La storia di Paola, di Mohamed e di tutti i braccianti che hanno perso la vita nei campi ci riporta alla realtà, ci costringe a guardare in faccia cosa sia il lavoro in agricoltura, oggi, 2015, Italia.
Nonostante ennemila leggi sul lavoro, sulla sicurezza, sui contratti. Nulla sembra scalfire il vuoto di tutele e il caporalato che affliggono l’agricoltura made in Italy, dai pomodori alle olive. Perché fare agricoltura non è fare l’imprenditore agricolo. Ricordiamoci il sudore di chi nei campi ci lavora sul serio. Non è l’orticello borghese sul balcone o il giardino pensile pensato da qualche architetto e venduto caro. Stiamo parlando di un sistema che si regge in gran parte solo grazie alle sovvenzioni europee, composto da tanti italiani che figurano come braccianti ma non hanno mai toccato una zolla di terra, gente che riceve tot euro dall’UE per ogni pianta presente nel suo appezzamento. Ci sono interi campi che vengono piantati e poi non si procede nemmeno alla raccolta, perché sarebbe troppo oneroso. L’agricoltura ha spesso questo volto: semino, ma non raccolgo, tanto mi basta dimostrare che coltivo. Fiumi di denaro che arrivano sì, ma evidentemente nelle tasche sbagliate. Non faccio fatica a chiamarli criminali, perché le morti e lo sfruttamento neo-schiavista sono questo. Ci sono caporali e caporale: non ve li immaginate come personaggi alieni. Nella vita di provincia sono il gancio per racimolare qualche soldo, naturalmente senza nessun tipo di sicurezza e di garanzia. Prendere o lasciare. Per molti questa è considerata una cosa normale, inevitabile, per qualcuno sono anche dei benefattori. Ci sono anche “caporali” mogli di professionisti, gente che gestisce il patrimonio terriero di famiglia, insomma un tessuto umano variegato. In paese godono di tutto il rispetto e la stima possibili. Ne conosco di casi, di persone che hanno usufruito di tutti i sussidi sociali possibili, i cui mariti professionisti affermati sono fieri di andare in giro a dire che non si possono pagare tutte le tasse, che è un salasso ingiusto. Gente che si muove benissimo tra le maglie di leggi e di regolamenti pieni di scappatoie. Ci sono caporali italiani e stranieri. Alcuni lavorano a stretto contatto con le cooperative agricole, perché la rete è essenziale, in questo l’organizzazione non manca. Ci si muove anche semplicemente tra conoscenze. Son coloro che figurano con un reddito quasi inesistente, fanno manbassa di agevolazioni statali, niente tasse, niente contributi per la scuola, semi-sconosciuti al fisco. E poi ci sono coloro che per una manciata di euro si spaccano la schiena e rischiano di morire nei campi. A loro non resta molto, ma in certi contesti non ci sono alternative e ci si adatta. La storia di Paola ha risposto a tutti coloro che cianciano e sostengono che il lavoro c’è, basta sacrificarsi. Paola quel sacrificio lo ha fatto, ma chiediamoci a che costo. Paola che non vedrà mai crescere i suoi figli, lei come tanti altri che sono considerati semplicemente degli strumenti di un’agricoltura che non è mai maturata e non si è mai affrancata da metodi disumani e schiavistici. Da Andria a Ragusa, a Nardò, lungo il nostro stivale, per tutte le donne e gli uomini sfruttati, vittime di violenza o che hanno perso la vita in questo inferno che è l’agricoltura A.D. 2015.
Non è il km0, il bio o le mele DOP coltivate lungo l’autostrada, queste sono solo le ultime forme imbellettate e narcisistiche di un’agricoltura in asfissia totale: di regole, di rispetto dei diritti umani e di onestà. Questa è la nostra brutta Italia, questa nell’anno di EXPO che parla di cibo. Un cibo ripieno di violenza. In un silenzio indifferente, rotto solamente quando ormai non c’è più nulla da fare. E dopo poco si continua, facendo finta di niente. Mai come in queste occasioni ci sta un: “che paese di m*!”
La nostra indifferenza mantiene in piedi un sistema criminale e bastardo, che pensa che qualcuno sia più sacrificabile di altri. Agli sfruttatori dico: quei soldi di cui vi riempite le tasche sono pieni di sangue e quel cibo che producete pure. Vigliacchi che poi inneggiate al “sano” e solidale made in Italy!