Mi è capitato di leggere la rubrica “In una parola” a cura di Alberto Leiss sul Manifesto, il 21 gennaio. Al di là della discussione linguistica sull’uso dilagante dell’inglese, con termini come jobs act o lifelong learning, mi ha colpito un altro tema. Il tutto ruota attorno al libro a cura di Laura Balbo, dal titolo “Imparare, sbagliare, vivere. Storie di lifelong learning“. Si tratta di un libro che riunisce storie di donne, studiose di scienze sociali, che negli anni 70-80 avevano dato vita al Griff (gruppo di ricerca sulla famiglia e la condizione femminile). In questo testo si sono raccontate a distanza di anni dall’esperienza del Griff e vi hanno condensato le loro vite, eviscerando il loro desiderio-necessità di continuare a imparare e disimparare, a cambiare, grazie a quella tipica ‘capacità di cura’, che confina con quella introspettiva. Si tratta di doti in cui la donna si è esercitata da sempre, forse grazie al suo ruolo di madre. Questa capacità non consiste nel dimenticare o nel rimuovere i conflitti, bensì nel riconoscerli e nell’affrontarli. Questo dono va coltivato e si affina con gli anni, serve a guardarsi dentro, a rapportarsi con gli altri e il mondo esterno, con gli accadimenti e con il trascorrere del tempo. Si tratta di un lento lavoro volto a smussare gli angoli e le crepe che ci rendono più fragili oppure diventano per noi un fardello troppo pesante. Qui subentra il coraggio di mettere in discussione l’idea di noi stessi che ci siamo cuciti addosso, o in cui ci hanno rinchiuso. È un percorso che dura per tutta la nostra vita, ma va fatto periodicamente (come le pulizie di primavera per intenderci) e un passo per volta, per non far ingolfare il motore della nostra anima con scorie inutili e dannose.
La chiamano sussidiarietà, ma il suo nome è Pilato
Non si tratta certamente di una semplice coincidenza se ultimamente il tema del diritto alla salute della donna viene messo costantemente in discussione un po’ ovunque. Perché quando si parla di garantire la possibilità di un aborto sicuro stiamo parlando di salute. Non è impedendolo o rendendolo un percorso ad ostacoli che si tutela la donna. L’aborto non è stato, non è e non sarà mai un evento ‘banale’ nella vita di una donna, perché è un qualcosa con cui dovrà convivere ogni giorno e solo chi non ha a cuore la salute della donna può varare leggi come in Spagna o scatenare ciò che sta accadendo in Francia. C’è chi cavalca questa ondata reazionaria sulla pelle delle donne. Abbiamo vigilato poco e male se oggi ci troviamo sotto questo pesante attacco e vengono rimessi in discussione diritti faticosamente raggiunti. E poi c’è il fallimento a livello di Unione europea, che non è stata in grado di fornire una cornice legislativa unitaria per queste tematiche. Questo vuoto a livello comunitario apre le porte a una legislazione nazionale in balia di venti disparati e pericolosi. Una legislazione eterogenea e ballerina: 28 leggi diverse in materia di Ivg, Malta e Cipro dove è illegale, Irlanda e Polonia in cui è fortemente limitata. Dopo la bocciatura della mozione Estrela, l’Europa si è tirata fuori lasciando la questione agli stati membri. E la chiamano sussidiarietà.
Il 1° febbraio le donne spagnole hanno organizzato il Treno della Libertà e verrà consegnato (al Capo del Governo, al Presidente del Parlamento, alla Ministra Ana Mato, al Ministro Alberto Ruiz Gallardón (autore della proposta di legge) e ai vari gruppi parlamentari) questo documento per protestare contro il progetto di legge del governo Rajoy.
Sempre il 1 febbraio a Milano è previsto un presidio di donne sotto il consolato spagnolo, per solidarietà alle donne spagnole.