Il codice deontologico dei medici ti consente di incrociare le braccia se la prestazione va contro la tua coscienza o il tuo convincimento clinico, ma non ti esenta dal fornire un aiuto verbale al paziente. È bastato poco, per scatenare forti reazioni. In caso di obiezione di coscienza, è stato previsto l’obbligo di fornire informazioni per consentire la fruizione della prestazione altrove. In pratica, il medico pur se obiettore è vincolato dal nuovo codice a fornire indicazioni sulla struttura più idonea e più vicina per poter accedere alla prestazione prevista per legge, qual è l’interruzione volontaria di gravidanza (ex Legge 194).
Non regge, non regge affermare che fornire indicazioni di questo tipo significa rendersi complici di un aborto. A mio parere la nuova dicitura è pienamente in linea con quella che dovrebbe essere una buona prassi. C’è molta confusione su questo tema, tanta ignoranza e strumentalizzazione. Qui siamo davanti a una battaglia ideologica che va ben oltre il buon senso e la stessa missione del medico. Mi dispiace, ma se c’è di mezzo la salute e la libertà di scelta delle donne, non ci può essere anche il silenzio di un medico che ostacola l’applicazione di una norma dello stato. Perché si pone il problema di coscienza solo per l’embrione e non anche nei confronti di un essere umano che chiede che un suo diritto venga garantito e rispettato? Guarda caso si tratta di un soggetto, la donna, da schiacciare e da colpevolizzare. Ma aiutare mai? Imparate ad aiutare e ad ascoltare i pazienti, forse potreste diventare dei buoni medici. Dico forse, se non ci fossero di mezzo questioni pecuniarie e di carriera.
Per approfondimenti:
L’articolo di Chiara Lalli su WIRED.
La notizia su l’Unità.
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