“…e si deve cominciare da noi stessi, ogni giorno da capo.” – ETTY HILLESUM
Il Giorno della Memoria è nato per ricordare, ma sarebbe un evento sterile e inutile se non lo si rivestisse di un significato più ampio. Ricordare affinché non si ripeta, ma con un tassello in più. Occorre ripercorrere con la memoria ciò che è stato l’Olocausto, ma arricchendolo di punti di contatto con la nostra storia più recente e con la più stretta attualità. Questo per evitare il rischio che con il passare degli anni questa memoria appassisca o diventi opaca. Legare il passato all’oggi, alla politica e alla vita quotidiana aiuta a dare linfa all’albero della memoria. Non può diventare un rito ripetitivo che si svuota di senso. Il percorso che dobbiamo intraprendere passa per la nostra capacità di volgere giornate come questa in un impegno per trasformare un po’ il nostro presente e costruire un futuro per le prossime generazioni. In questo modo riusciremo a coinvolgere tutte le generazioni e sarà un lavoro costruttivo e non passivo. Dobbiamo ascoltare ciò che è stato e cogliere l’occasione per parlare dei tanti genocidi dimenticati e velocemente rimossi. Tanto per capirci, quanti studenti oggi sono a conoscenza di ciò che è avvenuto in Rwanda nel 1994? Questa è la base necessaria per porre le basi di un discorso serio, coraggioso e sgombero da pregiudizi, su come costruire una prevenzione dei genocidi e una maggior consapevolezza di ciò che avviene in questo pazzo mondo, ancora così dilaniato da crimini contro l’Umanità. In Italia c’è un’attenzione speciale, e dovremmo una volta tanto essere fieri di come questa giornata del 27 gennaio viene celebrata e sentita da noi. Se ne parla, ci si interroga e a mio parere la riflessione non può che essere un buon segnale, nonostante, spesso anche da noi, alcuni neghino o tentino di ridimensionare le responsabilità degli italiani in quei fatti. Se guardiamo altrove, la situazione non è rosea. In Francia, è di questi ultimi giorni il caso dello stop agli spettacoli del comico Dieudonné (qui). Per non parlare di Paesi del Centro Europa, dove l’antisemitismo era stato temporaneamente congelato dai regimi totalitari. Qui l’antisemitismo non è mai scomparso, perché non è mai stato affrontato seriamente e non si sono mai individuati i responsabili ei collaboratori dei nazisti. Pensiamo per esempio all’Ungheria. Sarebbe interessante approfondire la figura e le tesi del politico ungherese István Bibó, antifascista e tra i membri del governo Nagy nel 1956, il quale sosteneva che fenomeni come l’antisemitismo fossero una sorta di isteria collettiva (ad esempio lo scaricare sugli altri le responsabilità dei propri errori), che possono sfociare in una isteria politica. Questi conflitti irrisolti si è preferito nasconderli sotto il tappeto. Questo silenzio non rende possibile una rigenerazione morale di un Paese. Per non banalizzare la Shoah, occorre unirsi e riflettere su tutti gli altri genocidi che si sono compiuti ed evitare che vengano rimossi dalla nostra memoria. Nulla può essere mai considerato lontano da sé quando si tratta di umanità.