Lupus est homo homini direbbe Plauto, concetto ripreso più volte, come per esempio da Hobbes. Mi è venuta in mente questa frase, leggendo questo articolo di Paolo Di Paolo, riportato da Civati sul suo blog. Ci lamentiamo dei toni che tracimano rabbia, violenza, inquietudine, allergia alle buone maniere. Il problema, dal mio punto di vista, ha radici più antiche e radicate nell’animo umano. Oggi ci stupiamo che si adoperino certi toni e turpiloqui con una disinvoltura senza precedenti. La mancanza di filtri ci deriva forse da quella immediatezza della comunicazione, resa possibile con l’avvento di internet e dei social network. Siamo poco abituati a riflettere sull’opportunità o meno di fare certe affermazioni. Dire le cose sul web è come urlarle al mondo, moltiplicando le possibilità di “urtare” la sensibilità di qualcuno o di fargli del male. In questo senso siamo dei maleducati digitali, come se il nuovo mezzo ci desse l’autorizzazione a dire tutto ciò che ci passa per la mente, senza la necessaria riflessione o rielaborazione. Siamo abituati ad una velocità senza precedenti storici e ci aspettiamo che tutto si esaurisca in una manciata di secondi. Altro che fast food delle parole e dei pensieri: qui siamo alla dimensione supersonica delle relazioni interpersonali. Inoltre il web sembra fornirci un anonimato protettivo, una sorta di schermo dietro il quale possiamo trincerarci e sputare fuori tutto. Questo vale solo ad amplificare un meccanismo del tutto umano, una sorta di retaggio animalesco che ci portiamo dietro attraverso i nostri geni.
Ricordo che quando ero piccola, mia nonna mi ha insegnato ad essere gentile, a parlare sempre in modo rispettoso, a pensare prima di agire e a mantenere sempre un atteggiamento “gentile”, cascasse il mondo. Mia nonna lo motivava dicendomi che sarebbe stato un lasciapassare fondamentale per la mia vita e che se avessi seguito i suoi consigli mi sarei trovata bene. Mi hanno insegnato anche ad ascoltare, a non parlare “sopra”. Oggi, a distanza di tempo, posso dire che il mio atteggiamento, sempre in “ascolto” degli altri e sensibile agli altri, non mi ha fruttato granché. Spesso mi sono trovata schiacciata, soverchiata per questa mia benevola tranquilità ed educazione. Non ne parliamo poi nel mondo del lavoro. Solo da grande ho scoperto che la maggior parte dei miei amici erano stati educati in modo del tutto differente: erano cresciuti nel nome della lotta, della forza, del vincere e primeggiare ad ogni costo. Ricordo che la mia professoressa di italiano del liceo, durante un colloquio con mia madre, le disse che “non sapevo vendere bene la mia merce”, che ero poco capace di far valere le mie qualità e le mie capacità. Da quel momento in poi, ho compreso che qualsiasi mio sforzo per migliorare sarebbe stato vano. Ero bollata a vita, come una fallita, una fessa, una tonta, meno di una nerd (ma all’epoca i nerd non erano di moda in Puglia). Mi si chiedeva di imparare l’arte del vendere fumo e di saperlo fare bene. Questo tipo di professionalità non mi ha mai interessato, ho sempre vissuto male nei contesti in cui non si dava importanza alla qualità del lavoro. Non ho mai mollato (nonostante gli incoraggiamenti a farlo) ed alla fine, in qualche caso, ho vinto io, anche se per alcune persone sono restata la sfigata e la fallita di sempre. Non mi interessa.
Per questo non credo che ci sia una ricetta per campare bene in una società sempre più assetata di sangue e di successo. La prevaricazione molto spesso vince sulla gentilezza, non raccontiamo favole, non ne abbiamo bisogno. Lo so, sarebbe molto meglio se eccedessimo in gentilezza, ma parliamo anche di una cosa: non siamo abituati a comportarci bene e questo lo dobbiamo a decenni di educazione familiare sbagliata, difficilmente sanabile. Poi ci sono tutti gli isti e gli ismi che non fanno altro che accrescere la tensione, lo scontro a tutti i costi. Si ingiuria gratuitamente o per un fantomatico ideale o di una guerra santa da combattere. Caterina Simonsen è caduta in questa ragnatela di superficialità diffusa e di persone di scarsissimo spessore umano. Alcune persone sono talmente ottenebrate da non fermarsi davanti a niente. Ecco come ambientalismo e animalisti corrono il rischio di degenerare e di diventare semplicemente dei veicoli in nome dei quali è consentito usare violenza. Tutto viene strumentalizzato e distorto. Ed alla fine non resta niente. Perché spesso non siamo nemmeno in grado di reggere un confronto serio e pacato. Auguriamoci solo che si abbassino un po’ i toni dei confronti, che si impari a soppesare un po’ di più le parole e ad ascoltare, anche se c’è un diffuso abuso nello smentire (con una leggerezza incredibile) ciò che si dice. Impariamo ad educare i nostri figli, perché essere dei feroci predatori non sempre paga.
Insomma, ricordiamoci che non siamo portati alla pazienza, per questo dobbiamo recuperare ritmi di comunicazione e di ragionamento più morbidi e a misura di ascolto. L’istinto a volte ci aiuta, ma a volte può essere cieco: usiamo la ragione o almeno sforziamoci di farlo.