuale e riproduttiva. Non sottraiamo diritti, ma sosteniamoli e aiutiamo le donne a essere pienamente libere e consapevoli.

autodeterminazione

 

Ci sono due particolari che emergono dall’ultima serie di statistiche sull’aborto diffuse dal Dipartimento della Salute (qui). La prima è che, per le donne in Inghilterra e Galles, l’aborto continua a diventare più sicuro e più accessibile. Sempre più aborti si svolgono nelle prime dieci settimane di gestazione. Questo è un bene, perché implica che le donne sono sempre più in grado di ottenere le cure mediche di cui hanno bisogno il più presto possibile. Per la prima volta, gli aborti medici rappresentano il maggior numero dei casi – questo è un bene perché significa che un minor numero di donne hanno dovuto subire procedure invasive per interrompere le loro gravidanze.

Il tasso di aborto continua a scendere. Questo è generalmente inteso come desiderabile, anche se il numero “giusto” di aborti verso cui una società dovrebbe tendere non è necessariamente “meno” ma piuttosto dovrebbe coincidere con “lo stesso numero di aborti che le donne vogliono”. La legge sull’aborto del 1967 – elusa, imperfetta e difettosa, come è (qui) – sta lavorando per le donne, per quello che basta. Le donne hanno bisogno di una migliore legislazione, ma mentre aspettiamo, questa norma farà, se non pensiamo troppo ai casi in cui fallisce, se non restiamo sgomenti davanti al fatto che l’aborto in Inghilterra e Galles rimane criminalizzato secondo la legge del 1861 sui reati contro la persona ed è legale solo se viene rispettata rigorosamente la condizione che due medici concordino su quanto la donna ha già compreso.

Subject to the provisions of this section, a person shall not be guilty of an offence under the law relating to abortion when a pregnancy is terminated by a registered medical practitioner if two registered medical practitioners are of the opinion, formed in good faith –

(a) that the pregnancy has not exceeded its twenty-fourth week and that the continuance of the pregnancy would involve risk, greater than if the pregnancy were terminated, of injury to the physical or mental health of the pregnant woman or any existing children of her family; or
(b) that the termination of the pregnancy is necessary to prevent grave permanent injury to the physical or mental health of the pregnant woman; or
(c) that the continuance of the pregnancy would involve risk to the life of the pregnant woman, greater than if the pregnancy were terminated
(d) that there is a substantial risk that if the child were born it would suffer from such physical or mental abnormalities as to be seriously handicapped.

(fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/Abortion_in_the_United_Kingdom)

 

E poi c’è l’altro dato, contenuto nel tasso di aborto per le donne non residenti, che è aumentato leggermente nel 2014. Molte di queste donne sono arrivate da Irlanda e Irlanda del Nord – con un breve viaggio aereo, e nel caso dell’Irlanda del Nord non si tratta di un altro paese, ma di un regno completamente diverso quando si tratta di diritti delle donne e dei corpi delle donne. In Gran Bretagna, le opzioni delle donne sono limitate e condizionate, ma almeno ci sono opzioni. In Irlanda, non ce ne sono: in Irlanda una donna incinta che vuole decidere su ciò che accade all’interno dei confini della propria persona, deve come prima cosa lasciare il suo paese.

Come emerge nel rapporto pubblicato da Amnesty (qui), le donne in Irlanda sono trattate come “contenitori porta-bambini”. Questa non è una iperbole: un’ossessione teocratica che implica lo sfruttamento della carne femminile e che ha portato le donne irlandesi a vivere sotto uno dei regimi più restrittivi al mondo in materia di aborto. In Irlanda del Nord, la legge sull’aborto del 1967 non è mai stata applicata, e nella Repubblica d’Irlanda, l’aborto è coperto dall’ottavo emendamento della Costituzione (qui), in cui si afferma che “il diritto alla vita del nascituro” è “uguale [al] diritto alla vita della madre “- e si noti che secondo l’ottavo emendamento una donna è legalmente considerata una “madre ” solo per il fatto di essere incinta, che lei lo voglia o no. Lei è istantaneamente inclusa all’interno della sua relazione con il feto.

Il risultato di tutto ciò è che l’aborto è illegale in quasi tutte le circostanze tranne nel caso di rischio diretto per la vita della donna incinta. Ciò significa che non è previsto l’aborto per le vittime di stupro e incesto. Vuol dire negare l’aborto nei casi di anomalie fetali incompatibili con la vita (qui). Nessuna possibilità di abortire per le donne la cui salute viene compromessa dalla gravidanza, fino a quando non sarà effettivamente a rischio della vita. Nessun aborto per le donne vittime di relazioni violente o con uomini abusanti. Nessun aborto per le donne che non possono permettersi di prendersi cura di un bambino. Nessun aborto per una donna che possa essere mantenuta in vita per adempiere fino all’ultimo il suo compito di diventare una “madre”.

L’atmosfera è quella di paura. Conosciamo i nomi di alcune delle donne che hanno subito le peggiori conseguenze di questo sistema di brutalizzazione: Savita Halappanavar (qui), morta di setticemia e di E.coli dopo un aborto spontaneo, a causa del fatto che i medici si sono rifiutati di interrompere la gravidanza; La signorina Y (qui), immigrata che è stata costretta a continuare una gravidanza derivante da stupro, alimentata a forza, nel corso di uno sciopero della fame e poi sottoposta ad un cesareo giudiziario. Ma ci sono anche tutte le altre, le donne senza nome: le donne che si recano in Inghilterra per gli aborti, con l’aiuto di una rete di sostegno all’aborto (Abortion Support Network), e quelle che non compaiono tra coloro che sono aiutate da ASN perché si pagano il viaggio e si organizzano da sole, rendendo solitario il percorso per un ottenere un trattamento che dovrebbe essere un loro diritto.

E poi ci sono quelle che non fanno nemmeno il viaggio. Non solo l’aborto è limitato in Irlanda, ma anche le informazioni sull’aborto sono strettamente vincolate grazie al Regulation of Information Act (qui), che considera un reato per i medici e i consulenti fornire informazioni complete su come accedere all’aborto. Mara Clarke, fondatrice di ASN, spiega che questo crea un clima di paranoia attorno alla gravidanza sia per le donne che per i professionisti: “Nella nostra esperienza, molte donne hanno troppa paura di dire a un professionista che essere incinta, e molte altre hanno avuto l’esperienza di essere ostacolate dai medici … Non sappiamo se la mancanza di cure informate sia causata dal fatto che i medici hanno paura di subire ripercussioni o perché siano contrari all’aborto – ma in entrambi i casi non si tratta di un modo corretto di comportarsi da parte di medici professionisti nei confronti dei pazienti in difficoltà”.

