Il pomeriggio dell’8 giugno sono stata alla Ladyfest per seguire la presentazione del libro Irriverenti e libere – Femminismi nel nuovo millennio di Barbara Bonomi Romagnoli.
Gli interventi e gli “asterischi” sono stati tutti molto interessanti e ricchi di spunti di riflessioni, da Lorella Zanardo a Eleonora Cirant, dal collettivo Ambrosia a esponenti del mondo femminista di varie generazioni.
L’autrice ha ricostruito le motivazioni e la genesi del libro, nato dalla necessità di non veder svanire tutta una serie di lavori, gruppi, sperimentazioni, che nel corso dell’ultimo decennio hanno rivitalizzato un dibattito femminista che sembrava addormentato dopo le fiammate degli anni ’60-’70 e qualche eco nei primi anni ’80.
Non è un lavoro onnicomprensivo, non è un’enciclopedia femminista degli ultimi anni, è una selezione attraverso un filtro personale dei fenomeni che Barbara ha vissuto più da vicino professionalmente come giornalista e umanamente come attivista. Sono le storie che sono passate meno sui media di larga diffusione, ma che hanno rappresentato, ognuna a suo modo, un modo di fare attivismo e di difendere quell’autodeterminazione che era stata l’emblema storico del movimento delle donne.
Il libro è un ottimo punto di partenza per tutta una serie di considerazioni e riflessioni su cosa ci si aspettava e cosa ci aspetta nel futuro prossimo. E’ uno di quei libri su cui ci torni più volte perché le voci racchiuse nelle sue storie ti invitano a tornare e a riflettere a lungo. E’ un libro di scoperte e di racconti che ti aiutano a mettere a fuoco una miriade di dettagli, passaggi e idee.
Non ci sono giudizi, se non quelli forniti dalle dirette interessate, intervistate dall’autrice. Questo mi è sembrato un approccio perfetto. Barbara ha saputo trovare il giusto equilibrio anche quando ha accennato all’esperienza dello Sciopero delle donne.
Tutte queste numerose declinazioni dell’attivismo “femminista” hanno mostrato tutte le difficoltà di trovare un modus vivendi e operandi tra donne. Personalmente penso che non dipenda dal numero delle partecipanti o dalla distanza geografica o anagrafica. Questa fragilità delle relazioni tra donne, tra attiviste credo sia insuperabile, per la natura stessa dei temi, per la differenza di opinioni, di approcci, di aspettative, di modalità di stare insieme, senza “sovrapporsi” e senza primati e personalismi pericolosi e fastidiosi. Non per questo non dobbiamo continuare a fare gruppo, a sperimentare nuove soluzioni, nuovi esercizi per stare insieme. Dobbiamo solo essere consapevoli dei meccanismi interni che si possono creare e cercare di tamponare per tempo e accettare che magari le cose non sempre hanno il successo sperato. Motivo per cui forse occorrerebbe ridurre la quantità di carne sul fuoco, concentrandosi su piccoli obiettivi, condivisibili e da portare avanti sul proprio territorio. Se mescoliamo gli innumerevoli problemi, dibattiti, temi che ruotano attorno alle tematiche delle donne, si rischia di fare un minestrone difficilmente gestibile. Secondo me la concentrazione delle energie su pochi, ma essenziali obiettivi comuni porterebbe giovamento ai movimenti. Così, penso che lavorare su progetti singoli, come si è detto nel corso del pomeriggio, sia un fatto positivo e una modalità molto utile. L’anima di tutti questi progetti siamo noi stesse, con le nostre storie, le nostre esperienze, le nostre sensibilità, le nostre energie e le nostre idee, insomma noi donne.
Se negli anni ’70 era inconcepibile una distanza tra movimento femminista e impegno per un cambiamento socio-economico, oggi appare evidente che si è creata una cesura tra le due tipologie di azioni e secondo me si corre il rischio di decontestualizzare le proprie battaglie, come se fare politica e voler incidere sulla realtà sia un qualcosa da fare a compartimenti stagni. Abbiamo forse modificato il significato di impegno politico o più semplicemente lo abbiamo riadattato ai tempi di allergia diffusa a una politica troppo affaristica, verticistica e istituzionale. Eppure, se veramente vogliamo sollevare la coltre di inerzia delle istituzioni e se vogliamo che certe istanze e certi cambiamenti avvengano veramente dobbiamo riprendere in mano un lavoro faticoso e difficile, ma che non può non comprendere un dialogo con le sedi decisionali reali, cercando di far intervenire il cambiamento di rotta anche in questi contesti. Naturalmente, stando attente a non farci strumentalizzare. Il femminismo cosiddetto storico aveva raggiunto una diffusione notevole, diventando una forza interlocutoria credibile e importante, che più di un risultato è riuscita a portare a casa. La nicchia è bella e rassicurante, ci fa sentire a nostro agio, tra persone che parlano la medesima lingua. Ma non sempre questa nostra prospettiva ci aiuta ad allargare il nostro dibattito, a divulgare le nostre idee e le nostre richieste di cambiamento. La ricostruzione di Barbara ha proprio questo obiettivo, tra gli altri: divulgare e informare attraverso un racconto esperienziale, utile a chi è a digiuno o che ha vissuto da lontano certi temi e movimenti. Utile anche a chi bazzica da tempo questi temi e questi gruppi, per comprendere cosa non è andato bene e cosa invece si può recuperare per i giorni a venire.
Inoltre, come ho scritto già in altri post, mi piacerebbe che i gruppi, i movimenti delle donne sfuggissero alla trappola/tentazione individualista, di lotta autoreferenziale o elitaria. Per individualista non intendo i singoli, ma la deriva che spesso alcuni piccoli gruppi imboccano. Questa tendenza che per alcuni è naturale, dev’essere riconosciuta e in qualche modo superata se non si vuole che l’esperienza si spenga o si affievolisca. Occorre ragionare in termini di battaglie diffuse, collettive, affinché diritti e risultati siano per tutt*, per superare quegli ostacoli socio-economici che nella vita non ci fanno partire tutt* dal medesimo punto.
Non dobbiamo aver paura delle etichette, essere femminista non deve essere sinonimo di strega o di persona fuori dal tempo: sono solo manipolazioni utili a demonizzare chi vuole un cambiamento culturale e reale di un mondo ostile alle donne. I motivi per lottare e resistere sono tanti e attualissimi.
Ma dobbiamo imparare a dialogare con tutti, ognun* con i propri metodi e pratiche, ognuna con il suo approccio ai temi del corpo, della sessualità e della percezione del sé. Dobbiamo uscire un po’ tutte dalle gabbie, di cui ha parlato la Zanardo. A mio avviso, non ricominciamo sempre da zero, è solo un’impressione di mutamenti e azioni che scorrono e si susseguono tutte con obiettivi comuni e che servono a liberare le donne da quelle camicie di forza culturali che le hanno sempre volute e tenute ai margini. Un percorso da fare mano nella mano, tutt* insieme. Noi ci proviamo. Noi, quei soggetti imprevisti (mutuando Carla Lonzi) della Storia.