I numeri a volte non bastano a rappresentare e a interpretare la realtà. Tito Boeri, sempre molto attento, in questo articolo scivola un po’, dimostrando di avere una visione parziale del problema ‘occupazione femminile’. Lasciando perdere la questione minoritaria del numero di donne nei livelli dirigenziali, mi preme soffermarmi sulle soluzioni che Boeri propone per incrementare le percentuali di donne che lavorano: una su tutte, cancellare le detrazioni fiscali per i carichi familiari con esclusione dei figli. L’economista Boeri ragiona in termini astratti ed evidentemente non conosce i reali motivi per cui una donna ‘sceglie’ (più o meno felicemente) di non lavorare. Se in Italia ci fossero degli incentivi reali per le donne a lavorare e il sistema di welfare fosse più efficiente e capillare, la situazione non sarebbe così tragica. Soprattutto, molte donne non lascerebbero il lavoro dopo il primo figlio o per seguire un familiare bisognoso di assistenza. Perché, di questo parliamo. Con retribuzioni basse (in media inferiori a quelle maschili), lavoro precario (ammesso che lo si abbia), orari di lavoro impossibili, accesso al part-time semi inesistente, spesso non ci sono alternative e quelle cifre irrisorie che vengono destinate per i carichi familiari servono quantomeno a lenire delle scelte che semplici non sono. Le donne che non lavorano non sono più pigre di altre, ognuna porta con sé una storia, una necessità, il più delle volte non dettata da una scelta egoistica, ma da circostanze in cui non si hanno alternative. Stiamo attenti a parlare, perché poi gli effetti li vivono sulla propria pelle coloro che sono dei pilastri viventi di welfare fai da te. Gli incentivi di cui parla Boeri vanno bene se il mercato del lavoro e il sistema Paese funzionano a dovere. Ma prima, guardiamoci attorno: siamo veramente pronti? E non venite a parlarmi di incrementare il numero di asili nido, perché dimostrereste di voler vedere solo la punta dell’iceberg.
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