Un mare sottile si trova tra la vita e la possibilità per le donne e l’impotenza e la paura; tra l’essere approssimativamente considerata una persona agli occhi della legge, e l’essere considerata una incubatrice. L’abuso di cui sono vittime le donne irlandesi non può più andare avanti. L’ottavo emendamento deve essere abrogato, e alle donne in Irlanda del Nord devono essere dati gli stessi diritti di ogni altra donna nel Regno Unito. Il diritto all’aborto è un diritto umano, e fino a quando le donne in Irlanda del Nord e nella Repubblica d’Irlanda non potranno esercitare tale diritto e non avranno i mezzi per esercitarlo, è chiaro che i loro governi continueranno a considerarle come qualcosa di meno che umano.

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Consultori & co.

Distretti Asl

 

Qualche giorno fa avevo accennato a un incontro sullo stato della Sanità a livello territoriale, in particolar modo nella zona 7 di Milano (QUI).
Presenti: Sara Valmaggi, vice presidente Consiglio Regionale e Claudio Carotti, Segretario generale CGIL Milano – Comparto Sanità Pubblica.
Qui di seguito pubblico il video che ho girato in questa occasione, nel quale porgo alcune domande e questioni, in merito alla gestione dei consultori (oggi Centri per le famiglie) e dei servizi dedicati alle donne, con particolare riferimento alla salute sessuale e riproduttiva delle donne.

Pongo la questione della convenzione concessa a strutture che non applicano la 194, di fatto operando una obiezione di struttura non prevista dalla normativa nazionale.
Ricordiamoci cosa accade per esempio al Niguarda, dove si praticano circa 780 IVG all’anno e vi sono solo 2 medici non obiettori. Per garantire il servizio vengono chiamati e retribuiti “a chiamata” i medici del Sacco, ingigantendo i costi per il sistema sanitario pubblico e di fatto calpestando dei diritti delle donne sanciti da una normativa nazionale.
Pongo la necessità di una verifica periodica dello “stato di salute” dei consultori. Chiedo come possiamo agire per sollecitare le ASL a un’azione più efficace, per difendere come cittadini questi servizi sul territorio.

Pongo la domanda sul destino di un servizio come quello del consultorio pubblico, evidenziando una pericolosa crescita di un privato che non garantisce appieno un servizio, ma che grazie alle maggiori disponibilità economiche riesce a intercettare un numero maggiore di utenti. Quali investimenti nel pubblico?

Le risposte non ci lasciano serene, soprattutto traspare un palese disinteresse e una scarsa conoscenza da parte dell’Asl di un servizio come il consultorio, così come di altri servizi territoriali.
Il video dura una ventina di minuti, vi chiedo di guardarlo (scusate l’audio, mi rendo conto che sono una videomaker molto “artigianale”), perché contiene dei punti molto importanti. Come dice Sara Valmaggi: “Nei fatti, senza toccare la legge, è stata fatta una contro-riforma, di fatto disinvestendo in questo servizio”. Verso la fine del video, si parla anche della difficoltà di reperire i dati sull’applicazione della 194 e dell’obiezione di coscienza.

Un altro punto critico riguarda il costo delle prestazioni a carico dell’utenza dei consultori. La legge di istituzione dei consultori (405/75) prevedeva la gratuità delle prestazioni nei consultori. La delibera regionale lombarda 4579/2012, che ha recepito le indicazioni della finanziaria nazionale, ha introdotto un ticket sulle prestazioni fornite, aggiungendo la quota fissa regionale di 6 euro. Il risultato è che oggi una prima visita ginecologica si paga 28,50, quella di controllo 22,40. La funzione dei consultori doveva essere quella di garantire un libero accesso per tutte le donne a un servizio di prevenzione e di controllo per quanto concerne la salute sessuale e riproduttiva. La gratuità potrebbe essere un incentivo notevole. Inoltre le Asl dovrebbero pubblicizzare maggiormente questi centri pubblici, facendoli conoscere a tutta la cittadinanza, soprattutto ai più giovani. Ci vuole volontà politica e lungimiranza nelle direzioni sanitarie, perché le risorse, i saperi, le competenze non si perdano e non vengano svilite. Chiediamo che gli uffici competenti si impegnino a conoscere i servizi sul territorio, a potenziarli, a garantire un ricambio generazionale delle risorse umane che vi operano. Almeno si ammetta apertamente che i consultori pubblici sono un’esperienza destinata ad esaurirsi. Ma se questo è l’obiettivo a medio-lungo termine, deve essere scritto a chiare lettere, si deve dire chiaramente ai cittadini che non esiste più un servizio pubblico uguale per tutti, che garantisca le donne, di ogni censo.
Noi certamente non staremo in silenzio. Continueremo a lottare per i consultori laici, pubblici e possibilmente gratuiti.

Segnalo che a ottobre scorso, la vicepresidente del Consiglio regionale, Sara Valmaggi ha chiesto con una mozione che le under 20 non paghino il ticket. Perché è proprio la fascia più a rischio per quanto riguarda gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili:

“La relazione annuale del Ministero della salute sull’attuazione della 194 – continua Valmaggi- evidenzia come in Lombardia nel 2011 le giovanissime che hanno ricorso al’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) sono l’8% (1463) del totale, un dato che rimane stabile rispetto all’anno precedente (nel 2010 la percentuale era dell’ 8,3%) a differenza di quanto accade per le donne di età maggiore per le quali le Ivg sono in costante diminuzione. Nel 2010 erano 18959, nel 2011 invece 18264. Un dato quello lombardo relativo alle giovani donne maggiore di quello di altre regioni. Sono il 7,9% in Piemonte, il 7% in Veneto, il 6,5% in Emilia Romagna, il 7,1% in Toscana.” “Per queste ragioni- sostiene Valmaggi- chiediamo al presidente Maroni, che va dicendo di voler abolire i ticket, di eliminarli da subito per le ragazze dai 15 ai 19 anni, almeno per la prima visita ginecologica, quella di controllo e il colloquio di orientamento. Sarebbe questo un modo concreto per tutelare la salute delle donne, attuare azioni di prevenzione anche con l’obiettivo di prevenire le interruzioni volontarie di gravidanza”.
“Questo – conclude Valmaggi – come accade già in altre regioni, quali la Toscana, l’Emilia.

