La bagarre in aula, in seguito alla ghigliottina della Boldrini sul decreto Imu-Bankitalia, hanno entrambi degli aspetti inquietanti e spiacevoli. Le parole e i gesti esplosi in questo frangente dimostrano come ormai urge un capovolgimento culturale, un’inversione a U sul tema rapporto uomo-donna. Il questore di SC Stefano Dambruoso ricorre alla forza fisica contro la 5stelle Loredana Lupo (schiaffo o spintone non contano, come non contano i motivi addotti dall’autore). Vi allego la scena, indegna. La Sarti, compagna di partito della Lupo, aggiunge benzina sul fuoco, rivelando di aver sentito la seguente frase: “Nella mia vita ho picchiato tante donne, non sei la prima”. Nel contempo, un altro 5stelle Massimo Felice De Rosa irrompeva nella Commissione Giustizia, aggredendo le deputate del PD, accusandole di essere lì solo per aver elargito prestazioni particolari. La tensione maschile, le frustrazioni di questi ominicchi vengono scaricate sulle donne, specie se nemiche politiche. Molto più semplice e, per alcuni uomini delle caverna, anche scusabile. Non esiste nulla di difendibile e su questo dovremmo essere tutti concordi. Le donne, in Parlamento e non, dovrebbero essere compatte nel condannare questo tipo di prassi. Il machismo non deve avere spazio, l’idolatria del maschio forte, dominante e violento deve essere archiviata. E questo è compito innanzitutto dei genitori, insieme e all’unisono. Ogni tanto dovremmo ricordarci che occorre costruire un tessuto comune (ancora una volta insieme) in grado di prendere decisioni responsabili e utili per la nostra Italia disastrata. Le donne non se la passano bene nella bozza dell’Italicum, che prevede un 50/50 nelle liste ma senza alternanza tra sessi. In Parlamento si dovrebbe dare l’esempio e non assistere alla riproposizione di schemi già visti, vecchi di secoli di barbarie culturale. Non dobbiamo farci accuse reciproche, invettive sessiste perché non portano da nessuna parte e sviliscono qualsiasi tentativo di cambiamento o soluzione. Il rischio è che si inneschino pericolosi precedenti e che comportamenti illeciti e meschini divengano consuetudine. Vi suggerisco in merito l’ottimo pezzo di Giulia Siviero sul Manifesto.
Freno a mano dell’Italia sul rientro dei capitali svizzeri
Vi ricordate quando si parlava di recuperare dei soldini attraverso un accordo con la Svizzera, per il rientro dei capitali (di evasori italiani) depositati nelle banche elvetiche? A quanto pare per il governo Letta non è più una priorità. In ballo ci sono molti contenziosi su questioni fiscali e sul trattamento dei lavoratori italiani nel Canton Ticino.
Oggi Letta era atteso a Berna per il Forum di dialogo fra la Svizzera e l’Italia, durante il quale era prevista anche la firma su un accordo fra i due Paesi su trattamento fiscale, segreto bancario e i lavoratori transfrontalieri. Letta non ci sarà e sarà sostituito da Fabrizio Saccomanni, ma l’accordo probabilmente verrà rinviato.
Con il varo del decreto italiano che disciplina le dichiarazioni spontanee dei contribuenti e con la legge svizzera che vieta alle banche di gestire fondi frutto di frode fiscale, sembra che si voglia porre fine al segreto svizzero in merito di capitali italiani. Con il decreto italiano, molti evasori sono di fatto incoraggiati a far emergere e a riportare in Italia i soldini, pagando al fisco solo tra il 13-14% (meno di quando avverrebbe in caso di un accordo tra i due Paesi: 25-30%).
Le pressioni arrivano anche da oltreoceano: gli Stati Uniti sembrano sul piede di guerra nei confronti delle banche svizzere che proteggono i reati fiscali. La Svizzera forse si sente accerchiata e ha capito che non è più così tanto conveniente proteggere i patrimoni di dubbia origine. Ricordiamoci anche che la Svizzera continua ad essere sulla black list internazionale, che non è proprio un bollino di qualità. La Svizzera si avvia verso la rimozione del segreto sui conti, ma la preoccupazione dell’Italia (potrebbe essere una delle ragioni al freno delle trattative) è che la Svizzera, una volta perso il vantaggio bancario, si possa dedicare alla costruzione di un paradiso fiscale, con gli annessi e connessi. Il timore è che altre aziende scelgano di spostare la propria sede in Svizzera.