Ci sono incontri e casualità che mi portano a pensare. Qualche giorno fa alla Ladyfest ho incontrato Daniela Pellegrini. Quando la senti parlare capisci che la pasta di cui è fatta è preziosa, che le sue parole e i suoi pensieri sono stati il frutto di anni di riflessione, di letture e di confronti/scontri. Lei che già negli anni ’60 aveva intuito la necessità di superare il dualismo sessuale o sessuato (basato sui ruoli attribuiti attraverso la cultura) maschio/femmina e in generale in ogni contesto umano.
“Bisogna uscire dalla relazione/scissione del ‘due’ ed entrare in una terza posizione. La terza posizione sta a significare un ‘relativo plurale di ogni differenza’, e perciò di ogni ‘parzialità’ di soggetti e soggettività”.
Qualche giorno fa mi trovavo in biblioteca alla ricerca di un libro e mi sono imbattuta nel suo lavoro Una donna di troppo (Fondazione Badaracco – Franco Angeli 2012, parte della collana Letture d’archivio curata da Lea Melandri): casualmente era appena stato acquisito dalla biblioteca rionale. Penso che non sia per caso, penso che questo testo mi sia arrivato per dirmi qualcosa.
Ho iniziato a leggerlo e subito ho avuto mille sollecitazioni, scoperte e mi sono sentita meno sola.
La sua scrittura, a volte ostica per i mille richiami al mondo dell’antropologia, della psicanalisi, di tutti i mondi di cui Daniela si è nutrita, mi ha rinfrancata e mi ha dato la misura della distanza con quel modo di costruire un movimento. Ho avuto la sensazione di quanto si fosse impoverito il movimento nel tempo. Quel lessico, quella ricerca, quella profondità e quella capacità di analisi e di approfondimento oggi sono merce rara. Tutto era curato, anche ciò che era improvvisato mostrava un livello e una capacità di profondità notevoli. C’era l’energia, la fiducia, l’istinto, la passione, mai l’urlo o la rabbia che soffoca qualsiasi riflessione.
La sua è una collezione di documenti di una vita politica, vissuta appassionatamente in prima persona, a partire dai tasselli proto-femministi dei primi anni ’60, passando per l’esplosione del Movimento delle donne, per giungere vicino ai nostri giorni. C’è, a rileggere quelle carte, la sensazione che qualcosa sia inevitabilmente mutato, ma non in una direzione utile e sperata. Così, l’emancipazione si è incanalata nell’integrazione della donna in quel mondo confezionato dagli uomini, con tutte le implicazioni e i compromessi di cui parla Daniela e da cui voleva tenersi lontana.
L’autrice tenta la ricerca e la definizione di un metodo per l’emancipazione delle donne. La prassi seguita all’epoca da numerose realtà associative prevedeva l’istituzione di particolari accorgimenti pratici al fine di inserire le donne nella società, “così com’è costituita nel momento in cui essa agisce”. Tutto questo sarebbe funzionale al superamento delle impasse dei compiti femminili che frenano l’azione extra-familiare. Al contempo si richiedono dei “trattamenti di favore”, perché al momento questi “freni” non sono ancora stati superati, ma sono riconosciute come sostanzialmente inscindibili dall’esser femmina. Insomma, la donna stretta in questa morsa non ci guadagna nulla. Ecco che la Pellegrini critica il metodo di integrazione: “significa immettere la donna nella società così com’è , di tradizione decisionale maschile, con degli accorgimenti che, non eliminando l’inconciliabilità dei ruoli prefissati, ne permettono la coesistenza nelle sole donne”. L’integrazione obbliga la donna a trovare un compromesso, a barcamenarsi tra le due dimensioni, ricavandone solo un “doppio aggravio”, con la conferma di non essere in grado di “adeguarsi al mondo maschile” e con ben poche possibilità di autodefinirsi e autodeterminarsi. Da qui la necessità di abbandonare le strutture teoriche create dagli uomini, “per valutarci libere dalle panie e limitazioni che i due poli sessuali, interpretati da altri e non da noi stesse”.
Possiamo dire che quest’analisi è tuttora molto attuale, siamo ferme. Non siamo riuscite a sviluppare inediti strumenti e chiavi di lettura, soluzioni alternative che superassero i ruoli predeterminati. Siamo state lusingate dal canto delle sirene dell’integrazione e abbiamo abbandonato la ricerca di nuove soluzioni culturali. La questione femminile non è riuscita a diventare un “problema” sociale complessivo, quella “rivoluzione ontologica” che coinvolge tutto l’essere. Ci siamo accontentate delle briciole.
Tornerò sul volume di Daniela Pellegrini, perché, come ho già detto, sono molteplici le sollecitazioni che mi ha fornito.
Ringrazio Nicoletta Poidimani per l’intervista a Daniela Pellegrini.