Intanto, la maggioranza non trova un accordo sulla Riforma della Sanità lombarda(qui).

Per quanto concerne il Soccorso Rosa di Milano, le cui vicende sono ben note, nonostante la battaglia per chiedere che lo sportello proseguisse le sue attività regolarmente, senza snaturarlo e stravolgerlo, di fatto il nuovo “Centro di ascolto e soccorso donna” è già realtà e riunisce i due servizi già esistenti, il centro antiviolenza e quello di “Ascolto e salute donne immigrate”.

Dopo la delibera della direzione aziendale, pubblicata il 29 gennaio scorso, si è proceduto al piano di accorpamento. Contrariamente alle rassicurazioni dall’assessore alla Salute, si è di fatto snaturato il centro antiviolenza, come è emerso chiaramente dall’audizione tenutasi la scorsa settimana (due settimane fa, ndr) in Commissione sanità, della responsabile del centro di accoglienza e assistenza alle donne vittime di violenza attivo all’ospedale San Carlo, Nadia Muscialini.

Nel comunicato del 13 aprile a riguardo di Sara Valmaggi leggiamo:

“Nell’audizione si è appreso che la riorganizzazione prevede sia lo spostamento del servizio, che non sarebbe più vicino al Pronto soccorso e al posto di polizia, e mancherebbe quindi degli accessi protetti necessari sia alle vittime di violenza che agli operatori, sia la drastica riduzione del personale dedicato, sia la riduzione degli orari di apertura. In sostanza viene a mancare il modello di assistenza a lungo sperimentato con risultati positivi. Per questo, con la tutta la Commissione sanità, abbiamo chiesto all’assessore alla Salute, Mario Mantovani e all’assessore alla Famiglia e pari opportunità, Maria Grazia Cantù di dare spiegazioni su questa scelta, che è totalmente incoerente con i principi affermati nella legge regionale di contrasto alla violenza sulle donne, che prevede il potenziamento della rete già presente sul territorio. A loro chiediamo di adoperarsi perché il Soccorso rosa possa continuare a garantire accoglienza e assistenza alle donne maltrattate”.

 

Che ne sarà delle tante donne che dal 2007 hanno trovato nel Soccorso Rosa un aiuto professionale e umano indispensabili per uscire dalla spirale della violenza? Perché a farne le spese sono le donne, non dimentichiamocelo. Tagliare e svilire un servizio significa compiere un’ennesima violenza sulle donne che hanno bisogno di aiuto. Davvero ci si vuole rendere complici di questo? Non sarebbe meglio preservare le buone pratiche sul territorio, incentivandole e moltiplicandole?

Che senso ha continuare a tagliare i presidi territoriali? Quale il disegno che di fatto sottrae diritti e tutele alle donne? Ci rendiamo conto di cosa significa eliminare dei punti di riferimento per le donne?

Come altri servizi sul territorio, si continuano a calpestare i diritti delle donne, dal Soccorso Rosa ai consultori, fino agli ospedali che in alcuni casi son diventati “totalmente obiettanti”.

Chiaramente ci sono attacchi da più parti, per negarci i diritti. Ci vogliono far tornare al silenzio, per controllarci e riportarci ai ruoli tipici della cultura patriarcale. Purtroppo non riescono a capire l’importanza dei presidi territoriali.. una cecità inaudita e incomprensibile.
Una seria educazione alla contraccezione, alla salute sessuale e riproduttiva, che consenta di compiere scelte consapevoli, dovrebbe essere al primo posto nelle pratiche delle amministrazioni in materia di Sanità. Invece, la situazione appare ben diversa. Le risorse decrescenti diventano la scusa per smantellare le strutture pubbliche, in favore dei privati convenzionati. E’ davvero questo che vogliamo?

 

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Arretramenti

women power

 

Lentamente, silenziosamente si mina ai diritti, tra i quali spiccano quelli relativi al lavoro, a una maternità consapevole e frutto di una libera scelta, all’aborto, si chiede alle donne di alzare la natalità tornando a figliare, si sforna il bonus bebé (su cui mi sono già espressa qui), si continuano a fare tagli alla sanità e al welfare tutto, non si fanno politiche di prospettiva ampia, ma al massimo si tappa il buco oggi. Stavo riflettendo con Eleonora Cirant, nel corso della manifestazione dello scorso 11 aprile in difesa della 194: questa legge incrinata e sotto un attacco permanente (non mi riferisco solo ai comitati NO194, ma soprattutto a causa dell’obiezione di coscienza e dei tagli agli investimenti in strutture pubbliche come i consultori) fa parte di un sistema di garanzie, tutele e diritti faticosamente conquistate e oggi in lento ma progressivo deterioramento. Un tassello dietro l’altro potremmo trovarci senza diritti o tutele. Quella di Piazza Cordusio è stata una esperienza rinvigorente, come sempre. Può sembrare irrilevante manifestare in difesa di una singola legge, per molt* le priorità sono altrove. Ma quella legge rappresenta tanto, sotto il profilo dell’autodeterminazione della donna, per la sua salute, per il suo diritto a decidere sul suo corpo. Ha un significato e un valore simbolico molto vasto. I diritti non sono slegati tra loro, la galassia dei diritti è interconnessa, se si spezzano uno o più fili, il sistema intero entra in crisi, gli equilibri si rompono, attaccarli è più semplice, si iniziano a verificare falle sempre più difficili da ricomporre. Ecco che in una società, se affermi che le donne hanno dei diritti, che devono avere pari dignità, eguale salario, tutele, garanzie e un diritto a compiere delle scelte autonome, esattamente come gli uomini, sancisci un vantaggio per l’intera comunità, riesci ad uscire dalle logiche dei privilegi, degli status sociali, delle discriminazioni di genere, delle logiche patriarcali, dei diritti a macchia di leopardo. A mio avviso l’attacco alla 194 rientra in un preciso disegno di riduzione delle libertà, di ridimensionamento delle prospettive delle donne, di un ritorno a una società più fissa, meno mobile e più controllabile. Un segnale di pericolo e di attenzione per tutti i diritti. Se togli servizi sul territorio, o li fai diventare a pagamento (vedi i consultori e non solo; per fortuna in Lombardia sulla fecondazione eterologa il Consiglio di Stato ha sospeso la delibera della Lombardia che, unica regione in Italia, prevedeva il costo delle tecniche di eterologa a totale carico dei cittadini; si ricorda che la fecondazione eterologa a livello nazionale rientra nei livelli essenziali di assistenza, ovvero le cure garantite dal Servizio sanitario nazionale, a pari livello della fecondazione omologa), se precarizzi i diritti in materia di lavoro, se non sostieni il lavoro femminile, se non garantisci conciliabilità per entrambi i genitori, se consenti che ci sia ancora un gap salariale uomini-donne, poni le basi per un pericoloso ritorno e restaurazione di una società “arcaica”, ancora fondata su distinzioni di censo, di status sociali, di diritti pericolosamente a fasi alterne, che colpisce le fasce più deboli della popolazione, tra cui proprio le donne, invitate a tornare a fare le brave massaie e in esistenze silenziose. Arretramento nei diritti, arretramento culturale, passivizzazione della popolazione e frazionamento delle istanze, colpi alla solidarietà intra-sociale, con l’obiettivo di creare i presupposti per una “ignoranza” dei diritti diffusa, per una incapacità di leggere il mondo attorno: tutto questo è un pericoloso mix che ci rende più fragili e maggiormente vulnerabili.
I diritti non sono acquisiti per sempre, occorre vigilare e tornare a difenderli periodicamente tutti. Dobbiamo trasmettere di generazione in generazione l’importanza dei diritti tanto faticosamente conquistati.
È necessario chiedere che le cose migliorino, il senso del nostro essere oggi in piazza era quello di difendere la 194, chiedere che il suo art. 9 non continui a diventare un alibi di disapplicazione della stessa, che non ci sia più obiezione di struttura, che si investa seriamente nei consultori e nelle strutture pubbliche, consentendo che i servizi vengano forniti h24.
Ma questo vale per tutti i diritti. Per non tornare indietro e poter aspirare ad averne di nuovi!
Ci sono dei modelli che sono vivi e vegeti e che influenzano fortemente le relazioni umane. Mi riferisco al mare magnum del patriarcato.
Cito Carol Gilligan:

