In base all’assioma per cui democrazia è partecipazione, sarebbe lecito, anche se utopistico, pensare che il nostro pensiero e le nostre opinioni possano in qualche modo essere immediatamente e tangibilmente applicate e possano pertanto concorrere all’istante alla formazione di un provvedimento legislativo. Sarebbe una specie di prêt-à-porter del voto. Come se una nazione moderna potesse rispecchiare il modello della polis greca e applicare formule di democrazia diretta. Indubbiamente sarebbe fantastico avere una partecipazione capillare alla decisione e alla formazione del corpus giuridico, una specie di televoto quotidiano, con il quale ciascuno potesse esprimere la propria scelta. Ciascun cittadino, più o meno cosciente e consapevole, potrebbe svegliarsi al mattino ed esprimere il suo voto su un argomento piuttosto che un altro. In caso di democrazia diretta, ciascuno dovrebbe essere in grado di assumersi quotidianamente la responsabilità di determinare dove va il baraccone. Vista l’impraticabilità di tale strada, è nata la democrazia rappresentativa. In mezzo al guado di queste due soluzioni, è emersa la formula della democrazia liquida. Si tratta di una specie di ibrido, che poggia tutto sulla delega e non sulla rappresentanza. La linea di confine è molto sottile. La formula “liquida” strizza l’occhio alla “diretta”, proponendosi come la rivoluzione del secolo e la panacea di tutti i mali, andando a solleticare i desideri della pancia di un elettorato che negli anni si è allontanato sempre più dalla cosa pubblica. La democrazia liquida di cui si parla tanto è a mio parere un falso fluido di giovinezza per la nostra democrazia mal ridotta. Qualsiasi piattaforma informatica, forum o simili sono strumenti di una fantomatica partecipazione universale, che non porta a nulla. Non si può ridurre tutto a un tweet. Questo approccio è frutto di una semplificazione e storpiatura di antichi topoi e di una loro malsana rilettura. Cosa accade alle opinioni di coloro che non partecipano a questi giochi? Non possiamo diventare schiavi di un mezzo, come può essere la rete. La democrazia liquida è un sistema che può funzionare benissimo in un’associazione, ma lo Stato non può essere ridotto a una realtà in stile “dopolavoro”. Tutti devono poter concorrere, attraverso i propri rappresentanti, alla determinazione della politica nazionale. Il sistema dei delegati ha i suoi limiti e pericoli, non tutto ciò che è tecnologico è sinonimo di sicurezza, affidabilità, trasparenza. Tutto è manipolabile e facilmente strumentalizzabile. Non possiamo essere certi che non ci possano essere dittature dei giocatori più attivi o che un click in stile “mi piace” sia più consapevole e saggio di una x sulla scheda elettorale. Il fatto che ciascuno può dire la sua in questa specie di piazza virtuale, non è garanzia di un miglioramento o di assenza di errore. Poniamoci alcune domande:
- Perché una persona decide di dedicarsi anima e corpo ad un’attività para-politica su una piattaforma web, investire il suo tempo in tale attività?
- Come può un comune cittadino, tra le sue innumerevoli occupazioni quotidiane (lavoro, casa, figli ecc.) essere in grado di “partecipare” attivamente al nuovo gioco della democrazia liquida?
- Rischiamo di ritornare ad un modello stile “camera dei Lord”, per cui la politica è in mano a pochi “delegati” che possono anche permettersi di non lavorare per vivere? Questa si chiama oligarchia, che ritengo più pericolosa della nostra attuale democrazia parlamentare.
La mania della rottamazione che sta dilagando in questi tempi di crisi, può essere comprensibile, ma attenzione: prima di rottamare la mia automobile, devo anche pensare cosa andrà a sostituirla, altrimenti, mi toccherà andare al lavoro a piedi. Se si decide che il modello del partito politico e gli strumenti di partecipazione non vanno più bene, si deve anche iniziare a proporre qualcosa di altrettanto valido, pena l’avanzare del vuoto, esattamente ciò di cui parlava Ende nella sua “La storia infinita”. E in tale caso sappiamo bene cosa ci aspetta. I partiti sono stati uno strumento basilare per garantire il funzionamento della macchina democratica. Sono stati un laboratorio importante per le idee nuove e la crescita della nostra classe politica, che pur non essendosi dimostrata sempre all’altezza del suo compito, ha generato personalità fondamentali della storia del nostro Paese. L’improvvisazione in politica, e non solo, raramente genera qualcosa di buono e duraturo. Una buona abitudine del cittadino dovrebbe essere quella di conservare sempre vigile il suo senso critico e non delegare “ciecamente” ad altri le decisioni. Nei partiti andrebbe incentivato il pensiero “pro-attivo”. E se proprio vogliamo rottamare qualcosa, scegliamo di mandare in discarica il clientelismo che avvelena la vita del nostro Paese.
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