Donne 4 ore e 40 minuti, uomini 1 ora e cinquantaquattro. Dati Istat alla mano questa è la stima del tempo che in una giornata i due sessi dedicano al lavoro familiare, oltre al lavoro fuori casa. Le donne passano il 19,4% del proprio tempo nelle attività di cura della famiglia, contro il 7,9% degli uomini.
Nel 1978 il tasso di occupazione femminile era pari al 31,8% e nel 2012 è arrivato al 47,1% (fonte Istat), come mai negli ultimi venti anni, lo squilibrio a sfavore delle donne nella divisione del lavoro familiare è sceso di soli 10 punti? Mi riferisco alll’indice di asimmetria del lavoro familiare dell’Istat, che racconta che il 71,3% di queste attività sono a carico delle donne (anni 2008-2009), contro il 79,7 del 1988-1989. Se guardiamo il lavoro domestico maschile è aumentato di una briciola, passando da un’ora e 32 minuti nel biennio 1988-1989, a un’ora e 54 minuti nel 2008-2009: per la maggior parte dedicata all’intrattenimento ludico dei figli. Molte delle vecchie mansioni delle mamme restano immutate e non condivise, almeno in buona parte dei casi.
Negli anni ’70 eravamo acrobate sul filo del lavoro e della cura familiare e la sociologa Laura Balbo rilevava la “doppia presenza”: nel mercato del lavoro e nelle attività domestiche e familiari.
Come mai questo mancato progresso verso una maggiore condivisione dei compiti? Quali sono le attività coinvolte e come valorizzarle in termini economici e di PIL? Quanto incidono sui sistemi di welfare, quali lacune colmano e quanto pesa il contesto culturale italiano? Quanto è subappaltato all’esterno della coppia (tate, nonni, nidi). Quali segni lascia in termini di aspettative e di soddisfazione personale?
Tante le teorie avanzate (Quello che gli uomini non fanno. Il lavoro familiare nelle società contemporanee, di Lorenzo Todesco, Carocci editore, dicembre 2013). Per esempio con la teoria delle risorse relative, per cui «la coppia viene considerata una relazione di scambio in cui il potere dipende dalla distribuzione delle risorse individuali tra i partner». O con l’ideologia di genere, come viene chiamato il corpus eterogeneo di teorie che invece sottolineano l’importanza degli aspetti culturali nell’influenzare le azioni individuali: “Secondo questa prospettiva […] donne e uomini si impegnano nel lavoro familiare – così come nel lavoro retribuito – a seconda degli atteggiamenti, delle prospettive e delle credenze che hanno sviluppato relativamente alla divisione dei ruoli e delle responsabilità tra i sessi”.
Ma occorre allargare l’orizzonte analitico alla dimensione nazionale, ai sistemi di welfare e ai fattori “culturali”. Su questo ultimo versante “le politiche a favore dell’occupazione femminile possono essere un’arma a doppio taglio nella promozione di una divisione egualitaria del lavoro familiare: tali politiche, infatti, da una parte aiutano le donne a conciliare l’impegno nel lavoro retribuito con quello del lavoro familiare, dall’altra fanno poco o nulla – se destinate esclusivamente alle madri – per incrementare il coinvolgimento maschile nel disbrigo delle incombenze domestiche e di cura”.
I nonni aiutano a tamponare, ma diventano a loro volta bisognosi di cura. Spesso si ricorre a servizi di cura disponibili sul mercato, a caro prezzo.
Ho trovato particolare questo aspetto: “al crescere dei redditi femminili aumenta la scelta di esternalizzare più di quanto non avvenga al crescere dei redditi maschili. […] Dunque uomini e donne sembrano avere priorità economiche diverse che li portano a utilizzare le risorse a loro disposizione in modo differente”. Le donne sono più propense a delegare i compiti più faticosi e noiosi, mentre “le attività stereotipatamente maschili, invece, sono saltuarie e possono risultare maggiormente gratificanti […] ragion per cui gli uomini tendono ad accollarsele pur disponendo di redditi per esternalizzarle”.
