Nuvolette di pensieri

Mormora l'acqua del ruscello

Cosa accade quando il femminismo diventa fashion?

su 6 Maggio 2015

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Meagan Tyler, coautrice di Freedom Fallacy: The limits of liberal feminism, ci parla delle conseguenze che possono nascere da un femminismo che diventa una moda del momento. La mia traduzione per voi (QUI l’originale).

 

Il femminismo è tornato di moda. Per quanto la spinta a rivendicare la “F-word” si sia intensificata, personaggi pubblici, enti e gran parte dei media mainstream hanno instillato una versione annacquata del femminismo nella coscienza popolare. Si tratta di un femminismo che non cita mai la liberazione delle donne, bensì opta per la celebrazione della Scelta.
Se si legge un qualsiasi articolo sul femminismo, i commenti presto finiranno per convogliare su un dibattito sulla scelta. Non importa quale sia l’argomento, le persone sono pronte a riformulare la questione come se concernesse l’empowerment e il diritto di scegliere delle donne. Ciò fornisce un efficace diversivo al parlare delle strutture di potere più ampie e delle norme sociali che limitano le donne, in molti modi diversi, in tutto il mondo.

È stato un grande mese per il “femminismo della scelta”. Lo scorso marzo, il fashion magazine Vogue ha lanciato il video “My Choice” in India, come parte della sua campagna, che praticamente ha ridotto l’emancipazione delle donne a tutta una serie di scelte.

 

 

Il video è subito diventato virale, e come fa notare il giornalista Gunjeet Sra (qui), l’ipocrisia di “un’industria che si basa sul feticismo, oggettiva e rafforza gli stereotipi sessisti sulla bellezza delle donne”, la presupposta promozione del femminismo, è passata in gran parte inosservata.

Questo marchio liberale del “femminismo della scelta” è stato poi seguito nella sua logica, benché assurda, conclusione quando un democratico liberale candidato alle prossime elezioni in Gran Bretagna ha cercato di spiegare i filmati che lo ritraevano in uno strip club (qui). A quanto pare, rientrava tutto nella sua missione femminista per aiutare “le donne a compiere scelte legali, senza giudicarle” (qui).
Anche Playboy ha recentemente (qui) deciso di puntare sui principi migliori della teoria femminista, e sono usciti con il diritto della donna ad essere sottoposta allo sguardo pornografico. Che chiarmente rientra pienamente nel business plan dell’azienda.
Sono accadimenti simili, argomenti banali come parlare di Beyoncé femminista, o se i politici uomini debbano indossare This is What a Feminist Looks Like T-shirts, che hanno ispirato la nuova raccolta di scritti femministi: Freedom Fallacy: The limits of liberal feminism.
Nel libro, di cui sono co-autrice, sono raccolte le riflessioni su 20 differenti temi che sono diventati oggetto del “femminismo della scelta”: dalla pornografia, alla prostituzione, dalle mutilazioni genitali femminili, dalle riviste femminili al matrimonio, alla violenza sessuale. Partendo da una serie di punti di vista diversi, ciascuna di noi analizza criticamente la “scelta”, come se fosse l’arbitro ultimo della libertà delle donne.
Molti di noi sostengono che l’avvento di questo pop-feminism sia in realtà più insidioso di ciò che vuole suggerire la presa in giro della sciocca frase “I choose my choice” (ho scelto la mia scelta).

Prima di tutto, le argomentazioni della scelta sono fondamentalmente errate perché presuppongono un livello di libertà per le donne che semplicemente non esiste. Sì, noi facciamo delle scelte, ma queste sono costantemente vincolate e plasmate dalle condizioni diseguali in cui viviamo. Avrebbe senso solo celebrare acriticamente la scelta in un mondo post-patriarcale.

In secondo luogo, l’idea che più scelte automaticamente corrispondano a una maggiore libertà è una falsità. Nei fatti si tratta di contrabbandare il neo-liberismo con un tocco di femminismo. Sì, le donne oggi possono lavorare o stare a casa se hanno figli, per esempio, ma questa “scelta” resta abbastanza priva di sostanza, se alla fine l’educazione dei figli resta un “lavoro da donne”, non vi è un supporto statale sufficiente per i servizi all’infanzia, e le donne senza figli continuano ad essere considerate egoiste.

In terzo luogo, l’attenzione sulle scelte delle donne, come essenza e fine ultimo del femminismo, ha portato a una sorta di perversa vittimizzazione e distrazione dai problemi reali che le donne devono affrontare. Se non sei soddisfatta di come stanno andando le cose, non incolpare la misoginia e il sessismo, il pay-gap, i ruoli di genere radicati, la mancanza di rappresentanza delle donne nelle istituzioni o nei consigli di amministrazione, o l’epidemia di violenza contro le donne. La colpa è solo vostra. Evidentemente avete compiuto la scelta sbagliata.

Come sottolinea nel suo capitolo (QUI) Freedom Fallacy, la sociologa Natalie Jovanovski, non sorprende che questo tipo di femminismo liberale sia salito alla ribalta. Privilegiando la scelta individuale più di ogni altra cosa, non permette di contestare lo status quo.
Non richiede significativi cambiamenti sociali, e mina efficacemente la necessità di azioni collettive. In sostanza, non vi si chiede nulla e non vi offre nulla in cambio.

