Leggendo questo articolo, mi è sopraggiunta un’idea. Tutto questo affannarsi a dare la colpa della cattiva informazione, a un certo modo di fare giornalismo, non porta a capire le motivazioni che sono alla base di tutto questo fenomeno di appiattimento globale.
Queste modalità e questo ingrigirsi della penna, deriva essenzialmente da due fattori: le risorse scarse dell’editoria contemporanea, con annesso oligopolio, e la graduale e inesorabile pigrizia di buona parte dei cittadini italiani: a mala pena riescono a masticare le notizie trite e condensate di un’Ansa e riportate su uno di quei quotidiani gratuiti che si leggono in metro la mattina. Da qui, la sbagliata rinuncia a priori a spiegare bene le cose.
In questo deserto dei Tartari è facile proporre la vulgata quotidiana, omologata e predigerita. L’importante è non scomodare troppo gli stomaci già ulcerosi del cittadino medio e il buon umore dei nuovi politici tutti decorosamente allineati. Chi non lo è, fa parte dei rapaci notturni, meglio definiti gufi.
Ecco che le europee sono l’ennesima prova di costruzione di una dimensione fantastica da domenica sportiva, due fazioni e nulla più. I contenuti sono latitanti, nascosti e fruibili solo da quella esigua parte che non si rassegna a consegnare il proprio cervello al capo di turno. Ogni riferimento è puramente casuale. Quindi tutti in silenzio, raccolti in una reverenziale quiete, assistiamo al susseguirsi di notizie, a cui seguono smentite e correzioni, critiche e complimenti in un turbinio confuso. Tanto che alla fine, ci si arrende all’evidenza di non aver capito a che punto siamo. Non abbiamo nemmeno lasciato spazio all’alternativa, presi come siamo nella lotta tra europeisti ed euroscettici. Non abbiamo nemmeno preso in considerazione la via di mezzo, la rimodulazione. Questo perchè ci hanno spiegato che non si può stare a metà, perché altrimenti si è doppiogiochisti e non si prende le parti di nessuno, come invece ci chiedono di fare. Io di solito prendo le mie parti, non amo abbracciare in toto ed esclusivamente una parte, così, tanto per simpatia e per fede dogmatica. Sono abituata a seguire la mia testa e a vagliare di volta in volta. Se poi è una cattiva abitudine ditemelo, magari ho bisogno di una purga cerebrale. Visti i tempi, non mi sorprende più niente.
Non si può parlare di TTIP, non si possono affrontare i temi sulla povertà (poi ci roviniamo la giornata), non si accenna al fatto che potremmo trovarci le larghe intese anche in UE, tra PPE e PSE, non si possono chiedere le coperture finanziarie, non si può parlare di detrazioni del coniuge a carico. Il lavoro diventa un oggetto confuso, relegato in un futuristico Act. Non si parla di diritti civili e di salute riproduttiva e delle posizioni su tali materie da parte dei candidati alle europee. Si sussurra lo slittamento del pareggio di bilancio, ma senza troppa enfasi.
Insomma, è tutto un sussurro, hanno messo la sordina e noi ci deliziamo in questo clima onirico crepuscolare. Quella dell’ultima spiaggia è una delle sirene che ci dovrebbero incoraggiare ad abbandonarci fiduciosi all’uomo magnifico.
Dov’è finita l’agorà? Si parla di postdemocrazia, che si potrebbe riassumere con l’assioma “divieto di discorso sui fini”. La critica non è un impedimento al discorso democratico, ma dovrebbe essere la linfa che ne dimostra la vitalità.
Vi consiglio questa lettura, che aiuta a smuovere un po’ i nostri stanchi neuroni.
Ancora una volta è una questione che gira attorno alla “scelta”.
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