
Linda Laura Sabbadini, in una sua recente intervista*, ha dichiarato con forza: «Non è più possibile affrontare la questione di genere con la politica dei piccoli passi: dobbiamo renderci conto che, pur avendo un loro valore, non bastano più le petizioni di principio né le parole. Bisogna passare dalla proclamazione della necessità che vengano rispettati i diritti delle donne alla messa in atto di strategie adeguate perché questo avvenga davvero… Si fa ancora fatica a essere coerenti: c’è un problema di scarto tra la crescita della coscienza collettiva e l’allocazione di fondi per le politiche sociali».
Si tratta di passare dalla politica delle parole a quella dei fatti e delle risorse adeguatamente allocate.
«È indubbio che in Italia ci sia uno squilibrio nel lavoro di cura, siamo il Paese europeo che si trova nella situazione più critica e non andiamo avanti se non si mette mano a tutte le sovrastrutture sociali: che siano gli asili nido, i servizi per le persone non autosufficienti, per gli anziani o i disabili».
Nel mio percorso personale di donna ho sperimentato quanto questo squilibrio porti a fare scelte o meglio a essere travolte dall’inconciliabilità tra una partecipazione attiva al mondo del lavoro e compiti di cura. L’impatto è devastante, può essere irreversibile o recuperabile a costo di grandi sacrifici personali e familiari. Intanto passano gli anni e le donne che escono per vari motivi dal mercato del lavoro restano in un limbo, fatto di precariato e di disoccupazione. Non ci sono sistemi efficienti per permettere loro di rientrare, spesso si cercano soluzioni in totale solitudine. Occorrono servizi ma che siano facilmente accessibili, disponibili e soprattutto che vengano sufficientemente pubblicizzati a tutta la popolazione.
I congedi parentali al 30% della retribuzione diventano dei veri e propri “mangiastipendio”: oltre ad avere retribuzioni mediamente inferiori a parità di mansioni, gender pay gap acuito ancora di più dalla pandemia, abbiamo questa voce che di fatto cronicizza perdite retributive mensili. E non è più possibile e giusto pesare sul welfare familiare di sostituzione, i nonni o parenti non possono essere la risposta. Lo Stato deve pensare ‘oggi o mai più’ a cambiare paradigma. Le aziende devono riconoscere che le donne non sono una zavorra e che incrementare il loro numero è un’opportunità per far crescere la produttività e ottenere migliori risultati.
Maggiore occupazione che significa in parallelo investire in formazione continua e permanente.
È inutile ripetere a pappagallo questi buoni propositi. È giunto il momento di smetterla con pink washing e proposte copia incolla, che una volta elette/i saranno messe nel cassetto. Mi fa piacere che veniate sul mio profilo, ecco, portatele a compimento le cose che spiluccate da ciò che scrivo. Le leggi ci sono ma non si applicano sufficientemente bene. I canali di reclutamento sono intrisi di clientelismo e familismo. Non emergono i profili migliori, assolutamente non è la norma. Si sviliscono così energie e anni di studio e specializzazioni. Questo vale per tutti, ma le donne sono ovviamente le più penalizzate. Ci sono da mettere in rete e da intrecciare le banche dati che afferiscono al mondo del lavoro, l’informatizzazione serve a questo, cambiare radicalmente l’approccio dei centri pubblici per l’impiego. Siamo ferme a decenni fa, più o meno, perché il potere è ancora saldamente maschile e si vede come viene tuttora accettato anche dalle donne, che ne raccolgono le briciole e si accontentano. Ma occorre dire che si può rinunciare a questo sistema, si guadagna in dignità. Il debito col patriarcato, acceso dalle donne che finora ci hanno venduto per un posticino al sole o un vantaggio personale, va estinto e non sarà certo andandoci sotto braccio che potremo dare un taglio col passato. Il lavoro di qualità, fondi ben indirizzati, selezione per competenze e non per affiliazioni di potere, questo ci potrà salvare, «mettendo al centro gli investimenti nelle politiche di welfare della cura per la ricostruzione del senso e della vita di comunità. Le donne saranno alla testa di questo cambiamento epocale». Dobbiamo spiccare il volo, magari diffidando delle pacche sulle spalle, delle rassicurazioni e impegnandoci in prima persona per cambiare radicalmente prassi e modalità di relazioni, puntando a ottenere risultati validi non soltanto per le élite.
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