Ci sono cose che dovrebbero restare private, esistono desideri e aspirazioni che sono talmente delicati e deperibili alle intemperie del mondo esterno, per cui è preferibile lasciarle accucciate dentro di noi e nella sfera intima delle persone a cui scegliamo di aprirci. La distanza tra pubblico e privato spesso si assottiglia talmente, da rendere impercettibile la linea di demarcazione. Questo può legittimamente avvenire per scelta personale o perché qualcun altro interferisce e oltrepassa quel confine.
A proposito della tanto citata Maria Elena Boschi, ho letto questo post, che trovo molto condivisible, perché l’analisi sull’intervista della Boschi su Vanity Fair, avviene in modo onesto e nella misura che giudico corretta. La nostra ministra ha parlato di sé come una qualsiasi altra donna, senza un ruolo pubblico tanto rilevante, farebbe. Ma ha valicato quel confine di cui parlavo prima, rivestendo la sua sfera personale di una patina artificiosa. Le critiche che le sono state più volte lanciate sono state tipiche del nostro mondo maschilista. Ma oggi arriva qualcosa che mi sommuove. Questa intervista è posticcia, io l’avrei evitata, perché ricade nei cliché da cui dovremmo cercare di svincolarci, c’è la rappresentazione di un qualcosa che magari non si condivide affatto, un’astratta idea di focolare domestico da appiccicare alla propria vita, per dare sostegno ai messaggi che il proprio partito vuole veicolare in questa ennesima campagna elettorale. Un figlio, o addirittura tre, un compagno, una famiglia non sono degli ammennicoli da accatastare sulla propria figura per abbellimento o legittimazione sociale. Non sono nemmeno dei passatempo. E se si confonde politico-personale-campagna elettorale, il pastone indigesto è servito. Ci ritroviamo tutti gli argomenti nello stesso pentolone: bellezza, intelligenza, maternità, famiglia etero, solitudine, triade di figli, un compagno da ricercare o da fabbricare, la figura di rappresentanza politica, il partito, la politica, la società maschilista e chi più ne ha, più ne metta. La Boschi per fugare tutte le chiacchiere da bar o da parrucchiera che girano, non avrebbe dovuto rilasciare una intervista siffatta, o magari non avrebbe dovuto ascoltare i suoi guru d’immagine. Avrebbe dovuto scegliere la via dei contenuti, si sarebbe dovuta dedicare alla costruzione di un personaggio diverso da come l’hanno sinora dipinta, magari prendendo delle posizioni autonome e coraggiose su temi vicini all’universo femminile e perché no materno, alle porzioni della nostra società meno considerate e tutelate. Avrebbe potuto parlare di temi concreti, di diritti civili, di diritti di conciliazione e condivisione. Si parla tanto di quote rosa, ci aspettiamo la forza e la sensibilità necessari per sostenere e affrontare certi temi. Bisogna fare da apripista e non appiattirsi sulle solite croste a olio. Facendo così avrebbe trasmesso un messaggio più verace del suo sentire, si sarebbe smarcata da certi modelli ed etichette e avrebbe dimostrato di essere fieramente libera in un contesto di servi, amici e nominati. Sono certa che la Boschi saprà sorprendermi in futuro, quanto meno me lo auguro.
Mi aspetto troppo? È da tempo che non abbiamo delle belle donne di carattere. Vorrei un ecosistema partitico di sinistra capace di esporre chiaramente le proprie posizioni, senza balbettare sui contenuti reali dei propri obiettivi. Non possiamo fare campagna elettorale con i quadretti di Peynet, dobbiamo scendere nel profondo, parlare distintamente, mai sottovoce. Altrimenti saremo la solita polvere fastidiosa e temporanea. La Boschi per lasciare il segno deve osare e usare la sua testolina.
La politica è coraggio delle idee, non fanno storia i ripetitori a pappagallo.
Simona, ho letto il tuo articolo; la prima cosa che mi è venuta in mente è che quando ai miei tempi, senza tanti pensieri/ripensamenti/analisi, si diceva il “privato è pubblico” o “il privato è politico”, tutto sommato avevamo un privato un po’ meno sciocco e banale di quello che ci presenta la Ministra in questione e che, per un certo periodo, il privato è stato la sommatoria di diritti di cui si chiedeva garanzia e tutela.
L’esposizione banale di “desiderata” banali non va comunque disgiunta dal ruolo, pro-tempore, ricoperto dalla nostra e penso che, prima di arrivare a quello che definisci un “pastone indigesto”, sia funzionale a una vera e propria riduzione di “senso”, o significato, dei termini con cui, comunemente, si concilia il “privato femminile” e il “pubblico maschile”. Alla fine, in questa realtà trasformata ormai in un perenne reality si formerà l’opinione che “se ce la fa la povera Ministra, che è pure bella” davvero procreare “tre figli” sono una passeggiata. Il tutto si riduce a un miscuglio di fortuna, merito, sfacciataggine, compassione mosso dal “privato” e la soluzione a un miscuglio di fortuna, benevolenza, forniti dal “pubblico”, con buona pace dei diritti.
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