“La parola Patriarcato descrive attitudini, valori, codici morali e istituzioni che separano gli uomini tra di loro e gli uomini dalle donne, e che suddividono le donne in buone e cattive. Finché le qualità umane saranno divise in maschili e femminili, saremo separati le une dagli altri e da noi stessi e continueremo a disattendere la comune aspirazione all’amore e alla libertà”.

Il revival di un modello prostitutivo free, falsamente emancipatorio, fatto di zoning e di case autogestite, come se fosse un piacevole lavoro, o comunque alla stregua di altri, segna un altro passaggio, un pericoloso via libera e sdoganamento di un’abitudine maschile, quale quella di affermare che l’uomo può comprare e avere diritto a usare il corpo di una donna. Significa non voler vedere lo sfruttamento e la violenza, avvalorare il concetto che tutto sommato sia naturale e giusto considerare le donne degli oggetti da usare. Significa assegnare diversi diritti alle donne buone e quelle cattive. Significa discriminare.
Ringrazio Ilaria Baldini per aver riportato sulla sua bacheca FB questi frammenti di Elena Gianini Belotti. Desidero condividerli perché a mio avviso sono fondamentali.

Dal capitolo “Il silenzio del sesso” del suo libro “Prima le donne e i bambini”, 1980.
“E’ nel rapporto sessuale che si produce, tra uomo e donna, il più tragico silenzio della parola e del corpo. E’ lì che la disparità di potere e di condizione, la subordinazione della donna, i diritti dell’uomo e i doveri di lei, la sopraffazione e l’accettazione passiva, le richieste e le resistenze, si manifestano con maggiore evidenza e provocano acuta sofferenza. La pesante repressione che gravava sulla sessualità e che imponeva il silenzio, ha impedito di scorgerne gli aspetti drammatici: se il sesso era nascosto e taciuto, si poteva favoleggiare sulle sue gioie finché si voleva. Ora il sesso ha il permesso di esprimersi e si scopre quello che è sempre stato lì e non veniva detto, e cioè che usare gli appositi organi non è sufficiente per essere felici. La felicità è il risultato di una autentica, ben riuscita comunicazione tra persone anche, ma non solo, a livello sessuale.”
“Il persistere della pretesa maschile che le donne debbano accettare anche il più frustrante dei rapporti con l’uomo senza chiedere niente, col sorriso sulle labbra, fingendo soddisfazioni che non provano, felicità e gratitudine senza ragione, accettando l’implicito ricatto dell’uomo che fa balenare l’idea dell’abbandono nel caso che la donna si rifiuti di comportarsi come le “donnine allegre” del passato, fingendosi una voluttuosa baiadera mentre si sente soltanto depressa e infelice. Un uomo non fa assolutamente nulla per nascondere le proprie scontentezze e depressioni, al contrario: le getta addosso alla donna aspettandosi da lei che lo consoli e lo conforti, ma non è mai disposto ad accettare che l’umore della donna possa subire cedimenti. E’ come sempre, la coscienza maschile dei propri diritti, di fronte alla coscienza femminile di non averne, la disparità di potere tra i due che detta i termini di una relazione.”
“Se quello delle donnine era il sesso allegro, allora era sottinteso che quello delle ‘altre’ era decisamente triste. Le donnine allegre lo erano in funzione degli uomini, si sforzavano di esserlo, di mostrare solo aspetti, modi, atteggiamenti gradevoli, lusinganti e solleticanti la vanità e la sessualità maschile, diventavano cioè puri oggetti sessuali a uso e consumo dell’uomo e si distinguevano per assenza di pensieri e pensiero. Non che fossero effettivamente assenti in loro, tutt’altro: accadeva soltanto che avessero imparato a nascondere con abilità i loro veri sentimenti dietro la professionalità. Solo l’assoluta indifferenza dell’uomo per i sentimenti che le attraversavano poteva arrivare a immaginarle come esseri gioiosi. Dal lato opposto di tanta falsa allegria, stava il sesso vero, quello quotidiano, casalingo, riproduttivo, tristissimo, dal quale l’uomo evadeva di diritto alla ricerca del sesso allegro, come se ne fosse vittima e non avesse invece contribuito lui stesso a renderlo tal, come se fosse un meccanismo ineluttabile, al di fuori di lui e della sua volontà, come un accidente combinatosi chissà come. Ma di questo sesso non si parlava. mentre sul sesso familiare, quotidiano, calava il silenzio più tragico, sull’altro si costruiva l’immaginario, il piacere, la gioia, l’avventura, l’imprevisto. La persona non contava, l’una valeva l’altra: l’importante è che l’involucro fosse ridente. Ma lo era solo per chi non voleva vedere né capire.”

