Noi siamo qui su questa minuscola penisola, ad arrabattarci ancora su questioni che, se fossimo in grado di capire in che secolo e in che contesto viviamo, dovrebbero considerarsi superabili e non sarebbero coperte dalle ragnatele di un pensiero stantio. Siamo ancorati a un sistema di leggi e di sovranità che ancora incarna il modello degli stati nazionali ottocenteschi e il nostro modo di affrontare i flussi migratori, per esempio, ne è un chiaro sintomo. Non siamo capaci di guardare altrove, siamo con lo sguardo puntato verso il basso e i nostri confini mentali e fisici sono immutati. Non è un problema di globalizzazione, fenomeno che è in atto da molto tempo prima che si diffondesse il panico e che molti studiosi hanno analizzato quando era agli albori. I meccanismi si sono innescati ancor prima che i movimenti no-global emettessero i primi vagiti. Tutto rientra in un movimento globale ciclico volto alla ricerca, affermazione e distruzione di equilibri. Il sistema mondo elabora soluzioni e ridefinisce continuamente se stesso, i suoi equilibri, le sue distorsioni e i suoi “centri magnetici”. In Italia ragioniamo ancora come se fossimo in una bolla chiusa, un mondo ancora guaribile con misure blande o con criteri buoni per stregoni che impongono le loro mani sulla zona malata. Le nostre malattie vengono vissute in termini “speciali”, ci consideriamo delle eccezioni, entità divine da difendere, laddove occorrerebbe affrontarle in modo più generale e meno locale. Il locale non è detto che sia sinonimo di meglio. Ogni tentativo di ragionamento è sempre coperto da una coltre di pregiudizi e di arroganza. Facciamo tutto in casa, ma non ci accorgiamo che là fuori il mondo intero è cambiato. Prima che ce ne accorgiamo sarà ulteriormente cambiato. Non riusciamo a cogliere nessun fenomeno e rimaniamo come statue neoclassiche, bianche, con lo sguardo fisso a guardare i nostri presunti fasti del passato. Il nostro sistema normativo è vissuto come un pesante fardello perché è concepito secondo strutture e modelli che non esistono più. I nostri limiti risiedono nel voler applicare norme concepite per un sistema chiuso a un sistema globale che non può che essere aperto e magmatico. Figuriamoci se siamo pronti ad affrontare sfide come questa, che oltrepassano i confini della nostra atmosfera.