L’unica possibilità di ottenere risultati concreti e duraturi per tutti coloro che si sentono vittime di discriminazione è data dall’appellarsi alla categoria del “morale”.
La mentalità contemporanea ultraliberale pone l’accento sulla totale libertà dell’individuo di fare come meglio gli aggrada (anche a scapito di una lesione dello speculare diritto altrui?), questo al di là di una concezione di società come unione di persone che intessono relazioni basate su paradigmi e regole implicite. Bisogna però stare attenti alle conseguenze a cui questa mentalità può portare. Se in astratto la teoria ultraliberale potrebbe essere considerata come pleonastica, in realtà essa racchiude un vizio di forma, poiché non fa alcun riferimento alla storicità della società. In altre parole considera lo stato delle cose come se fosse sempre a un punto zero, da dove partire e sviluppare “il migliore dei mondi possibili”, mentre in realtà bisogna affrontare il fatto che nella società si agisce all’interno di strutture di sudditanza storicamente affermatesi e di cui non si può far finta di niente. Non sarà certo riferendosi alla libertà dell’individuo, per quanto questa possa essere un valore reale, che si possono sostituire ai rapporti di forza esistenti, nuovi rapporti sociali, poiché è evidente che le libertà di chi si trova in una situazione di superiorità sociale avrà sempre uno spettro piu ampio di coloro che lottano per la sola sopravvivenza. Solamente la volontà di cambiare le strutture al di fuori dell’interesse personale e della propria libertà, in vista di una società essenzialmente libera (e non di una società di individui liberi) può portare all’eliminazione dei rapporti di forza così come sono sempre stati. Ma questa volontà è per forza sviluppabile in quella categoria di valori astratti legati al “giusto” e allo “sbagliato” del morale.
Per concretizzare quanto ho cercato di spiegare, poniamo l’esempio della contrattazione sul lavoro e sulla retribuzione. Ci sono indubbiamente tipologie di persone più o meno forti in sede di colloquio o quando si stanno stabilendo diritti e paga. Se si è dipendenti da una necessità impellente di lavorare, per svariati motivi (che possono andare dalla famiglia da mantenere fino all’impossibilità di avere un altra fonte di sussistenza anche solo per sé), di certo non si avrà la stessa quota di libertà e di autonomia, la stessa forza contrattuale di una persona che ha comunque le spalle coperte e che ha alternative di sopravvivenza e di vita, derivanti da rendite familiari o da altro.
La libertà ha tante misure diverse e tanti ostacoli: dobbiamo avere il coraggio di constatare questa naturale differenza e cercare di trovare soluzioni eque, che riequilibrino al meglio queste distanze, di varia origine. Per questo occorre ragionare in termini più ampi, superando la dimensione meramente individualistica. Qui entra in gioco la dimensione politica del nostro agire e del nostro pensare a soluzioni.
Aggiornamento del 19 maggio 2014
Vi consiglio questo bel post di Cristina Morini.
Mi scuserai se mi autocito:
http://idamemoria.blogspot.it/2014/01/la-liberta.html
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Ida, un GRAZIE enorme per aver arricchito il mio post 🙂
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