A rischio di sembrare troppo teorica, scrivo questo pezzo, per parlare di relazioni, di patriarcato e di gerarchie. Scrive Sarah Hrdy:
“Se l’empatia e la comprensione si sviluppano solo in base a particolari condizioni educative, e se un numero sempre maggiore di specie non riesce a trovare queste condizioni e, ciò nonostante, sopravvive solo per riprodursi, non conterà quanto sia stato prezioso, in passato, favorire la collaborazione. La compassione e il bisogno di relazione a livello emotivo di affievoliranno, esattamente come la vista del pesce cieco delle caverne.”
All’origine di tutto è la creazione di un ordine gerarchico, che si basa sulla frantumazione del nostro io e del rapporto mente-corpo, scoraggiando anche relazioni sane tra individui che sbarrerebbero la strada a un sistema verticistico. Anziché avere un sistema di relazioni orizzontali, democratiche, dove ogni parola e contributo hanno cittadinanza, si tende a spezzare la capacità di sentire l’altro, di accogliere. È un processo tipico del patriarcato, che tende a impiantare mentalità innaturali, schiacciando la dignità dell’essere che sembra non avere più spazio e viene marginalizzata, in funzione e nel nome di una costruzione estranea, a un obiettivo, a una causa sempre più lontana. Spesso ci capitano delle situazioni in cui non siamo in grado di dire con le nostre parole cosa stia accadendo, non sappiamo cosa sia, ma dentro di noi vediamo chiaramente che è un qualcosa che ci fa male. Quando parlavo di voce autentica, mutuando un concetto più volte ribadito da Carol Gilligan, mi appellavo a un rivendicare una ribellione non solo teorica, ma soprattutto pratica, nel nostro quotidiano, verso tutte le forme di scissione, di schiacciamento a cui è soggetto il nostro essere, la nostra coscienza, la nostra essenza. Voce che arriva ad essere autentica se riesce a porsi le giuste domande, senza tralasciare risposte o posizioni scomode.
Recuperare relazioni fondate sull’empatia è la chiave. Molti studi antropologici hanno sottolineato che il progresso umano è stato reso possibile grazie alla collaborazione di tutti i membri del gruppo sociale, del clan ecc. La nostra resilienza deve portarci in questo senso, a riscoprire e a ri-praticare formule di vita solidali, che non ci imbavaglino in un intricato e incomprensibile sistema di relazioni opportunistiche, a ciclo chiuso e autoreferenziale. Impariamo a non farci imbrigliare in sistemi verticali di potere (economici e sociali), dove qualcuno è sacrificabile perché si trova a un gradino inferiore della scala gerarchica. Nessuna voce è sacrificabile. Nessuno ci è estraneo.
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