Se ci disuniscono è più semplice controllarci. Ecco perché torno a richiamare le donne e a invitarle ad uscire dal guscio (come dicevo qui). Abbiamo un futuro solo se comprendiamo la necessità di tornare a noi come comunità, perché come singole o singoli rischiamo di essere assorbite/i da fenomeni molto pericolosi. Non dobbiamo permettere che altri parlino per noi.
Dobbiamo mettere in atto una forma di Resistenza quotidiana, per cambiare in meglio la nostra comunità umana. Non abbassiamo la guardia e sfruttiamo ogni occasione per fare sentire la nostra voce. Prima che i nostri diritti vengano schiacciati e diventi difficile recuperarli. Dobbiamo riprendere il filo del discorso..

 

PROPOSTA DI AZIONE CONCRETA:

Sulla scia del viaggio che sta compiendo Marta Bonafoni nel Lazio (qui): propongo di avviare in Lombardia un monitoraggio sui consultori pubblici, soprattutto dopo la Riforma regionale che li ha trasformati in Centri per le famiglie. A che punto è la riforma, quanto e se ha inciso? Insomma tracciare un bilancio, quanto meno con cadenza annuale. Spero di raccogliere qualche informazione in più dopo questa iniziativa prevista per il 16 aprile a Milano: “Gli impatti della Riforma Sanitaria Regionale sulle strutture di assistenza presenti sul territorio di Zona 7” (qui l’evento su FB).

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Scomode

 

orecchino di perla

Mi è particolarmente piaciuto l’intervento di Barbara Bonomi Romagnoli, che all’interno di Linea notte del 23 ottobre (al 45° minuto circa qui), ha cercato di portare un po’ di luce su temi spesso scomodi e dimenticati, quali un ministero che si occupi delle pari opportunità, i fondi anti-violenza e il piano anti-violenza nazionale (chiedendo risposte precise in merito, al di là degli annunci e delle soluzioni tampone emergenziali; qui lo stato dell’arte). Il nostro compito deve essere quello di porre domande scomode. In questo periodo dove tutto è coperto da una coltre di miele e tutti sembrano adorare il premier, forse bisognerebbe essere tutti un po’ più svegli e chiedere conto dei problemi accantonati e dimenticati, ma tuttora esistenti.
Di Barbara, mi è piaciuto il suo parlare di violenza a 360°, che riguarda anche la disapplicazione della 194 e il numero di obiettori che di fatto compiono una vera e propria violenza sulle donne. Un discorso e una riflessione simile a quelli che facevo alle compagne del gruppo di donne di cui faccio parte, facendo riferimento a un articolo di Chiara Lalli sulla relazione annuale sulla 194.
Ha ragione Lalli (qui il suo articolo): “se scegli di fare il ginecologo dovresti prenderti in carico tutti i servizi e non solo quelli che ti piacciono”.
Questo vale per ogni contesto, dall’ospedale al consultorio. Altrimenti vai a fare un altro mestiere. Sì perché il consultorio pubblico dovrebbe essere il primo baluardo a difesa della 194. Parlo di Lombardia, ma il fenomeno può essere allargato. La riforma li ha trasformati da consultori familiari in centri per la famiglia. Stanno svuotando da dentro i consultori, riducendo personale e risorse. L’obiettivo finale di Regione Lombardia è rendere le cose difficili per scoraggiare gli utenti e rendere i servizi inutilizzabili, non adeguati. Un modo per agevolarne la chiusura in futuro.
La relazione del ministero mi sembra emblematica di una deriva che fa dell’approssimazione dei dati e delle informazioni un sistema per evitare di dover dare conto di una disapplicazione di fatto di una legge dello stato. Non viene fornito un servizio. Se non si compie un’analisi critica e non si legge tra le righe della relazione, l’idea è che tutto sommato il numero di non obiettori sia sufficiente a garantire il servizio. Ma quel 64% delle strutture pubbliche dice esattamente il contrario.
Dobbiamo chiedere che il personale sia idoneo a garantire un’accoglienza e un servizio degni. Di scribacchini di ricette rosse non abbiamo bisogno. Di farci fare la morale dal personale sanitario nemmeno. Altrimenti, se non ti senti portato, se non ce la fai proprio, cambi lavoro, smetti si avere relazioni con gli esseri umani e fai un lavoro di catena di montaggio. Nessuno ti costringe a fare un lavoro, che implica un uso appropriato delle parole, per cui non ti senti portato. Come in altri settori, c’è la fila fuori e noi ci guadagneremmo in salute. Penso che queste siano forme di violenza legalizzate. Quando il personale sanitario e la psicologa si permettono di dire che il mio dolore non esiste, oppure è sopportabile, è normale, per esempio per costringermi ad allattare naturalmente, stanno commettendo violenza. Perché io avevo una mastite e il mio dolore e la mia sofferenza c’erano. Fin qui uno dei tanti episodi personali che potrei raccontare. Quando un ginecologo si permette di etichettare come una poco di buono (davanti agli altri utenti dell’ambulatorio) una quattordicenne (apostrofando in malo modo anche i genitori della ragazza) che è andata in consultorio per chiedere di iniziare a usare un contraccettivo ormonale, commette violenza. Immaginate questo atteggiamento che risultati ha: le ragazze lasceranno perdere (con tutte le conseguenze di una mancata contraccezione) o si rivolgeranno al web. Non sarebbe meglio accogliere, spiegare, capire i motivi della richiesta e aiutare queste ragazze? Il Consultorio in Piazza mi ha permesso di raccogliere un sacco di storie. Il bello è che per molti e per molte donne, va bene così, il medico non può accogliere, ascoltare, approfondire, aiutare, deve semplicemente e asetticamente emettere diagnosi e anche qualche giudizio morale se lo ritiene.. Siamo immersi in una brodaglia ideologica, moralizzatrice, confessionale pericolosissima. Una donna con cui ho parlato mi ha detto che non rientra nelle competenze del medico essere empatico e stabilire relazioni umane. Il medico deve proteggersi da eventuali denunce. Quindi si può anche permettere di usare violenza verbale per non incorrere in eventuali problemi legali. Bene, anzi male. Non vi dico la professione di costei, è meglio. Questo tipo di persone vanno in giro a pontificare, ma sono altamente pericolose. Altro particolare che mi fa infuriare. Se io ho i soldi, pago un medico privato che senza problemi mi ascolta, mi consiglia, mi aiuta. Se non ho soldi e magari non ho una famiglia alle spalle che mi spiega come avere una sessualità consapevole, mi devo rivolgere alle strutture pubbliche e incrociare le dita, sperando di incontrare il medico giusto, che sappia ascoltarmi e che sappia consigliarmi (senza usare epiteti o minacce) e che non mi mandi via. Dev’essere sempre una questione di denaro?
L’inversione culturale, necessaria per bloccare la deriva, implica che una parte di società sappia uscire allo scoperto e far emergere questi disastri. Altrimenti saremo tutt* complici.