In pratica, i risultati sulla vita delle donne sono per lo più peggiorativi. Al contempo chi non ha problemi economici trova soluzioni per evitare le acrobazie e le incombenze più gravose, riuscendo a realizzarsi professionalmente. Era questo che volevamo raggiungere? Alla faccia di chi si affanna quotidianamente e vive una non vita.
Fonte InGenere.it
Nel 2005, la rivoluzione dei tulipani in Kirghizistan era riuscita a mandare a casa il corrotto presidente Askar Akayev.
Purtroppo le cose non sono andate come speravano molti kirghizi: il successore Kurmanbek Bakiyev, aveva il medesimo vizio ed è stato deposto nel 2010. In seguito, il Kirghizistan è diventato il primo stato parlamentare dell’Asia centrale, dove di solito il presidente e la sua cricca controllano economia, politica e finanza.
Almazbek Atambayev, il nuovo leader del paese è anch’egli caduto in tentazione, ampliando i suoi poteri e perseguitando gli oppositori. Pertanto, lungi dal vedere il cambiamento, ancora oggi le lotte di potere tra i clan locali e le fazioni politiche continuano ad affliggere il paese. Ci sono contrapposizioni tra nord e sud arretrato, luogo di conflitti interetnici nel 2010. le autorità della capitale non intervengono, né cercano di investire nello sviluppo economico e sociale del sud del paese.
Si tratta di una palese decisione politica di Atambayev, filorusso, che ha scelto di rendere il paese economicamente dipendente da Mosca. L’industria militare, energetica e dei trasporti è in mano russa. Gli avvenimenti ucraini potrebbero esacerbare gli animi di coloro che mal sopportano questa politica filorussa di Atambayev.
La vicenda della Crimea viene vissuta in Spagna come un precedente per la questione dell’indipendenza della Catalogna, dove il 9 novembre si svolgerà un referendum a riguardo. Ne parla José Ignacio Torreblanca in un suo post.
La Spagna viene relegata ai margini del dibattito europeo, che ora si è spostato verso est. La questione catalana è un problema delicato, che non ammette soluzioni facili, ma richiede un approccio solido e serio dal punto di vista politico, intellettuale e umano. Ora però i riflettori sono puntati sulla Crimea e su come affrontare il tentativo della Russia di annettere la regione ucraina, anche qui attraverso un referendum. L’elemento centrale è che questa consultazione popolare avviene sotto l’egida russa ed è stata indotta tramite l’occupazione militare. I pericoli sono la spaccatura, la guerra civile, la destabilizzazione dell’area. Per scongiurare il peggio, oltre agli aiuti economici sarebbe auspicabile un grande accordo politico tra gli attori ucraini coinvolti, di cui si dovrebbero rendere garanti gli USA, UE e Russia; assieme all’invio degli osservatori OCSE.
Questi eventi hanno avuto una vasta eco in Spagna e come al solito, nella semplificazione imperante, nelle analisi frettolose e confezionate con l’accetta, l’idea della secessione catalana non è più così remota. In Ucraina siamo di fronte all’ennesima violazione del principio di sovranità nazionale, con ingerenze forti dall’esterno. Catalogna e Crimea sono due episodi che devono essere presi in considerazione separatamente, in quanto è impossibile assimilarli. Altre analisi sull’argomento non sarebbero d’aiuto: l’obiettivo deve essere aiutare l’Ucraina a trovare la propria strada per una convivenza pacifica e unitaria. Per il bene della pace e della sicurezza europee.
Aggiornamento del 20 aprile 2014:
A quanto pare il percorso del referendum catalano si è bloccato. Qui la notizia su El País.
"Alle giovani dico sempre di non abbassare la guardia, non si sa mai". Miriam Mafai
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