
Quando le ricerche ti mostrano la tua posizione nella società e nell’economia.
In questo caso posso affermare “io mi trovo esattamente in questo gruppo”. L’Istat ha diffuso i dati della disoccupazione che è giunta al 12,9%; dall’inizio della crisi sono quasi un milione di posti di lavoro in meno, un record dal 1977, dicono. Fin qui i dati tremendi, con Renzi che promette a breve un progetto per il lavoro.
Ma il mio “io sono qui” riguarda un altro aspetto: quello dell’insieme statistico delle donne che rinunciano al lavoro per la maternità o che fanno la scelta opposta. Triste la condizione per le donne fertili: bassa natalità e occupazione femminile.
La CGIL ha scattato una fotografia delle Marche, un piccolo campione del fenomeno. “Nella regione sono 573 le madri nel 2013 che si sono dimesse nel primo anno di vita del figlio, durante la gravidanza o dopo la nascita”.
Forse non tutti sanno che la legge Fornero, per controllare il fenomeno delle dimissioni in bianco, aveva previsto che le mamme con bambini fino ai 3 anni andassero a convalidare le proprie dimissioni volontarie, presso le direzioni provinciali del lavoro. In questa sede devi compilare anche una sorta di questionario con valenza prettamente statistica, in cui motivi la tua scelta. Io ho scelto molte delle opzioni proposte, ma sarò finita nelle statistiche della florida e progredita Lombardia, ma la sostanza non cambia. In pratica, lo stato ti chiede di convalidare le tue dimissioni e di definirle “volontarie, ma..”. Siamo al teatro dell’assurdo.
Nelle Marche le motivazioni sono così distribuite: il 22% manca un parente a cui affidare il bambino (io sono qui), il 18% non ha ottenuto l’iscrizione al nido (io non sono qui, ma il nido serve fino a un certo punto), l’8% si lamenta degli elevati costi dei servizi nido e baby sitter (io sono qui). Il 2% si dimette per mancata concessione del part-time (io sono qui). Il 58% è al primo figlio (io sono qui), nel 70% dei casi si tratta di Pmi con meno di 15 dipendenti (io non sono qui). “In dieci anni, dal 2002 al 2012 le donne che hanno perso il lavoro sono aumentate del 40%. Nel 2012 quasi una madre su quattro a distanza di due anni dalla nascita del figlio non ha più un lavoro, un dato stabile nel tempo”. Il fenomeno non è solo italiano, ma da noi i numeri sono peggiori. La conciliazione da noi sembra un rompicapo e non è per un problema di ruoli o di suddivisione dei compiti e dei carichi familiari: non penso sia giusto far ricadere tutto sulla coppia. La situazione italiana è strutturalmente fragile e allo stesso tempo gravata da una rigidità nei modelli di lavoro, che non prevedono flessibilità, salvo rare eccezioni, nel nome di un’efficienza produttiva e di fatturato che piallano qualsiasi tentativo di mediazione. Per questo molte donne rinunciano a priori alla maternità.
Vorrei fare una postilla. Linda Laura Sabbadini dell’Istat sottolinea che i dati dimostrano che le più “strong” sono le laureate, che lasciano o perdono il lavoro ‘solo’ nel 12,2% dei casi.
«Ci dice che il maggior investimento in cultura e informazione le protegge di più, sono inserite in mansioni in cui sono meno ricattabili o sottoposte, in famiglie di status sociale più elevato in cui ci si può permettere il pagamento anche di servizi privati o sono in posizioni che permettono una maggior conciliazione di tempi di vita come è per le insegnanti o nella Pa. Inoltre, le laureate hanno il vantaggio che hanno una divisione dei ruoli nella coppia migliore delle operaie o delle lavoratrici in proprio».
Io, rientro nel 12,2% di mosche deboli che non ce l’hanno fatta. Oltre a trovare discutibili alcune delle affermazioni della Sabbadini, trovo veramente vergognoso che in un Paese civile e progredito si debba ancora far affidamento sullo status familiare d’origine. Un tenero pugno nell’occhio al fantomatico ascensore sociale e tanti auguri.
Ringrazio il prezioso articolo di Laura Preite su La Stampa, da cui ho attinto i dati e l’analisi di Laura Sabbadini.