Interrompo la mia pausa estiva, per scrivere questo post. Concordo con la ricostruzione fatta qui da Eleonora Cirant e mi preme spendere due parole su alcuni punti. L’oppressione non è mai passata, la condizione della donna è tuttora ingabbiata in ruoli umani fissi, inferiori, subalterni, culturalmente e socialmente visti come perdenti. La differenza biologica è propagandata sulla base di una scontata inferiorità della femmina rispetto al maschio, e questa manipolazione avviene lentamente, per tutto l’arco educativo che porta i bambini a diventare adulti. Così appare ancora viva e vegeta una certa suddivisione dei valori vincenti “maschili” (potere, aggressività, autorità, forza) rispetto a quelli perdenti (seppur necessari e strumentalizzati dall’uomo, subordinazione, dedizione, dolcezza, altruismo, spirito di sacrificio) tradizionalmente etichettati come appannaggio dell’universo femminile. Questa suddivisione in ruoli di genere è tuttora viva e vegeta e adoperata per organizzare la nostra vita sociale e adattare, incasellandoci, le nostre esistenze a un sistema socio-economico ben preciso. Pertanto, non mi sembra che culturalmente siamo così progrediti dal poter fare a meno di un dibattito collettivo sul tema oppressione. Basterebbe questo punto per giustificare la necessità di un movimento delle donne, oltre ai chiari e precisi richiami storici e alle lucide argomentazioni della Cirant. Ma ne voglio aggiungere un altro: lo sfruttamento. Mi direte che non ha confini di genere, ma per la condizione femminile, esso acquista dei significati e delle caratteristiche peculiari: che vanno da quelle legate agli aspetti biologici – sfruttamento sessuale, emotivo-psicologico (connessi al ruolo di cura, di madre, moglie, altri, che portano sempre a mettere al secondo posto i propri desideri), procreativi (piacere, contraccezione, aborto, maternità) a quelli tipici dello sfruttamento economico e classista dei lavori fuori dalle mura di casa. In tutto questo magma che tende a mantenere il ruolo delle donne subordinato, schiacciato verso il basso (lo si può notare anche nelle differenze salariali), oppresso e utilizzato all’occorrenza, sempre in funzione dei bisogni e delle finalità maschili, c’è ancora molta strada da compiere. Perciò, ritengo che questo sguardo falsamente orientato all’umanità tutta, sia pericoloso. Perché se al movimento delle donne sostituiamo un confuso movimento con velleità generaliste o generiche, rischieremo di affidare la soluzione di tutte queste questioni che ancora affliggono le donne a un indistinto genere umano, che guarda caso potrebbe essere maschile, con risultati ovvi. Non abbiamo bisogno di fare squadra noi donne? Meglio abbandonarsi ai progetti paternalistici che gli uomini potrebbero essere in grado di forgiare per noi? Vogliamo essere docili ancelle pronte all’uso? Preferiamo emulare gli uomini per avere anche noi una fetta di torta? No grazie, per quanto mi riguarda. Così come non mi affido a presunte sacerdotesse o presunte paladine femministe, ma preferisco essere parte attiva e non passiva del cambiamento necessario. La storica pratica dell’affidamento mi va stretta e per favore non riproponeteci una brodaglia indigeribile già alle origini (anni ’80). C’è troppa gente che lucra sopra al femminismo, ma il movimento è nostro, di tutte noi, all’unisono e siamo ancora qui, nonostante qualcuno cavalchi altre onde e ci dia per vecchie streghe e carcasse ideologiche di un tempo passato. Il movimento è più vivo che mai, con le nostre anime piene di nuove idee e di energie! La politica delle donne deve partire da sé, in un percorso di scoperta personale senza dover subire imboccate altrui. Ognuna deve attraversare il tortuoso percorso che porta a una vera conoscenza/coscienza di sé, scevra da sovrastrutture che non sono scelte, ma interpretazioni coatte. La presa di coscienza non è data per sempre, ma è un percorso che va tenuto vivo, di generazione in generazione. Il dibattito va mantenuto vivo. Il movimento è plurale, pulsante di mille diverse modalità per cercare di trasformare la nostra realtà. Negare i conflitti tuttora in atto significa voler mettere la polvere sotto il tappeto, pacificare artificialmente contraddizioni che non sono affatto risolte. Mi sembra che sia stata cancellata dalla nostra memoria la teoria della differenza, che ha fatto parte dei principali fattori di innesco di tutto il movimento delle donne. Mi sembra che si debba sempre ripartire da zero, spiegando l’abc, come se si fossero archiviati decenni di riflessioni e di passaggi fondamentali. Vi consiglio questo articolo di Žižek, che anche se parla dello stato delle nostre democrazie occidentali malandate, tocca da vicino un tema che riguarda questo mio post. Il bombardamento di ‘libere scelte’ imposte da altri, molto spesso si rivela portatore di bavagli pericolosi. Spesso le scelte che ci sembrano frutto di una nostra libertà sono solo il risultato di una manipolazione esterna, che frena il vero cambiamento e ci rende schiavi inconsapevoli di un sistema decisionale al di sopra delle nostre teste. Ci fanno pensare che siamo libere e che il peggio è passato, per inscatolarci meglio nei ruoli che più rendono agevole il controllo e lo sfruttamento economico, sociale ed emotivo. Ci vendono delle libertà preconfezionate e predigerite, studiate apposta per renderci mansuete e soddisfatte. Molte di noi ci cascano e prendono al volo l’esca. A proposito di libertà femminile, vi consiglio alcune considerazioni che Simone de Beauvoir faceva nel corso di un’intervista del 1976, qui un estratto (Quando tutte le donne del mondo.., Einaudi, pag 159-160, 166-167).
Ho come la sensazione che dietro queste trovate di comunicazione, come le antifemministe, ci sia solo la volontà di strumentalizzare le donne, di mettere le donne contro altre donne. Come ho già detto in passato, ci preferiscono disunite, spaccate, per non perdere il controllo su di noi. Chiamateci come volete, non sono le etichette a qualificarci, a dare spessore alle nostre battaglie, a dare forma alle idee del nuovo mondo che vogliamo, non solo per noi, ma per tutt*. Sia chiaro: nuovi equilibri, nuove dinamiche nei rapporti tra i generi, tra i sessi porterebbero giovamento a tutt*. Se il movimento fa ancora paura o ci considerano pericolose è un buon segno. Come dice la Cirant, non sono riusciti a normalizzarci. Evidentemente il nostro percorso storico, ci ha rese particolarmente sensibili, all’erta contro ogni tentativo di omologazione all’esistente e di strumentalizzazione. Sarà un caso che adoro i gatti neri? 🙂