 

Non dobbiamo ignorare cosa accade attorno a noi. Dobbiamo essere al corrente di cosa è stato fatto nel nostro paese per la parità.

Ecco qualche immagine dalla marcia dei No194 e della contromanifestazione in difesa della 194 (qui e qui).

 

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Informiamo e informiamoci

cruci sess La notizia dei manifestanti pro-life che tornano in piazza il 25 ottobre a Milano ed episodi come quello accaduto al pronto soccorso di Voghera (qui un bell’articolo di Chiara Lalli) ci spingono a non stare tranquilli. Ignoranza e omissione di servizio sono fenomeni in pericoloso aumento. Il fatto di ignorare (in buona o cattiva fede non importa) cosa sia la “pillola del giorno dopo” denota l’approssimazione con cui si ricoprono certi ruoli e su come la sanità seleziona i suoi dipendenti. In Lombardia il monopolio di un modo, di stampo confessionale, di tutelare la salute, diventa estremamente invasivo e pericoloso. Così come la decisione di mettere un numero chiuso sulle IVG. In questo modo una legge dello stato viene di fatto aggirata, applicata male e crea delle forme di violenza legalizzata sulla pelle delle donne. Questa infermiera che si prodiga a “salvare vite”, mi ha ricordato tanto il sistema americano delle false cliniche per abortire (qui). Solo che da noi questa “libera iniziativa filantropica” degli operatori sanitari, volta a scoraggiare le donne, avviene in strutture pubbliche. Immagino che i casi di queste due ragazze non siano isolati e che già in passato la stessa infermiera avesse elargito i suoi consigli indesiderati e non previsti dal suo ruolo. Sarebbe interessante fare un’indagine anche altrove. Non importa se tale comportamento fosse dettato dalla coscienza o dalle credenze religiose dell’operatrice sanitaria. Il dialogo che ha pensato di offrire, non era richiesto e soprattutto non è giustificabile se l’effetto finale è stato quello di allontanare, scoraggiando le pazienti, e di fatto non fornire il servizio. Ci sarà un protocollo da seguire in questi casi? Oppure, è tollerabile che motivazioni personali possano incidere sull’attività clinica? Ok, siete obiettori, allora le strutture devono affiancare anche personale non obiettore, affinché sia assicurato un diritto previsto dalla 194. Tutto questo produce un aggravio di costi e una più complicata gestione del personale e dei turni? Che si voglia o no, occorre intervenire e sanare la situazione. Lo stato dovrebbe vigilare sulle percentuali di obiettori o di dipendenti come l’infermiera di Voghera. Spero che ci sia un provvedimento esemplare. Altrimenti si continuerà a fare gli struzzi e a pagare per servizi che non ci sono o che sono soggetti a valutazioni personali, del tutto aleatorie. Dobbiamo combattere portando informazione corretta, consapevolezza e conoscenza laddove si fa solo disinformazione e terrorismo psicologico. L’ignoranza è una brutta bestia (basta vedere il risultato di questa indagine)! L’idea del consultorio in piazza o del cruciverba (nella foto) hanno proprio questo scopo: far riflettere e rendere le persone consapevoli della propria sessualità e del proprio corpo. Per combattere, argomentando con contenuti solidi, le false informazioni diffuse su certi temi. L’ultima parola deve restare delle donne; la scelta di una persona non può essere violata e manipolata da nessuno!

p.s. 07/10/2014

Vi segnalo il contest Liberi di Amare, organizzato da AIED (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) di Roma e Cocoon Projects. Una gara di idee che coinvolge direttamente i ragazzi di tutta Italia e li invita a presentare progetti creativi e innovativi per promuovere efficacemente una sessualità consapevole e felice, basata su una cultura di prevenzione e salute.

Aggiornamento 07/10/2014

Alla fine l’infermiera ha scelto di “dimettersi volontariamente” (qui).

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La norma c’è già

Pausa - Sergio Cerchi (Firenze, 1957)

Pausa – Sergio Cerchi (Firenze, 1957)

Ci risiamo, siamo ancora qui a voler modificare un limite. Dopo Firenze, ora anche in Puglia c’è qualcuno che ci prova. Allora, se si è stabilita una soglia limite (28 settimane) perché si possa richiedere l’iscrizione nei registri comunali dei feti mai arrivati al termine della gravidanza, ci sarà un motivo. Il motivo è semplice, perché se tale limite non ci fosse, si creerebbe un pericoloso vuoto, che renderebbe attaccabile la stessa norma che consente alla donna di compiere una libera scelta. L’albo e la sepoltura sono i mezzi con i quali gli antiabortisti vogliono scardinare la Legge 194. Da un lato ci sono le famiglie che magari vorrebbero ricorrere a questa pratica, in totale buona fede, ma dall’altro ci sono le organizzazioni che premono perché quanto previsto dalla 194 venga cancellato per tutte. Una libertà di scelta che sarebbe negata. A partire dalla 28 settimana si parla di parto prematuro, prima si parla di aborto. Queste previsioni sono contenute nella legge 285 del 1990 e il DPR 254 del 2003: prima della ventesima i feti vanno nell’inceneritore, a meno che qualcuno non reclami i resti. Fino alla ventottesima le aziende ospedaliere sono obbligate alla tumulazione in fosse comuni, come accade per gli arti amputati, sempre che i genitori non preferiscano un’altra sistemazione. Dopo la ventottesima i feti diventano bambini, possono essere registrati all’anagrafe come nati morti e avere una tomba con lapide (nome e cognome) come tutti. Questi vincoli servono a disciplinare la materia, che altrimenti sarebbe aleatoria e soggetta a mille interpretazioni e strumentalizzazioni. Se l’obiettivo è il riconoscimento giuridico dell’embrione umano, non ci stiamo. Questo spalancherebbe il portone alla cancellazione delle norme per l’interruzione volontaria di gravidanza, contenute nella Legge 194. Significherebbe tornare agli aborti clandestini e condannare le donne. Naturalmente, non tutte, solo coloro che non si potrebbero permettere di andare all’estero o in cliniche private ad hoc. Torneremmo alla salvaguardia della salute e ai diritti differenziati per censo. Stiamo attent*!

