Questo 25 novembre, si fa fatica a scrivere, perché le parole risuonano sempre più inutili, cadono vane nel vuoto lasciato dalle donne alle quali la vita è stata interrotta, all’improvviso, perché un uomo ha deciso che quella vita non potevano, non meritavano di continuare a viverla.
E di anno in anno ci ritroviamo davanti a questo abuso che pesa sulle nostre esistenze, giorno dopo giorno a raccogliere frammenti di forza per non fermarsi mai di fronte a ciò che accade, lo dobbiamo a Violeta e a Jessica, a tutte le sorelle che non possiamo più abbracciare, ai loro sorrisi e ai loro sogni.
Jessica Faoro voleva farcela da sola, cercava di uscire dalle difficoltà con tutto il coraggio e l’orgoglio di una giovane donna, alla ricerca solo di un po’ di serenità e di un futuro meno doloroso della sua infanzia e adolescenza. La giustizia ora seguirà il suo percorso, ma a dirla tutta, tante altre responsabilità, oltre a quelle di Garlaschi che l’ha trafitta con 85 coltellate, resteranno nell’ombra.
Un silenzio che devo dirlo si stende su tutti i bambini e gli adolescenti che passano il tempo tra una famiglia affidataria e una casa famiglia.
Un silenzio che li travolge una volta maggiorenni, considerati evidentemente autosufficienti, nonostante sappiamo bene quanto questo non corrisponda ad un’analisi della realtà. E se alle domande che avevamo posto dopo il femminicidio di Jessica non ci è mai giunta risposta, se a qualcuno interessa il destino di giovani vite come quella di questa ragazza, se vi resta un po’ di coscienza, adoperatevi affinché venga fatta piena luce sulle ragioni che avevano costretto questa ragazza ad accettare l’ospitalità di colui che sarebbe diventato il suo carnefice.
Terribile che si continui a esercitare una rimozione ogni qualvolta accadono simili tragedie, eppure sembra di scorgere sempre la stessa sottovalutazione dei segnali di pericolo e di rischio, una sequenza che non riusciamo a interrompere. Per una volta smettiamola almeno con l’ipocrita messinscena e dedichiamo anche solo un briciolo del nostro tempo a sospendere tutte le diatribe, le logiche di calcolo, i veti incrociati, i veleni, i distinguo, i ragionamenti autoreferenziali per pretendere in modo deciso che in questo Paese la violenza contro le donne non passi più come un flash di cronaca, ma sia finalmente considerato una questione cruciale, centro di un impegno politico che nasce dalla piena consapevolezza che tutto questo è violazione dei diritti umani, che le numerose forme di controllo e di annientamento delle donne sono il prodotto mortifero della cultura patriarcale che continuiamo a coltivare e a diffondere a piene mani, uomini e donne.
Guardiamoci dentro e iniziamo, partendo da noi, un viaggio, lungo, certamente faticoso e doloroso, per sbarazzarci di quel senso di oppressione e di ineluttabilità. Indubbiamente non avremo risultati visibili nell’immediato, ma quanto meno ci saremo liberate da una serie di scorie eredità di secoli in cui i nostri corpi sono stati campi di battaglia, oggetto di ogni tipo di sfruttamento, crimine, puro dominio indiscusso maschile, che tuttora molti uomini si sentono legittimati ad agire, un diritto e in alcuni casi un dovere di “piegarle per rieducarle”.
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