L’Europa, lo abbiamo visto nella recente risoluzione del Parlamento, parla di conciliazione in termini di tempo sufficiente da dedicare allo sviluppo personale, quindi dei tempi di lavoro che lo consentano. L’Europa parla di conciliazione come una serie di misure modulari che coprano e si adattino alle esigenze di ciascuno e alle varie fasi della vita.
Conciliazione come concetto e problema ampio. Lotta alle discriminazioni, alle disparità, alla povertà, alla precarietà. Conciliazione in Europa significa condivisione delle responsabilità dei compiti di cura e domestici. Quindi politiche che coinvolgano uomini e donne.
Non c’è un discorso che privilegi una fascia d’età o di reddito, l’approccio deve ricomprendere tutti, “La conciliazione tra vita professionale, privata e familiare deve essere garantita quale diritto fondamentale di tutti”.
Creare dei privilegi definendo chi usufruisce delle misure e chi no, denota uno sguardo chiuso. Le risorse sono poche, ma se guardiamo attentamente, non possiamo continuare con bonus destinati solo alle madri, voucher baby sitter o nidi che non servono e non sono realistici con i costi reali di questi servizi, sconti fiscali per prodotti per la prima infanzia.
Dobbiamo puntare a misure che incentivino la partecipazione delle donne al lavoro, che le aiutino a entrare, restare, rientrare, che incentivino la condivisione, altrimenti lo stereotipo della donna che ha il carico totale dei compiti di cura non si allevierà. La conciliazione non è solo “questione da donne”, per questo dobbiamo parlare anche di condivisione.
Dobbiamo pensare che i compiti di “care” sono molteplici e non necessariamente legati a un figlio. Se facciamo politiche di conciliazione con la sola ottica dell’incremento delle nascite siamo fritti. L’approccio l’ha indicato l’UE, benessere, qualità della vita, approccio modulare per tutte le fasi della vita, abbattimento delle discriminazioni per chi si prende i congedi, sostegno alle madri single, attenzione ai compiti di cura per familiari anziani o malati, contrasto alle discriminazioni per persone LGBTI, lavorare per retribuzioni paritarie, rendere le donne indipendenti economicamente. Tutto questo fa bene al PIL, alle aziende e all’andamento demografico. Ma prima di tutto c’è l’attenzione al giusto equilibrio vita-lavoro.
Il problema della conciliazione non lo si può far coincidere con la prima infanzia, come se una volta superati i 6 anni la strada sia in discesa e non ci fossero più ostacoli. Quando si parla di cicli di vita significa ragionare su politiche che coprano l’intero arco dell’esistenza, in cui i compiti di cura variano.
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