È una storia di stalking, di una ossessione che ha alla base il solo desiderio di possesso della donna, un oggetto che ha l’ardire di insubordinarsi e di negarsi, è la descrizione di una escalation di violenza che giunge a “Ma preferisco saperti morta che con un altro”. Questo brano mitizza un punto di vista, gli atti di uno stalker, di un uomo violento che sta per mettere in atto un femminicidio, dipingendone l’autore come povera vittima di una donna che racconta bugie e lo mette nei guai denunciandolo.
In questo quadro stride la parola “cuore” perché alla base di tante tragedie, che finiscono col togliere la vita ad altrettante donne, c’è la violenza machista, quella messa in campo quando si nega a loro la libertà di scegliere la fine di una relazione ossessiva e violenta. Come si evince dal brano in questione, “tu fai la scema in giro ma in segreto sei mia”, è resa evidente la negazione di questa libertà in nome di un legame basato sull’idea della proprietà esclusiva della donna.

“3 messaggi in segreteria”, con il suo epilogo annunciato, rischia di plasmare tanti emuli perché ora si sentirebbero anche ben rappresentati in un brano di un rapper, che ha un gran seguito. E noi che lottiamo contro questi modelli negativi, non possiamo permettere che vengano veicolati certi messaggi, senza preoccuparci delle loro conseguenze. Noi non vogliamo che altre donne perdano la vita, che gli venga strappata, che “fugga via dai loro occhi”, come si augura il protagonista del brano. Noi non vogliamo che la violenza venga raccontata come qualcosa di normale in un rapporto, come un modo per obbligare una donna ad amarti, come se l’unica conclusione possibile sia l’annientamento e la morte della donna quando decide di sottrarsi a questo incubo, che amore non è.
Fermiamo questa carneficina messa in musica, questa strage rappata di donne. Fermiamo questo treno in corsa, cambiamo le parole, il racconto, l’immaginario, i modelli, la cultura, partendo anche dalle canzoni, che hanno un impatto enorme visto il potenziale di diffusione.
Conseguentemente chiediamo alla casa discografica Carosello Records di prestare maggiore attenzione a questo suo prodotto, perché il linguaggio, e a maggior ragione quello contenuto in un brano musicale, può diventare un veicolo di effetti pericolosi, incontrollabili. Sappiamo quanto complessa e lunga sia la battaglia per la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne, chiediamo che anche l’industria discografica faccia la sua parte.
Purtroppo il testo di Emis Killa è esplicitamente un modello negativo. La realtà della violenza la si può raccontare, ma non in questo modo. Se l’autore avesse combinato il punto di vista dello stalker con un narratore fuori campo, inserendo qualcosa che evidenziasse che questo non è un comportamento normale, il risultato sarebbe stato diverso. Invece non c’è traccia di condanna, il brano rischia di alimentare un immaginario nocivo.
Per questo motivo chiediamo alle radio di non trasmettere questo brano, di non farsi mezzo di propaganda per messaggi tanto devastanti, di dimostrare solidarietà nei confronti delle tante donne che subiscono violenza e di rispetto nei confronti di quelle donne che non possono più parlare perchè ammazzate come conclude la canzone.
Servono a poco tutte le campagne o gli interventi educativi contro la violenza, se poi si passano in radio simili brani. La vita delle donne appartiene solo a loro, nessun uomo deve strappargliela.
Insegniamo un altro genere di relazioni, fondate sul rispetto e non sull’abuso e il sopruso.
Questi messaggi e la cultura che trasmettono vorremmo rispedirli all’autore, affinché impari un uso diverso delle parole, perché esse non diventino mai assassine.
Qui la nota originale del gruppo.