Riflettevo nel mio post su quale potesse essere l’origine del comportamento dell’uomo che cerca di sottomettere e controllare il corpo della donna, la sua vita, le sue capacità riproduttive. Sempre facendo riferimento al tentativo dell’uomo di superarsi e di trascendere se stesso, l’uomo cerca di dominare in primis la Natura, creando strumenti sempre più sofisticati per l’agricoltura, poi gli altri uomini e infine la donna (psicanaliticamente dipinta come il soggetto alienato per eccellenza). Riprendo Engels. C’è un momento in cui, in una divisione primitiva del lavoro, agricoltura e lavoro domestico si equivalevano e concorrevano in egual misura al benessere del gruppo. A un certo punto, il passaggio a forme di produzione e di economia più complesse, che esigevano una forza maggiore, ha creato di fatto l’esigenza di avvalersi dei servigi di altri uomini. L’uomo diventa padrone di terre e di altri uomini, generando di fatto la proprietà privata. In questo possesso rientra naturalmente anche la donna. Il lavoro domestico diventa un di più di scarso valore, in una società in cui il lavoro dell’uomo invece assume un ruolo primario. Il diritto paterno sostituisce quello materno: si tramanda il potere (e le proprietà) di padre in figlio, non più dalla donna al suo clan. Si chiama modello patriarcale. Il materialismo storico non spiega a sufficienza come avvengono i passaggi che abbiamo citato, dandoli quasi come dati di fatto, come ad esempio il legame d’interesse che lega l’uomo alla proprietà privata. Così come non si comprende come mai nel pensiero socialista, grazie all’integrazione delle donne nella produzione, si avrà un superamento della sottomissione del genere femminile, che verrà assimilato nella categoria “lavoratori”. Sul fallimento (ne avevo già parlato qui a proposito di alcune argomentazioni di Simone de Beauvoir) della strategia femminista che identifica il lavoro retribuito come la via per la liberazione delle donne tornerò in un altro post.
Per colmare il vuoto sulle cause originarie, occorre utilizzare quel ragionamento che avevo introdotto nel post La Natura, l’Altro e l’Altra. Per comprendere è necessario ripescare l’idea di un soggetto che voglia imporsi come individualità autonoma, cercando se stesso in una forma estranea che fa sua, alienandosi in essa. Il territorio che egli conquista e fa proprio attraverso i suoi strumenti diventa di una importanza immensa, perché in esso ritrova se stesso. Ma per spiegare la sottomissione della donna dobbiamo aggiungere un altro tassello. Se i rapporti umani fossero da sempre stati contraddistinti da un tipo di associazione amichevole, non ci sarebbe stato nessun asservimento. Simone de Beauvoir, parla di “imperialismo insito nella coscienza umana, che cerca di realizzare nell’oggetto la propria sovranità”. Era il discorso sul predominio sull’Altro che facevo nel mio post. Quindi non è lo sviluppo tecnologico a spiegare da solo il processo di sfruttamento. Engels non approfondisce il carattere speciale dell’oppressione delle donne, riducendo le disparità tra i sessi a un mero conflitto di classe. Nella scissione tra le classi non ci sono questioni biologiche, l’operaio oppresso prende coscienza di sé contro il padrone, sperimentando da sempre il conflitto che può portare a invertire la situazione: “il proletariato mira a sparire come classe”. “La donna non vuole abolirsi come sesso”, ma cercare di eliminare le conseguenze negative di una differenza sessuale che ha invaso ogni ambito della sua vita, impedendone uno sviluppo pieno e pregiudicandone il libero godimento.
to be continued