25 novembre, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Secondo gli ultimi dati Istat 2015 (sul 2014 – doc 1 e doc 2 ) “sono 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri.
I partner attuali o ex commettono le violenze più gravi. Il 62,7% degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente. Gli autori di molestie sessuali sono invece degli sconosciuti nella maggior parte dei casi (76,8%).
Emergono importanti segnali di miglioramento rispetto all’indagine precedente: negli ultimi 5 anni le violenze fisiche o sessuali sono passate dal 13,3% all’11,3%, rispetto ai 5 anni precedenti il 2006. Ciò è frutto di una maggiore informazione, del lavoro sul campo ma soprattutto di una migliore capacità delle donne di prevenire e combattere il fenomeno e di un clima sociale di maggiore condanna della violenza. Vedremo come questo può innescare “reazioni di resistenza” da parte di alcuni uomini.
È in calo sia la violenza fisica sia la sessuale, dai partner e ex partner (dal 5,1% al 4% la fisica, dal 2,8% al 2% la sessuale) come dai non partner (dal 9% al 7,7%).”
I numeri ufficiali non testimoniano adeguatamente cosa accade, perché ancora tante violenze restano sommerse, mai denunciate. Quel miglioramento non significa che stiamo meglio, visto il numero di femminicidi, di violenze indirette sui figli, di donne che non vengono aiutate sino in fondo, nonostante le denunce. Eppure denunciare è l’unico modo per iniziare a uscire dal silenzio e dal tunnel della violenza. Dobbiamo aiutarle a liberarsi dalle catene di partner che le controllano ed esercitano ogni tipo di violenza su di loro.
Il 25 giugno 2012, Rashida Manjoo, relatrice speciale dell’ONU, nella sua presentazione del rapporto sugli omicidi di genere ha affermato: “Culturalmente e socialmente radicati, (questi fenomeni) continuano ad essere accettati, tollerati e giustificati, e l’impunità costituisce la norma (impunità anche da parte delle isituzioni, attraverso azioni o omissioni dello Stato, ndr). (…) Le donne che sono soggette a continue violenze, che sono costantemente discriminate, è come se vivessero sempre nel “braccio della morte”, con la paura di essere giustiziate.” Una condizione che è trasversale, per cultura, nazionalità, religione e status. Il termine femminicidio lo dobbiamo alla parlamentare femminista messicana Marcela Lagarde: una forma estrema di violenza di genere, come violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine. Perché c’è ancora un problema di fondo: per molti le donne non sono esseri umani a tutti gli effetti. Deumanizzarci è una delle vie attraverso la quale si legittima la violenza nei nostri confronti. L’oggettivazione è una forma particolare di deumanizzazione, attraverso cui possiamo essere trattate come oggetti, strumenti e merci. Chiara Volpato, nel suo “Deumanizzazione – come si legittima la violenza“: “l’oggettivazione delle donne contribuisce al mantenimento dell’ineguaglianza tra i generi e alla diffusione di atteggiamenti e comportamenti sessisti. L’esposizione a immagini mediatiche che oggettivano le donne influenza i giudizi sulle donne in generale e causa una più accentuata tolleranza degli stereotipi di genere, del mito dello stupro (le donne provocherebbero lo stupro con il loro comportamento), delle molestie sessuali (…).” Pensiamo al bombardamento di immagini e messaggi oggettivanti, al porno ecc.
Questa mentalità è all’origine dello sfruttamento sessuale delle donne in prostituzione.
Continua la lettura su Mammeonline.net
http://www.mammeonline.net/content/violenza-contro-le-donne-come-vivere-nel-braccio-morte
Rispondi