Al posto della resistenza, oggi abbiamo attività che una volta venivano annoverate sotto l’archetipo della subordinazione delle donne, oggi figurano come scelte personali liberatorie. Le molestie sessuali possono essere rilette come battute innocue che le donne possono trovare gradevoli. Il matrimonio è ricostruito come innamoramento pro-femminista. La plastica vaginale è vista come una utile valorizzazione estetica. La pornografia è rimarchiata come emancipazione sessuale. L’oggettivazione è il nuovo empowerment.

Invece di parlare di una visione per un futuro più equo, ci ritroviamo con una visione ripiegata su se stessa, discussioni futili se singole donne sono o meno delle “cattive femministe”. O come lo ha definito la giornalista Sarah Ditum, il gioco “puoi essere una femminista e…”. Come se il vero problema del progresso delle donne consista nell’essere più o meno conforme a un leggendario ideale femminista.
Attraverso l’individualismo del “femminismo della scelta”, quando le donne criticano alcune industrie, istituzioni o strutture sociali, si scontrano spesso con l’accusa di attaccare le donne che vi partecipano. L’importanza di un’analisi a livello strutturale si è quasi completamente persa nel pensiero femminista “pop” (popular).
A titolo di confronto, sembrerebbe abbastanza ridicolo suggerire che per criticare il capitalismo un marxista attaccasse i lavoratori. Allo stesso modo sembra molto strano suggerire che criticando le grandi case farmaceutiche si odi chi vi lavora dentro. O che coloro che mettono in discussione la nostra dipendenza culturale dai fast-food lo fanno per i bambini seduti dietro i banconi del McDonalds.

Ultimamente, la promozione della “scelta” – e il mito di parità già raggiunto (qui) – ha ostacolato la nostra capacità di sfidare le istituzioni che vogliono riportare le donne indietro. Ma la lotta non è finita.
Molte donne stanno ribadendo che il femminismo è un movimento sociale necessario per l’uguaglianza e la liberazione di tutte le donne, non solamente una serie di luoghi comuni sulle scelte di alcune.


6 responses to “Cosa accade quando il femminismo diventa fashion?

  1. Paolo ha detto:

    evidentemente sono un liberale, ma credo nella scelta e sì credo anche nel matrimonio inteso come due persone innamorate che si scelgono reciprocamente. e si credo che una donna possa “essere femminista e..”

    ogni scelta (felice o infelice) che facciamo è immersa in un contesto, senza la società e la cultura moriremmo (quindi anche quella è nella nostra “natura”) ciò non di meno è nostra
    certamente si deve operare per migliorare le circostanze in cui avvengono le scelte, ad esempio combattendo il mobbing contro le lavoratrici incinte e l’obiezione di coscienza negli ospedali pubblici

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  2. […] discute molto della “libera scelta” delle donne. Questi paladini della libertà ci raccontano di quanto sia importante difendere il diritto delle […]

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  3. […] Cosa accade quando il femminismo diventa fashion? mag […]

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  4. Andrea Bianchi ha detto:

    La libertà di scegliere è il fondamento del femminismo. La questione posta è corretta. Davvero questa libertà esiste? Davvero indossare un burqua piuttosto che i tacchi alti, l’avere figli oppure no, lavorare o rimanere in casa è una libera scelta? E quali sono le “costrizioni” e le costruzioni culturali prima che materiali (ma anche materiali, eccome!) che rendono alcune di queste scelte delle vie obbligate?
    E’ questo il nocciolo della questione, che questo post centra in modo piuttosto efficace.
    Meditiamo? E agiamo di conseguenza?

    Piace a 1 persona

    • Paolo ha detto:

      andrea sono tutte scelte da rispettare ma vorrei concentrarmi su una: mettere i tacchi è una scelta libera, può esserlo anche il burqa ma c’è una differenza: una donna che non mette i tacchi non viene chiamata puttana dalla sua stessa famiglia, non viene ripudiata o uccisa dai suoi stessi parenti quindi non metterei tacchi e burqa sullo stesso piano. Mi spiace ma le culture non sono tutte uguali e a costo di essere eurocentrico, coloniale ecc..dico che la cultura laica occidentale è la più libera tra quelle esistenti

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  5. Paolo ha detto:

    ma perchè mai la scelta di una persona adulta di sposarsi per amore non può essere femminista? Una donna che si sposa per scelta è emancipata quanto una donna che non vuole farlo, e vale lo stesso per il porno e per tutto il resto: se tutti sono adulti e consenzienti non c’è problema. Le modelle di Vogue e i modelli maschi non sono “oggettificati”, sono persone che lavorano in maniera legittima quanto chi fa un altro mestiere. La sensualità e il sex appeal maschile e femminile è una cosa umana e bellissima, non è degradante di per sè. Per come è usata in crte pubblicità può essere degradante ma non lo è al cinema e nei telefilm che raccontano l’umano

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