 

Aggiornamento del 25 giugno 2014

Vi suggerisco questo articolo che parla del Museo della Contraccezione e l’Aborto di Vienna. Un ottimo modo per ricordarci quanto possa essere terribile la vita delle donne, in assenza di metodi sicuri di contraccezione e di aborto.

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Non solo promesse

Dalì, Meditative Rose , 1958

Dalì, Meditative Rose , 1958

Quando le istituzioni prendono posizione e intervengono incisivamente per sanare un problema. Parlo del governatore del Lazio Zingaretti, che ha saputo pronunciarsi laddove molti suoi colleghi (anche di partito) hanno balbettato e latitato, per abbattere ciò che ormai sta diventando un vero e proprio muro, che di fatto tende ad ostacolare l’applicazione della Legge 194: l’obiezione di coscienza dei medici.
La Regione Lazio, attraverso le Linee di indirizzo regionali per le attività dei Consultori Familiari NU00152 del 12/05/2014, introduce il principio secondo cui gli obiettori, qualora siano in servizio presso i Consultori Familiari, non possano sottrarsi al rilascio del certificato necessario alla donna per recarsi in una struttura autorizzata per richiedere l’aborto.
Inoltre, nel medesimo documento, si prescrive l’obbligo di inserire lo IUD (Intra Uterine Device), che solitamente viene compreso nell’obiezione di coscienza, in quanto impedisce l’annidamento dell’ovulo fecondato nell’utero.

Grazie a Vita di donna  e a Unite in rete – Firenze per la documentazione.

Qualche informazione in più la trovate anche qui.

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Pericolose accelerazioni estive

tren de la libertad

In Spagna i Popolari non abbandonano l’idea del progetto di legge Gallardòn, che vorrebbe ridurre considerevolmente le fattispecie per poter abortire. Anzi, i sostenitori della proposta di legge sembra che vogliano approfittare della calura e della sonnolenza estive, per convertire l’ante-proyecto in un vero e proprio progetto di legge, da presentare in Parlamento a luglio. L’obiettivo è giungere a un’approvazione entro la fine dell’anno.
Ma nessuna di coloro che si mobilitò in occasione della manifestazione dello scorso 1 febbraio a Madrid ha intenzione di lasciar passare sotto silenzio questa improvvisa accelerata dei sostenitori della legge che potrebbe riportare la Spagna indietro di decenni. Quel tren de la libertad che portò nella capitale oltre centomila persone è pronto alla lucha e con esso tutte le reti (tra cui Women are Europe) che si sono formate in tutta Europa per dire no a questa legge che sarebbe una mannaia per i diritti all’autodeterminazione delle donne. L’aborto non può tornare a essere clandestino, le donne devono poter scegliere liberamente e veder garantito il loro diritto alla salute.
Il tren de la libertad è diventato un docu-film, frutto del collage del materiale girato da più di 80 registe, che hanno documentato la mobilitazione e la marcia che riempì le strade di Madrid il 1 febbraio. La “prima” è prevista nelle Asturie il prossimo 10 luglio. Qui il trailer. Qui l’elenco delle città spagnole in cui avverranno le proiezioni, gratuite.

Speriamo che questa importante testimonianza di mobilitazione giunga anche in Italia, dove la situazione non è rosea. Basti pensare al numero stratosferico di medici obiettori di coscienza e a come lentamente stiano (e non da oggi) cercando di tagliare le attività dei consultori familiari pubblici, favorendo quelli confessionali accreditati.
Se ci addormentiamo, pensando che da noi non si possa tornare indietro, è finita. Svegliamoci tutt* e difendiamo la Legge 194, chiediamo una sua piena applicazione in ogni parte d’Italia. Ricordiamoci inoltre l’importanza della legge 405 del 1975 che istituì i consultori familiari. Forse non tutti siete a conoscenza di ciò che sta accadendo in Lombardia, dove non solo si paga il ticket per le prestazioni del consultorio, ma sta per entrare in vigore la trasformazione dei consultori familiari in centri per la famiglia. La Regione Lombardia sta procedendo con la “ristrutturazione” dei consultori, che potrebbe snaturare le funzioni attribuite ai consultori dalla normativa nazionale, con il rischio di non assicurare più i servizi sanitari, sociali e psicologici per la salute della donna. Ne parliamo mercoledì 25 giugno a Milano, con Pierfrancesco Majorino, Diana De Marchi e Sara Valmaggi: qui l’evento su FB.

“La maternidad es una vocación como cualquier otra. Debería ser libremente elegida, y no impuesta sobre la mujer.”

Anaïs Nin.

 

Ringrazio Silvia Vaccaro per il suo articolo.

 

Aggiornamenti

Le donne spagnole non si fermano e scrivono una lettera aperta alla vicepresidente del governo spagnolo Soraya Sáenz de Santamaría per chiedere il ritiro dell’ante-proyecto di legge di cui parlavo. Speriamo!

Intanto si organizzano Falò di S. Giovanni per bruciare la proposta Gallardòn.

Si preannuncia un verano calentito 🙂

Say no to the new abortion law in Spain! In tante lingue diverse esprimiamo il nostro dissenso!

In molte città europee si tornerà in piazza per manifestare la nostra solidarietà alle donne spagnole. Qui alcune info sul sito WAE.

verano Caliente

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Il buon medico non obietta

 

MANIFESTO DELLA CONSULTA DI BIOETICA

“Oggi non c’è più bisogno di riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza in quanto chi contesta l’accettabilità morale dell’interruzione di gravidanza può sempre scegliere una professione o specializzazione che non prevede questa pratica”.

Così leggiamo nel commento della Consulta di bioetica onlus, al lancio della terza campagna il ‘Buon medico non obietta’. Qui e qui potete trovare maggiori informazioni sulle tappe di questa iniziativa che dal 6 al 30 giugno in varie città italiane, vedrà svolgersi dibattiti e incontri per sensibilizzare la popolazione su una tematica così importante, delicata e che visto il numero elevatissimo di obiettori, sta diventando un vero e proprio ostacolo all’applicazione della 194.

La Consulta di Bioetica chiede “l’abrogazione dell’articolo 9 della legge 194″, quello che prevede il diritto all’obiezione degli operatori. La Consulta di Bioetica si batte affinché “la somministrazione della pillola abortiva RU486 su tutto il territorio nazionale in regime di day hospital e anche nei Consultori familiari, come già avviene per esempio in Toscana”.
In effetti, i numeri elevatissimi di coloro che scelgono di obiettare sono alquanto sospetti. Ho già in passato argomentato le mie perplessità a riguardo. A questo punto sarebbe il caso di suggerire ai signori obiettori, che se non se la sentono di svolgere la professione al 100%, per ragioni di coscienza o confessionali, sarebbe auspicabile che scegliessero una specializzazione che non preveda di svolgere aborti. Il medico va fatto con responsabilità e convinzione, non solo per l’alta remunerazione. Questo all’università non lo insegnano, è una dote innata. Buon lavoro, a ciascuno secondo le proprie attitudini e capacità. Di etica quando ci sono di mezzo i soldi e la carriera non se ne vede nemmeno l’ombra.

 

Aggiornamento del 2 luglio 2014

Qui un articolo di Silvia Vaccaro sulla giornata conclusiva della Campagna.

Qui la registrazione dell’ultima giornata.

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Basta applicarla

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Oggi mi riallaccio a un articolo di Giulia Montanelli, che ci riporta la realtà olandese in tema di educazione sessuale, tutela della salute sessuale e riproduttiva della donna, prevenzione e contraccezione.
Il confronto con la 194 e con la legge che istituì i consultori (n.405/75) mostra tutte le crepe di norme che da noi sono state boicottate e applicate solo in parte.
Gli strumenti in Italia ci sono, peccato che ci sia di mezzo l’obiezione di coscienza in dosi massicce e le funzioni e le attività dei consultori siano state tagliate a più riprese ed oggi, in ottica di spending review, vengono ritenute un lusso da ridurre, accorpare e spremere ulteriormente come un limone.
L’educazione sessuale dovrebbe essere una delle competenze dei consultori familiari. Purtroppo i consultori hanno sempre meno risorse da impiegare. In Lombardia, a Milano, ad esempio, i consultori hanno dei progetti di educazione sia rivolti agli insegnanti (che a loro volta devono trasferire le informazioni ai ragazzi) sia agli studenti, che diventano poi “educatori” tra pari, in pratica diventano divulgatori verso i compagni di quanto appreso dal personale dei consultori. Questi progetti sono facoltativi, in pratica è il singolo istituto che sceglie se aderirvi o meno. Per cui in primis spetta alla sensibilità del personale scolastico e del dirigente la scelta se attivarsi o meno. Il problema ulteriore è che le risorse dei consultori familiari pubblici si restringono, mentre i privati accreditati, molto spesso confessionali, dotati di maggiori disponibilità economiche e di personale, hanno un più facile accesso nelle scuole. Sappiamo tutti che i risultati di un insegnamento laico e di uno di stampo confessionale, non sono esattamente identici.
Dobbiamo parlare di più e meglio di contraccezione, fare prevenzione, sfatare miti e pregiudizi e diffondere consapevolezza di sé, del proprio corpo e della salute. Perché questi erano i principi e gli obiettivi delle normative italiane in materia. Dobbiamo far diventare la sessualità un processo di maturazione condiviso, condotto in parallelo, uomini e donne, ragazzi e ragazze. I risultati olandesi, frutto di un approccio aperto e concentrato sull’informazione preventiva, dimostrano che non basta varare delle norme adatte, ma occorre supportarle e applicarle sino in fondo. Crediamoci e lottiamo fino in fondo per non tornare indietro e per sgombrare il campo da falsi miti.

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Nuovo codice, nuovi malumori

Eva - Sergio Cerchi (Firenze, 1957)

Eva – Sergio Cerchi (Firenze, 1957)

Il codice deontologico dei medici ti consente di incrociare le braccia se la prestazione va contro la tua coscienza o il tuo convincimento clinico, ma non ti esenta dal fornire un aiuto verbale al paziente. È bastato poco, per scatenare forti reazioni. In caso di obiezione di coscienza, è stato previsto l’obbligo di fornire informazioni per consentire la fruizione della prestazione altrove. In pratica, il medico pur se obiettore è vincolato dal nuovo codice a fornire indicazioni sulla struttura più idonea e più vicina per poter accedere alla prestazione prevista per legge, qual è l’interruzione volontaria di gravidanza (ex Legge 194).
Non regge, non regge affermare che fornire indicazioni di questo tipo significa rendersi complici di un aborto. A mio parere la nuova dicitura è pienamente in linea con quella che dovrebbe essere una buona prassi. C’è molta confusione su questo tema, tanta ignoranza e strumentalizzazione. Qui siamo davanti a una battaglia ideologica che va ben oltre il buon senso e la stessa missione del medico. Mi dispiace, ma se c’è di mezzo la salute e la libertà di scelta delle donne, non ci può essere anche il silenzio di un medico che ostacola l’applicazione di una norma dello stato. Perché si pone il problema di coscienza solo per l’embrione e non anche nei confronti di un essere umano che chiede che un suo diritto venga garantito e rispettato? Guarda caso si tratta di un soggetto, la donna, da schiacciare e da colpevolizzare. Ma aiutare mai? Imparate ad aiutare e ad ascoltare i pazienti, forse potreste diventare dei buoni medici. Dico forse, se non ci fossero di mezzo questioni pecuniarie e di carriera.

Per approfondimenti:
L’articolo di Chiara Lalli su WIRED.

La notizia su l’Unità.

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Consultorio in piazza

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Il 25 maggio, Donne a Confronto parteciperà alla manifestazione aMAGGIOaBAGGIO (Milano, Parco di Baggio: via Anselmo da Baggio – via Pistoia), presentando l’iniziativa “Consultorio in Piazza“, volta a promuovere il prezioso lavoro dei consultori familiari pubblici, in difesa della salute, dei diritti e dell’autodeterminazione delle donne. Qui, l’evento su Facebook.

Donne a Confronto vuole portare in una piazza di Milano un’idea nata in Calabria.

Infatti il Consultorio in Piazza nasce da un’intuizione del Coordinamento calabrese 194, donne eccezionali che hanno creato questa iniziativa, per riappropriarsi di un luogo pubblico, quale appunto la piazza, per riportare tra le persone, tra i giovani le tematiche che riguardano la sessualità, la contraccezione, l’aborto, la maternità consapevole. Se volete saperne di più sul Coordinamento calabrese 194: Facebook e Sito

Il 25 maggio, il gruppo Donne a Confronto aprirà il suo banchetto, in stile Lucy dei Peanuts, per parlare di questi temi.

Sarà un’occasione per parlare del manifesto della rete italiana Women Are Europe.

Venite a trovarci, vi aspettiamo!

 

 

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